Pubblicato di recente da La Gru, la raccolta di racconti “Il cavaliere blu” di Simone Di Cola afferma il valore dell’immaginazione contro la fredda razionalità
Occhi blu. Un cavallo blu. Una palla blu. Una tutina blu e, ancora, un altro cavallo blu. Vene blu, infine. Sei oggetti per sei racconti, accomunati dal colore blu, «il colore della spiritualità, in grado di risvegliare l’umano desiderio per l’eterno». È questo il filo conduttore della raccolta di racconti Il cavaliere blu (Edizioni La Gru, pp. 92, € 13,00) di Simone Di Cola, uscito a maggio 2021.
Di Cola riprende temi già trattati nel suo romanzo d’esordio, Ferenc K. (vedi la nostra precedente recensione La ribellione dell’uomo senza Abitudine). Ritornano personaggi introspettivi, nevrotici ai limiti del patologico, così come ritornano i frequenti riferimenti filosofici e le storie di una borghesia gretta e calcolatrice, le cui pulsioni materialistiche finiscono per condurre all’autodistruzione. In opposizione alla meschinità e alla piccineria si staglia il colore blu, elemento ricorrente in tutti i racconti, che vuole rappresentare «il lato emotivo della realtà, una realtà filtrata con occhi artistici contro una visione della realtà oggettiva e razionalistica». Ovvero, tutto ciò che la morale borghese tenta di reprimere. Fra ribelli impotenti che ricordano la vana ribellione all’abitudinarietà capitalista di Ferenc K., figure cristologiche trasportate nel più prosaico scontro intergenerazionale fra genitori-padroni e un fallito artista dalle aspirazioni anarcoidi, nei racconti de Il cavaliere blu ricorrono spesso citazioni dalle Sacre Scritture e temi cristiani per eccellenza, come la colpa, il perdono e la redenzione.
Quasi a rappresentare una alternativa, pur sofferta, all’adorazione imperante del «Dio Denaro», l’autore sembra intravedere una possibilità di resistenza nella religione o, almeno, in una spiritualità peraltro priva di ogni carattere di Sacro. Un altro tema appare cruciale nelle ambientazioni poco descritte, quasi scarne e tutte intellettuali della raccolta del narratore: il terribile potere che la parola possiede se utilizzata male. Parole come «vetri rotti», sotto i cui colpi cade ucciso il protagonista del racconto Le ali della formica. Moderni ladroni che, messi in croce da un calcolo spietato che non tiene conto delle conseguenze, si trovano a dover sperimentare su se stessi il peso delle parole e delle etichette.
La speranza sembra abbandonare i personaggi che Di Cola mette in scena in un mondo fantastico, dove un commerciante tenta di vendere felicità e, nonostante le regole dell’economia classica giochino tutte a suo favore, è destinato allo scacco. O dove disegnare cavalli blu è la manifestazione tangibile di una intelligenza pericolosamente sovversiva: «I numeri, numeri sempre più grandi, a venti cifre, a trenta cifre, numeri che sovrastavano ogni cosa e che avevano tolto di mezzo i cavalli. Dove erano finiti? Perché non si vedevano più in giro i cavalli? Io avrei dato il mio regno per un cavallo». Non rimane che una liberatoria cavalcata sopra un immaginario cavallo blu, in cui si sprigiona tutta la potenzialità rivoluzionaria della fantasia e dell’arte.
Le immagini: la copertina della raccolta Il cavaliere blu, di Simone Di Cola; il quadro I grandi cavalli blu di Franz Marc (1911); la statua di un cavaliere di HungaryCameraClub via Unsplash.
Edoardo Anziano
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 186, giugno 2021)