La serie tv, che si avvia verso la terza stagione, è di pregevole qualità per la fredda raffinatezza delle immagini, per l’atmosfera cupa e avvolgente e per la mancanza di ipocriti moralismi
Finalmente una serie tv non mielosa, non buonista, non politically correct, che non vuole trasmettere messaggi positivi. Bigotti, baciapile e moralisti di destra e soprattutto di sinistra, astenetevi sia dal seguirla sia dal continuare a leggere questo nostro articolo… Trasmessa dall’emittente televisiva statunitense Starz dal 10 aprile 2016 (la seconda stagione dal 5 novembre 2017), in Italia The Girlfriend Experience è andata in onda a pagamento il giorno dopo su Infinity.
Fino a pochi giorni fa, a fine 2020, le stagioni 1 e 2 sono state riprogrammate in chiaro a tarda notte sul Canale 20 di Mediaset, che già l’aveva trasmessa più volte in varie collocazioni. Le prime due serie sono state ideate, scritte e dirette dai registi indipendenti Lodge Kerrigan e Amy Seimetz, traendo spunto dall’omonimo film del 2009 di Steven Soderbergh, che peraltro figura tra i produttori esecutivi. Dopo le prime due stagioni, composte rispettivamente da 13 e 14 episodi, ciascuno di circa 25 minuti, a breve dovremmo assistere alla terza, suddivisa in 10 episodi scritti e diretti da Anja Marquardt (ancora Soderbergh e Philip Fleishman produttori esecutivi). A essere protagoniste degli episodi sono delle donne, che, con varie motivazioni, e grazie ai siti specializzati in giro per la rete, praticano negli Stati uniti il mestiere dell’escort di alto, altissimo livello (a partire da 500 dollari o più all’ora).
Molto frequenti ed esplicite, anche se sempre raffinate e senza scadimenti nella volgarità e nella pornografia, le scene di rapporti sessuali, spesso saffici, a tre e con “fantasie” varie dei clienti. Circa il 50% di ogni episodio consiste proprio nella loro raffigurazione. La prima stagione ci è parsa la migliore, con una splendida attrice quale l’apparente angelica Riley Keough, stagista di Diritto che sceglie volutamente la redditizia strada della prostituzione d’alto bordo e non si fa scrupoli nell’imbastire ricatti dai quali ricavare sostanziosi indennizzi. La seconda consisteva in due storie parallele: una, più d’azione, basata sulla protezione di una testimone di colore dei delitti di un malvivente, di cui era la partner; l’altra sui finanziamenti illegali a un candidato del Partito repubblicano, mentre turbinano i tesi amori saffici tra le protagoniste principali. La terza pare avrà al centro il mondo della tecnologia avanzata.
Nessuna e nessuno è buono. I rapporti tra le persone sono basati solo e sempre sul potere e sul denaro (tanto). Gli ambienti sono quasi sempre lussuosi: uffici posti su grattacieli, vetrate che danno sul cielo, hotel di lusso, ristoranti e bar dove il solo sedersi costa quanto un pranzo completo. Mancano completamente non solo sorrisi, se non affettati, ma alberi, fiori, animali e – abbiamo notato con orrore – libri. Tutto è tecnologico, informatizzato, automatico. E cupo. Gli interni sono enormi, splendidi, funzionali, ma grigi, vi domina un freddo glaciale. Tutto è lecito, ma, se trasgredisci una delle silenti regole di questo mondo della jet society anglosassone, sei fuori, senza alcuna pietà. Gli autori non intendono denunciare, condannare, lanciare messaggi moralistici. L’occhio della telecamera è spietatamente oggettivo. È la rappresentazione di una realtà socioeconomica così com’è. È l’odierno, schifoso mondo capitalista, della finanza e degli affari, baby.
Eppure, la perfetta bellezza di ciò che compare sullo schermo (comprese le donne), gli ambienti, il design di ogni oggetto, la ricchezza e il lusso, la fotografia curatissima, fanno sì che The Girlfriend Experience sia a forte impatto estetico, tanto da essere apprezzata più dalla critica che dagli spettatori, nonostante le forti scene di sesso, forse troppo raffinate per le masse. Ma c’è di più. Oltre alle perfette musiche elettroniche, la serie è caratterizzata da un costante sottofondo costituito da rumori, d’ambiente o urbani, o suoni che creano un’aura di mistero, di attesa, di tensione, come se il dramma fosse sempre imminente. E, allora, grazie anche a questo stilema, l’atmosfera che si delinea riporta alla mente i film di David Lynch. Fosse solo per questo, la serie va guardata e seguita, apprezzandone la davvero insolita, un po’ cerebrale, certo aristocratica qualità.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 181, gennaio 2021)