Una tematica al centro di molti romanzi. Vediamone alcuni esempi in Werfel, Simenon, Kundera, Maurensig
Solo le donne amano davvero? Alla follia? Non sappiamo se sia vero. Nella storia e nella letteratura incontriamo molti esempi di uomini innamorati e devoti fino all’estremo. Tuttavia, l’amore e l’eros sono certamente i campi nei quali è signora e maestra la donna. E, si sa, l’amore lambisce sempre quello che, forse, è il suo opposto: la morte.
Esiste un solo vero amore: quello passionale, quello reso arduo, se non impossibile, dalle circostanze esterne e che, quindi, non s’abbasserà mai a un livello di banalità, quotidianità, abitudine. In questi casi, la dedizione dell’amante per l’altro/a è assoluta. In cinque romanzi degli ultimi ottant’anni ci è capitato di incontrare belle figure femminili che amano e vengono ingannate, tradite, non ricambiate; con esiti dolorosi, se non tragici. Andando in stretto ordine cronologico di uscita delle opere, cominciamo con Una scrittura femminile azzurro pallido (1941) di Franz Werfel (Praga, 10 settembre 1890 – Los Angeles, 26 agosto 1945). Il protagonista, Leonida, di umili origini, è un arrampicatore sociale, un arrivista che ha saputo sfruttare fino in fondo il caso e il proprio aspetto seducente, giungendo a sposare una giovane, ricca e bella ereditiera, Amelie. Per pervenire al successo, ha abbandonato Vera, con la quale aveva trascorso sei settimane di passione amorosa quando era già promesso sposo, senza fornire alcuna spiegazione, cinicamente, quasi con sprezzo.
Non solo; ha vigliaccamente cestinato senza neppure aprirla una lettera che qualche tempo dopo gli era pervenuta da lei. Ma arriva un’altra missiva di Vera: «Dopo un’eternità, dopo diciotto lunghissimi anni, malgrado si fosse messo al riparo sotto ogni aspetto, la verità lo aveva raggiunto»… E sarà una verità dolorosissima. Ne I clienti di Avrenos (1934) di Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989), non si comporta meglio verso una donna innamorata l’ormai quarantenne Bernard de Jonsac, indolente dragomanno (tuttofare) francese presso la propria Ambasciata di Istanbul. Bernard è affascinato, come tutti gli uomini della sua pigra compagnia nottambula, dall’inafferrabile Nouchi, giovanissima, ambigua, entraîneuse ungherese. Nondimeno, nel ridicolo tentativo di ingelosirla, irretisce invece l’ingenua, fragile, Leila Pastore, facente parte di una ricca famiglia borghese: la relazione termina con esiti devastanti. Oltre all’apatia e alla passività, a caratterizzare un altro personaggio di Simenon, Marcel, è la mancanza di coraggio e la preferenza quasi rassegnata accordata alla moglie e alla famiglia. Il romanzo è Il treno (1961), il cui sfondo è davvero funesto.
Ci troviamo nella Francia del 1940, con l’esercito invasore tedesco che avanza da Paesi Bassi e Belgio e la maggioranza dei francesi residenti nelle città di confine che fuggono come possono, con mezzi autonomi o con treni speciali, spesso mitragliati dagli aerei nazisti. In questo orrendo contesto, nasce un amore intenso e travolgente, come può esserlo solo quello disperato ed effimero, tra Marcel Féron e un’altra profuga, la misteriosa Anna Kupfer, liberata da un carcere olandese. Terminata la fase bellica dell’occupazione nazista, l’uomo torna nella propria cittadina con moglie e figlia e i due amanti devono separarsi. S’incontrano fuggevolmente solo un’altra volta. È l’ultima pagina del romanzo: «“Devo parlarti, Marcel. È la mia ultima possibilità. Sono a Fumay con un aviatore inglese che devo condurre in zona libera. […] Qualcuno ci ha denunciati e la Gestapo è sulle nostre tracce. Dovremmo nasconderci per alcuni giorni in un luogo sicuro, il tempo che si scordino di noi”. “I tedeschi mi sorvegliano. Già due volte…”. “Ho capito, Marcel” ripeté. “Non te ne voglio. Scusami”». Il romanzo si conclude con Marcel che fotografa il suo presente dopo la vera storia d’amore con Anna: «Ho una moglie, tre bambini, un’attività commerciale in rue du Château». Noi due senza domani (Le train) è un film del 1973 diretto da Pierre Granier-Deferre (splendidi protagonisti Romy Schneider e Jean-Louis Trintignant), tratto dal romanzo di Simenon, ma con un finale pressoché opposto.
Il quarto romanzo che suggeriamo alla lettura è Il valzer degli addii (1973) di Milan Kundera (Brno, 1929). Anche questo, come tutte le altre opere narrative dello scrittore ceco, ondeggia deliziosamente tra la commedia, quasi vaudeville, il divertissement, il romanzo-saggio ricco di riflessioni filosofiche, morali, esistenziali, storiche, e il dramma, con una moltitudine di personaggi dai destini incrociati, dagli intrecci ed equivoci imprevedibili. Il rapporto centrale è quello scaturito da una sola notte di passione tra Ružena, infermiera in un piccolo centro termale a quattro ore di treno da Praga, e Klíma, noto trombettista jazz. Gli inganni, i maneggi, la vigliaccheria, la superficialità e il caso condurranno a un finale che, ovviamente, non sveliamo. Un esito del quale tutti sono colpevoli e tutti sono innocenti… Già lo scorso dicembre, su LucidaMente n. 180, avevamo trattato del recente Pimpernel, complicato romanzo di Paolo Maurensig (Gorizia, 1943). Per la struttura del libro e la vicenda narrata, rimandiamo alla nostra recensione. Lo stesso sottotitolo dell’opera (Una storia d’amore) ci fa capire il suo argomento principale.
Ma, all’amore difficoltoso con la diafana e delicata Annelien Bruins, l’ambizioso scrittore Paul Temple antepone la necessità di non perdere il treno: «Tornò a Venezia solo per ritirare il bagaglio che aveva lasciato in pensione. Rientrò tardi, e soltanto la mattina seguente il portiere lo informò che la sera prima una giovane donna era venuta a chiedere di lui e che, non trovandolo, si era aggirata per lungo tempo lungo le rive. A quella notizia il suo cuore subì un contraccolpo. Non poteva che essere lei! Il primo impulso fu quello di rimandare la partenza per andarla a cercare, ma subito dopo qualcosa lo convinse che così facendo avrebbe peggiorato le cose. Ahimè, era troppo tardi per certi ripensamenti, già aveva i minuti contati per arrivare alla stazione ferroviaria. Non poteva permettersi di perdere quel treno: l’unico mezzo che l’avrebbe portato a Genova appena in tempo per imbarcarsi sul piroscafo in partenza per gli Stati Uniti. Inoltre […] il pensiero della moltitudine di lettori che lo acclamavano in patria lo indusse a desistere». Come abbiamo preferito fare per tutti gli altri romanzi, lasciamo in sospeso molti aspetti delle vicende narrate e il finale. E le lettrici e i lettori che hanno avuto la pazienza di leggerci finora cosa pensano dei personaggi descritti? E loro, come si sarebbero comportati?
Le immagini: (oltre le copertine dei libri) a uso gratuito da pixabay.com.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 182, febbraio 2021)