Il tema della pedofilia in “Una ferita aperta” (Sovera Editore) di Renzo Rocca e Giorgio Stendoro
«L’abuso del fanciullo per scopi sessuali non è diverso dallo sfruttamento dei minori in campo lavorativo. In entrambe le situazioni i bambini sono vittime della violenza. Di recente il mondo scientifico ha cominciato ad interessarsi del tabù dell’adulto abusante e del minore abusato. È emerso che nel mondo milioni di minori di ambedue i sessi sono vittime di violenze sessuali che producono un giro d’affari astronomico, in continua crescita esponenziale».
(da Una ferita aperta, Sovera Editore, 2007)
Renzo Rocca e Giorgio Stendoro
Pensiamo che non vi fossero parole migliori di quelle tratte dalla Nota iniziale, stesa da parte degli stessi autori, per introdurre la delicata problematica sviluppata nel primo romanzo (Una ferita aperta, collana Narrare, Sovera Editore, pp. 160, € 12,00) degli psicanalisti Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, dopo undici opere di carattere scientifico.
Una tematica dolorosa In effetti, la violenza sulla parte più debole e indifesa dell’umanità, l’infanzia e l’adolescenza, è uno dei crimini più terribili che possano perpetrarsi. E ci è piaciuto anche l’accostamento tra sfruttamento del lavoro minorile e abusi sessuali sui fanciulli: sono due facce dello stesso volto di un pianeta e di una società violenta, dove il profitto predomina su ogni reale valore umano.Certamente il fenomeno della sessualità tra un adulto e un ragazzo, o addirittura un minore, non data da pochi anni.
Una storia lunga quanto l’umanità In molte società dell’antichità, quale quelle greca e romana, o in altre orientali, rientrava nel costume “normale”. Tuttavia, molte erano le “disposizioni” che regolavano tale rapporto, tra cui l’esclusione dei veri e propri bambini. Con la vittoria, dal Medioevo in avanti, delle religioni monoteiste, in primis di quella cristiana, e delle loro rigide morali, tendenti a colpevolizzare ogni tipo di sessualità, paradossalmente, la pedofilia è diventata una vera e propria piaga: più diviene proibita e perseguitata, più è collegata al senso di colpa e all’ansia, confinata negli oscuri cunicoli delle “depravazioni”, tanto più si fa sregolata, dannosa e violenta.Oggi, come vedremo più avanti, tale pratica sessuale rientra anche nella logica del “mercato globale” e dello sfruttamento dei poveri: tutto si può ottenere, se si paga adeguatamente.
![5-Una-Ferita-Aperta[1]](https://www.lucidamente.com/wordpress/wp-content/uploads/2008/01/5-Una-Ferita-Aperta1-191x300.jpg)
Tornando a Una ferita aperta, il romanzo racconta la storia di Gianni Caccini, un giovane «alto, bello e decisamente sensuale», di 24 anni al tempo della narrazione del libro. Purtroppo, quando aveva 13 anni, un uomo, Paolo Sasso, legato a Elisabetta, la madre vedova del protagonista, dopo averlo ripetutamente molestato, lo ha violentato con la snaturata complicità proprio di Elisabetta. Grazie all’aiuto di varie persone – la generosa coppia Claudio e Maria, la nonna Anna, la fidanzata Sandra -, oltre che della psicoterapia, Gianni riesce a superare il trauma subìto e ad aprirsi interamente a una vita nuova, positiva e gratificante:
«Mi metto a ridere: la musica è il solo piacere sensuale senza vizio. A casa ho voglia d’ascoltarmi un CD, così al buio, prima di prender sonno. Un Quintetto di Brahms, trasparente come un lago di montagna. […] Mi sento allegro e felice. Galleggio e mi va bene così».
Nella vicenda troviamo tanti elementi comuni a situazioni del genere. Innanzi tutto, come si è visto, il favoreggiamento della madre. Ancora, i bisogni “materiali” delle persone (Gianni ed Elisabetta, dopo il trasferimento da Firenze a Sesto San Giovanni, si trovano in difficoltà economiche). Inoltre, anche Paolo era stato violentato da piccolo. Infine, una famiglia problematica. Antonio, il padre di Gianni, si è suicidato; incantevole e straziante al tempo stesso l’ultimo ricordo del figlio:
«Ricordo che avrò avuto sette, al massimo otto anni. Eravamo assieme quella sera che salivamo le scale di casa, mentre tenevo la mia mano sulla sua. Non so come è successo, ma la mia mano è scivolata via. Ho guardato il suo viso. Si è trasformato nell’istante in cui ho cercato di allungarla di nuovo. La sua mano si è mossa per stringere la mia per pochi secondi, poi m’ha detto grazie. E poi, con un brusco balzo si è spostato da dove eravamo, ed eccitato ha ridisceso le scale. Ha incominciato a correre all’aperto in barba alle raffiche di pioggia. Non lo sapevo, ma in quel momento si è allontanato per sempre da me, ammazzandosi dopo neanche un’ora».
La madre è poco sensibile verso il figlio, presa com’è dai problemi quotidiani e dalla voglia di far denaro per far fronte alla vita o per migliorare socialmente:
«Dopo la scomparsa di papà, la mamma non è stata più la stessa. […] Non mi permetteva di andare a giocare con i compagni di scuola. Mi teneva sempre lontano da tutti. Quando riusciva a trovare lavoro, lei mi lasciava chiuso a chiave nella mia camera semivuota. Non aveva tempo per badare a me: era meglio evitare questo argomento. Senza ribellarmi rimanevo per ore a guardare gli scarafaggi che si muovevano lentamente sulla superficie del mio soffitto».

Non viene dato quasi alcuno spazio alla pratica terapeutica fondata dagli stessi Rocca e Stendoro, – la “Procedura Immaginativa” -, attraverso la quale il paziente riesce pian piano a superare i blocchi emotivi, a riappropriarsi della propria energia psichica e a operare positivamente per migliorare il proprio stato. È uno strumento fondato essenzialmente sull’immaginario, che può essere compreso da tutti perché non ha bisogno di traduzioni, in quanto si serve con spontaneità e naturalezza di simboli universali, legati alle più profonde emozioni dell’individuo. L’immaginario, come spazio offerto all’inconscio, è il luogo dove possono accadere le cose e dove avviene la fruizione dei fattori di mutamento sensibile:
«Quando si fondono l’idea della speranza e l’idea dell’amore, ne nasce il senso di sicurezza. Cioè la base psicologica per controllare qualsiasi emozione».
Semmai, se si vuol rinvenire qualche difetto, bisogna evidenziare alcuni schematismi, i limiti intrinseci all’intento didattico-didascalico, taluni scioglimenti narrativi forse romanzeschi, quasi fiabeschi, certa oleografia…

Il romanzo è ambientato in diversi luoghi, legati alle varie vicende dei personaggi: Cortona, Firenze, Sesto San Giovanni, Milano, Lugano, Sri Lanka. Tuttavia, è indubbio che sia il capoluogo lombardo il centro spaziale ed emotivo del libro. In molteplici pagine, durante le belle passeggiate che fa Gianni, vengono descritti luoghi, monumenti, atmosfere, o esposti pezzi di storia della città meneghina (la Galleria Vittorio Emanuele II, corso Buenos Aires, il Duomo, il Castello Sforzesco, l’Arco di Trionfo, la Colonna di piazza San Babila):
«Per oltre quattrocento anni, il Naviglio Grande è stato al centro dello sviluppo economico, commerciale e agricolo di Milano. A quei tempi le strade erano poche e insicure. Il mezzo di trasporto più adatto era senz’altro quello fluviale. Senza fiumi, o mare, Milano riceveva l’acqua dall’Adda che è distante diversi chilometri. I battenti della chiusa sono stati perfezionati da Leonardo da Vinci quando soggiornava presso gli Sforza…».
In conclusione, ha ragione Gianni quando afferma:
«Beh, non posso lamentarmi del mio insegnante di Storia al liceo. Mi ha dato la gioia di imparare: la cosa più sacra in questo mondo».
Giunto in Sri Lanka, Paolo, per giustificare l’uso del corpo di minori, tra cui quello del bellissimo Raj, per i propri fini sessuali, compie le seguenti riflessioni:
«”Che cosa c’è di male in ciò che facciamo? Dicono che noi violentiamo i bambini. In tutti i paesi poveri dove sono andato, i bambini son trattati da schiavi. Lavorano quattordici-quindici ore al giorno per qualche dollaro ed un pasto. Venendo con noi riescono a mantenere le loro famiglie almeno per un po’. Il lavoro è fare l’amore. Non dura quattordici-quindici ore per sette giorni alla settimana. Sono gli unici che non vanno a dormire piangendo per la fame e la stanchezza. Io ho sempre cercato di trattar bene quelli con cui sono stato. Davvero, non mi sento di avere alcun rimorso…”».
Tale ragionamento, nel mondo di orrendo sfruttamento economico che viviamo, non è peregrino e ha un suo freddo fondamento. Probabilmente avrebbero usato le stesse argomentazioni il tedesco Wilhelm von Gloeden o il francese Jacques d’Adelsward-Fersen, aristocratici che, tra fine Ottocento e inizi Novecento, si trasferirono a Taormina e a Capri per esaudire, attraverso la loro arte (fotografo il primo, letterato il secondo) anche i loro bisogni omosessuali con ragazzini del luogo, ovviamente belli, innocenti, poveri e affamati. Incredibilmente, grazie proprio anche alla loro “pubblicità”, le due note località italiane iniziarono il loro “decollo” e cominciarono a essere mete predilette del turismo internazionale, per le stesse ragioni per cui lo sono oggi certe località tailandesi o brasiliane. Insomma, cambia sempre poco. Come si diceva all’inizio, i ricchi sfruttano i poveri: nel campo economico, lavorativo e persino sessuale. Quanta tristezza!
Per ulteriori informazioni sull’argomento della pedofilia e su altre problematiche: Istituto di Psicologia clinica Rocca-Stendoro – via Torino 51 – 20123 Milano; tel e fax 02-80500395; www.rocca-stendoro.it; ist.roccastendoro@libero.it
L’immagine: la copertina del libro e i due psicanalisti Renzo Rocca e Giorgio Stendoro.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno III, n. 11 EXTRA, 15 febbraio 2008, supplemento al n. 26 dell’1 febbraio 2008)