Una ricerca di Luigi Ambrosi, edita da Rubbettino, propone una nuova lettura della rivolta di Reggio Calabria del 1970-71
Un gruppetto di ragazzi di strada, le facce arse dal sole, un fazzoletto a coprire il volto e sassi in mano, pronti a essere scagliati contro i blindati. Gaza, o una qualsiasi città della Palestina durante l’Intifada? No: la foto raffigura Reggio Calabria durante l’insurrezione del 1970-71, ampia, generosa, dolorosa e sanguinosa sommossa – la protesta popolare urbana più lunga del Novecento -, dovuta alla mancata designazione della città dello Stretto quale capoluogo regionale, a favore di Catanzaro.
Una ribellione collettiva – Di rado da lettori ci siamo trovati dinnanzi a una copertina di un libro tanto evocativa e potente. Il volume in questione è La rivolta di Reggio. Storia di territori, violenza e populismo nel 1970 (Prefazione di Salvatore Lupo, Rubbettino, pp. 320, € 19,00) di Luigi Ambrosi. L’insurrezione di Reggio è uno di quegli episodi che nell’immaginario collettivo, probabilmente proprio perché ancora troppo “vicina” per essere storia, in un paese come il nostro che non fa mai i conti col passato, corre il rischio di essere ricordata o meglio semplicemente rappresentata con gli occhi dello schematismo ideologico. Tutt’al più viene collocata – in maniera confusa – quale uno dei tanti tasselli all’interno di quel periodo straordinariamente turbolento che sono stati gli anni a cavallo dei Sessanta e Settanta del secolo appena trascorso. Un evento che, complice l’ignoranza in storia che caratterizza il nostro paese (è appena il caso di ricordare che in seguito a un recente sondaggio la stragrande maggioranza degli studenti medi italiani pensa che a far esplodere la bomba di Piazza Fontana siano state le Brigate rosse…), si riduce nella vulgata a pochi e raffazzonati frammenti più che altro evocati e mai analizzati: il campanilismo, i fascisti, Ciccio Franco, I treni per Reggio Calabria di Giovanna Marini, il “Boia chi molla”, la normalizzazione. Questo perché, come evidenzia lucidamente Salvatore Lupo nella Prefazione, “la rivolta rappresenta, dunque, un evento assai rilevante tra quelli che segnarono la stagione dei movimenti e dei sommovimenti collettivi italiani a cavallo tra anni Sessanta e anni Settanta. Nondimeno, fu il più difficile da collocare nei quadri interpretativi prevalenti nel suo tempo”.
Tra apologia acritica e schematismi – A cercare di mettere “ordine” tra una pubblicistica spesso apologetica e testi storiografici preconcetti interviene questo bel lavoro di Luigi Ambrosi: l’autore – storico formatosi a Bologna, dottore di ricerca presso “La Sapienza” di Roma, e che attualmente collabora all’attività didattica presso l’Università della Calabria – riesce in un’impresa non facile, coniugando una solida preparazione con una prosa brillante, inconsueta nei volumi di provenienza accademica (su cui forse ha contato l’esperienza giornalistica dell’autore): il risultato è un libro scientifico ma che si farà leggere – ne siamo certi – anche fuori dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Provare a riassumere un libro di storia tanto dettagliato nei riscontri e nelle fonti non ha molto senso. Su tali caratteri basti dire che il lavoro di ricerca è stato davvero certosino e le fonti classiche (analisi di giornali, dispacci della Prefettura o delle forze dell’ordine, volantini o comunicati delle varie organizzazioni politiche e dei comitati) sono accompagnate da un rigoroso e ampio utilizzo delle fonti orali, vale a dire dei diretti protagonisti di quegli eventi e che solo oggi, a quasi quarant’anni dagli stessi fatti, hanno (è proprio il caso di dire…) voce in capitolo.
L’inizio della disputa – Vorremmo invece concentrare l’attenzione su alcuni aspetti del volume, i quali ne evidenziano l’originalità e confermano il fatto che il libro di Ambrosi è davvero il primo testo organico e compiutamente scientifico che tratta dei “moti di Reggio”. Innanzitutto la protesta del 1970 non nasce all’improvviso, bensì ha alle spalle un denso retroterra culturale, politico e sociale che viene scandagliato con molta attenzione: “La lunga disputa per il capoluogo della Calabria iniziò a “Capo d’Anno” 1947, data riportata sulla prima pubblicazione con cui si sostenne il “diritto” di Reggio a essere designata “capitale” regionale”. Già nel 1949 nacque a Reggio un Comitato permanente di agitazione promosso dagli amministratori locali, a seguito della formazione di un comitato d’indagine sul capoluogo nominato dalla I commissione permanente Affari interni della Camera dei deputati “a cui si rivolsero da allora in poi le aspirazioni delle tre città contendenti, sotto forma di pubblicazioni dimostranti la reciproca prevalenza storica, geografica, economica e di ogni altro genere”.
Un’analisi sociale, politica ed economica della Calabria – Ed è proprio l’analisi del rapporto tra Reggio e gli altri due capoluoghi calabresi, Cosenza e Catanzaro, che costituisce un altro dei motivi di maggior interesse del volume: Ambrosi ha scritto, in un capitolo, un vero e proprio saggio in nuce sul modello di crescita delle tre città calabresi e sugli squilibri territoriali della rappresentanza politica che pensiamo possa essere ulteriormente approfondito, visto il particolare interesse della materia e soprattutto considerando che proprio “su tale sfavore dei rapporti di forza si fondarono le recriminazioni dei reggini, che paventavano una loro emarginazione nel contesto regionale”, dovuta – a loro dire – ai ruoli di rilevanza nazionale dei politici originari delle altre città calabresi (pensiamo ai cosentini Mancini, Misasi e Antoniozzi o al catanzarese Pucci). Il volume, che al suo interno contiene anche una pregevole e inedita documentazione fotografica, dopo essere entrato nel dettaglio della cronologia degli eventi dei “moti reggini”, chiarendone anche passaggi delicati e spiegandone diffusamente i vari “cambiamenti” in corso d’opera, si conclude con un meritorio quanto originale capitolo nel quale Ambrosi, in maniera tranchant, tira le fila del suo studio e mette in luce quelli che ritiene essere gli elementi di attualità della sommossa stessa. Egli ritiene in primis che la rivolta fu da principio e rimase fino al termine un’insurrezione per il capoluogo, una rivolta sicuramente delle élites locali, ma al contempo interclassista e popolare. Fu un movimento localista poiché la specificità del contesto locale costituì la premessa e il riferimento per l’identità e la rivendicazione in ambito politico.
La demolizione dei luoghi comuni – Ma al tempo stesso l’autore, coraggiosamente – a rischio di creare qualche malumore e di smuovere le concezioni stantie e ripetute tralatiziamente (del resto concordiamo con Emil Cioran quando afferma che un libro per essere tale debba essere in qualche misura pericoloso) – smonta, uno per uno, i più irriducibili luoghi comuni sulla rivolta stessa; essa non fu innanzitutto una rivolta fascista (se con ciò si intende un’adesione a principi ideologici), non fu una rivolta campanilistica (e qui è interessante notare l’antitesi campanilismo/localismo), né una rivolta morale (come certa pubblicistica continua a propinare incessantemente) e infine non fu l’altro Sessantotto, quello di destra e meridionale. Insomma, quello di Ambrosi è un testo documentato e che sconquassa alcune delle verità acriticamente ripetute da decenni su questo evento. Per concludere con le parole dell’autore, “sembra che lo spirito della rivolta di Reggio, il localismo municipale, non si sia affatto spento”, e lo dimostrano le tante richieste di autonomia amministrativa di diverse cittadine della regione e non solo. Inoltre, a ulteriore conferma dell’attualità delle questioni sollevate dal volume, è intervenuta proprio poche settimane fa, in sede di primo passaggio nelle aule parlamentari del federalismo in salsa padana, la contestata istituzione di Reggio quale “Città metropolitana”. Ma questa è un’altra storia…
La recente proposta di legge… della Lega Nord – E’ quantomeno irrituale un post scriptum in una recensione, ma la realtà degli eventi supera la fantasia: leggiamo a dir poco sbalorditi sul quotidiano Calabria Ora del 23 maggio 2009, a pagina 5, che l’onorevole Enrico Montani della Lega Nord (sic!) ha presentato una proposta di legge “per Catanzaro in quanto capoluogo della regione Calabria”, che dovrebbe comportare secondo l’onorevole padano l’accentramento di tutti gli uffici pubblici a Catanzaro tra i quali il Consiglio regionale (che, come è noto, ha sede a Reggio) e la sede Rai regionale, che, invece, trasmette da Cosenza…
L’immagine: l’immagine di copertina de La rivolta di Reggio di Luigi Ambrosi.
Mirko Altimari
(LucidaMente, anno IV, n. 42, giugno 2009)