“Che non si sappia” (edito da Bertoni) palesa ancora la tipica attenzione del narratore veneto rivolta alla corruzione presente nella nostra società e agli aspetti umani dei personaggi
Non è la prima volta che la nostra rivista segnala i libri del narratore-sociologo vicentino (esattamente di Grumolo delle Abbadesse) Ausilio Bertoli (si legga, ad esempio, la recensione della raccolta di racconti Veneti in controluce). Proprio sul finire del 2023 è uscito il suo nuovo romanzo Che non si sappia (Bertoni, pp. 196, € 18,00).
Un paese di provincia, nel quale prevale il degrado
Anche in quest’opera troviamo, oltre all’impegno sociale e civile, una dimensione geografica e umana internazionale (Carinzia, Bulgaria, le migrazioni dall’Est) che trascende la stretta collocazione e ambientazione veneta. In particolare un paese di provincia (l’immaginario Borgonero) chiuso e gretto, col suo contorno di infelici immigrati e spietati sfruttatori coi loro “caporali”. Inoltre, come in altri romanzi di Bertoli, le donne, a cominciare dalla madre e dalla partner del protagonista, assumono un ruolo poetico e positivo, quasi uniche oasi fresche e delicate in un deserto di disumanità.
Il degrado ambientale, ma soprattutto morale, di Borgonero è legato allo sfruttamento del territorio, all’avidità, alla corruzione, alla malapolitica, col suo contorno di delinquenza, prepotenze addirittura violenza e persino molestie sessuali.
Le vicende sono narrate in prima persona, e l’io narrante sembra essere un alter ego dell’autore. È il sessantenne Italo, che spesso esprime le proprie riflessioni nel suo blog. Il suo antagonista è Melito, «uomo ruvido, di pochissime parole, lo sguardo gelido che incute soggezione. Alto massiccio stempiato, un gigante, la carnagione olivastra».
Borgonero-Gotham metafora del Male
Del resto, non è il solo villain Melito che va incolpato per il clima che si respira nel paese. È tutta la società di Borgonero sotto accusa, con molti suoi cittadini. Il protagonista la giudica omertosa, complice dei prepotenti. Una sorta di «gioco di maschere di pirandelliana memoria, che vengono indossate quotidianamente per difendersi dagli altri. Qui, a Borgonero, i vincitori sono coloro che riescono a entrare nella parte, della maschera. I perdenti sono invece quelli che la maschera se la tolgono, mostrando la propria vera natura».
E sono presenti molte altre amare riflessioni, che spesso trascendono il limitato orizzonte della località nella quale è ambientato il romanzo. Come queste: «Oggi ho riflettuto su quanto il male possa cambiare un paese e le persone che ci abitano. Il peccato è più forte del bene tanto da insinuarsi anche laddove non c’è predisposizione? Spesse volte è più forte. […] Il nostro prete continua a spronare i fedeli a credere in un futuro migliore. Ma esiste un domani in un luogo segnato dalla disonestà e dalla violenza?».
Italo compie un singolare accostamento, ribellandosi alla rassegnazione dell’“è stato sempre così”: «Ho sempre pensato che Buco Nero [il nome col quale l’autore talvolta denomina Borgonero, ndr] assomigliasse un po’ a Gotham City. Perché non si sa bene quando sia avvenuta la trasformazione da luogo tranquillo e sereno a regno del peccato. Pensateci: Gotham è sempre stata così nera? Nessuno ha ricordi in merito, ma tutti accettano il cambiamento come se fosse naturale».
L’elegia del passato per sperare in un futuro migliore
L’unica salvezza, allora, sarebbe quella di ricordarsi di un passato magari più semplice, meno indirizzato ai beni materiali, ma più pulito: «Quando il male si insinua nel tessuto sociale c’è da sperare che non intacchi le origini, le radici. Solamente le radici hanno il potere di creare ponti, speranze, appigli, orizzonti e prospettive, ovvero il futuro. È grazie al passato che creiamo il futuro».
E, così, tutto il romanzo assume un tono elegiaco. Tuttavia, nonostante il sottofondo malinconico, la narrazione ha un buon ritmo e, quindi, procede ficcante, spedita, con dialoghi che chiariscono il ruolo e la psicologia dei personaggi, svelando via via particolari sempre più rilevanti.
Non anticipiamo altro, lasciando al lettore il piacere di gustarsi il movimentato finale, con molta azione e vari colpi di scena. Unendo, così, la presa di coscienza civile di una provincia italiana corrotta e cupa, con le sorprese di un thriller. Ma non possiamo tralasciare di affermare che il romanzo di Bertoli è ben scritto, molto corretto nel lessico e nello stile, e pubblicato con cura dall’editore. Tutte qualità oggi tutt’altro che scontate.
Le immagini: la copertina di Che non si sappia e una foto dell’autore.
Emilio Lonardo
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 218, febbraio 2024)