- FATTISPECIE SINDACALE E ASSOCIAZIONE
La mancata attuazione dell’art. 39, 2ª parte, Cost. ha avuto due conseguenze sulla disciplina delle organizzazioni sindacali sia dei lavoratori che dei datori di lavoro: a) in generale una accentuazione del loro carattere privatistici; b) più specificamente la loro appartenenza al genere “associazioni non riconosciute”, salvo le strutture aziendali che sono organismi in tutto o in parte elettivi.
Il carattere privatistico dei sindacati non è mai stato univoco nelle sue implicazioni. Non sono, infatti, mancate norme che hanno attribuito direttamente o indirettamente rilievo pubblico a talune attività sindacali.
Il carattere associativo è proprio del sindacato, ma non è necessario della fattispecie sindacale. Elemento qualificante della fattispecie sindacale è (solo) l’esercizio in forma organizzata di autotutela collettiva: è cioè l’ attività di autotutela organizzata, non la forma organizzativa e neppure, per altro verso, i fini economici, opposti a quelli politici.
Attività di autotutela collettiva, quindi sindacale in senso lato, possono essere svolte anche da coalizioni o gruppi occasionali, privi dei caratteri di stabilità e strumentazione propri dell’associazione, oppure da organismi in tutto o in parte elettivi (commissioni interne, consigli di fabbrica, RSU).
- LA DISCIPLINA CODICISTICA DELLE ASSOCIAZIONI
In quanto associazioni non riconosciute, sindacati e organizzazioni imprenditoriali sono assoggettati alla disciplina degli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Si tratta di una disciplina scarna, e in realtà residuale, per questo inadeguata a spiegare la sostanza del fenomeno associativo sindacale. La residualità risulta già dal principio base sancito dal 1° comma dell’art. 36, secondo cui l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, ossia dalle regole interne dell’associazione, statuti e regolamenti che si ritengono riconducibili al consenso dei soci; le altre norme, invece, riguardano gli aspetti patrimoniali.
Il 2° comma dell’art 36 c.c dispone che l’associazione può stare in giudizio nella persona di coloro cui, secondo gli stessi accordi sociali, è conferita la presidenza o la direzione. L’art 37 stabilisce che i contributi e i beni acquistati con essi costituiscono il fondo comune dell’associazione e che il socio recedente non ha diritto di pretendere la sua quota in caso di recesso. Secondo l’art 38, per le obbligazioni contratte dall’associazione rispondono il fondo comune e in solido i soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’associazione stessa.
Una delle questioni controverse riguarda la qualificazione delle di associazioni non riconosciute. La conclusione oggi dominante è che, anche in assenza di questa, è possibile godere di soggettività giuridica, come capacità sia pur limitata e relativa di essere centro di imputazione di rapporti giuridici (l’unica differenza di spicco tra un’associazione riconosciuta ed una non riconosciuta è ravvisabile nella c.d. autonomia patrimoniale perfetta, propria solo della prima, cioè nella totale irresponsabilità dei soci per i debiti sociali).
La giurisprudenza del lavoro è stata fra le più restie ad abbandonare la concezione atomistica dell’associazione e si è espressa a lungo contro la capacità delle associazioni sindacali di stare in giudizio e persino di intervenire nel processo.
L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori riconosce, però, al sindacato la legittimità ad agire in giudizio per la difesa dei propri interessi. Successivamente la giurisprudenza ha riconosciuto al sindacato la legittimazione a costituirsi parte civile in processi penali per infortuni sul lavoro; si è giunti ad ammettere la legittimazione ad agire in capo alla RSA per l’attuazione di diritti ad essa attribuiti dal contratto collettivo, la legittimazione ad agire in via ordinaria davanti al giudice del lavoro dei sindacati del pubblico impiego per le controversie relative alle procedure di contrattazione collettiva, oltre che per quelle riguardanti comportamenti antisindacali.
- RAPPORTI INTERNI E DEMOCRAZIA SINDACALE
L’assenza di una disciplina tipica dell’associazione sindacale e, in generale, la consacrazione dell’autonomia organizzativa contenuta nell’art 36 c.c hanno un rilievo particolare in ordine ai rapporti interni del sindacato.
Il principio della democraticità interna del sindacato richiesto dall’art. 39 Cost., come condizione per la registrazione, deve ritenersi vigente anche per i sindacati di fatto, come condizione di qualificazione in quanto tali. In assenza di questo requisito, l’organizzazione non beneficerebbe della disciplina (in termini di diritti e poteri) riservata dall’ordinamento al sindacato.
Tra le regole democratiche accettate dal sindacalismo, di fondamentale importanza sono: il carattere elettivo delle cariche sociali, il principio di maggioranza, la necessità che le decisioni generali per la vita dell’associazione siano di competenza di un organo assembleare, comprendente tutti i soci.
- LA GIUSTIZIA INTERNA DEI SINDACATI
L’amministrazione della giustizia interna è fra i temi più tormentati della vita delle associazioni, incluso il sindacato. La carenza più grave riscontrabile in questa disciplina non sta tanto nella sommarietà delle garanzie procedurali, quanto nella loro debole effettività e scarsa affidabilità degli organi giudicanti, la cui autonomia rispetto agli organi giudicanti, e agli organi c.d. politici del sindacato non è assicurata dalle scarne norme statutarie sull’incompatibilità. L’orientamento della giurisprudenza è rigorosamente astensionistico. Altrettanto incerta è pure l’operatività all’interno delle associazioni di alcuni diritti e garanzie costituzionali, che i giudici hanno considerato irrilevanti, in quanto non previste dalla disciplina interna.
- CONTROVERSIE INTERNE, AMMISSIONE AL SINDACATO, RAPPORTI TRA ASSOCIAZIONI DI DIVERSO LIVELLO
Con riferimento al caso giudiziario della Cgil nel 1948, riguardante il diritto della corrente cristiana distaccatasi dalla Cgil a ottenere una parte del patrimonio sociale è opportuno notare che i rapporti tra organismi sindacali di diverso livello rilevano sia per la qualificazione della struttura associativa come tale (e quindi per taluni rapporti tra soci e organi sindacali), sia rispetto all’attività esterna del sindacato, per risolvere il delicato problema dei rapporti tra contratti collettivi di diversa ampiezza. Sotto il primo profilo si sono avanzate due tesi: una che configura il sindacato come associazione complessa in senso proprio, ossia come associazione di associazioni (inferiori), l’altra che ritiene preferibile la configurazione come insieme di associazioni parallele, a cui il singolo socio appartiene contemporaneamente. In realtà simili ricostruzioni sono riferibili, come tutte quelle civilistiche sull’associazione non riconosciuta, soprattutto agli aspetti patrimoniali dei rapporti associativi.
Alessandro Saggini
(LucidaMente, anno XV, n. 169, gennaio 2020)