Un anno fa veniva pubblicato in Italia da Guanda l’ultimo libro di Jonathan Safran Foer “Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi”. Eccone i maggiori pregi
Il 26 agosto 2019 usciva in Italia la più recente fatica di Jonathan Safran Foer, uno tra i saggisti americani maggiormente impegnati contro gli allevamenti intensivi. La pubblicazione s’intitolava Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi (Ugo Guanda Editore, pp. 312, € 18,00).
Ormai oltre dieci anni fa se n’era già occupato attraverso Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? Fornendo analisi e dati importanti. Questa volta, però, pone l’accento sulla dimensione intima e personale. Lo scrittore sottolinea quasi subito come, nonostante molti sappiano quanto sia urgente ridurre l’impatto ambientale, nella quotidianità non si ha l’impressione di essere nel bel mezzo di una furiosa guerra per la sopravvivenza, non si percepisce la necessità di agire radicalmente nell’immediato presente. Foer chiama questo stato «distanza tra comprensione e sensazione». Infatti, numerosi riconoscono vi sia un problema, ma non si spingono oltre la mera acquisizione nozionistica; manca, quindi, il contributo pratico da parte del singolo. Per spiegare meglio cosa intenda con partecipazione collettiva fornisce esempi storici e non in cui essa ha fatto la differenza.
Grazie a una piacevolissima dote narrativa, descrive come durante la Seconda guerra mondiale i cittadini, prima delle città lungo la costa orientale americana, poi di tutto il Paese, spegnessero le luci al tramonto. L’obiettivo era «impedire ai sommergibili tedeschi di sfruttare la retroilluminazione urbana per individuare e affondare le navi in uscita dai porti». La causa generale era sostenuta dall’intera comunità, un atto, dunque, che da solo non avrebbe potuto stravolgere gli esiti del conflitto, ma senza il quale forse il risultato non sarebbe stato il medesimo.
Come precisa il saggista durante un’intervista rilasciata al giornalista Riccardo Stanagliò e apparsa su Il Venerdì di Repubblica del 23 agosto 2019, l’analogia tra la situazione attuale e la guerra è calzante. Si tratta di cambiare abitudini consolidate perché in gioco vi è la vita. Per questa ragione tutti decisero di spegnere la luce. Ecco la parola su cui a pagina 84 il lettore non può non soffermarsi: «decisione», «dal latino decidĕre, che significa “tagliare via” […] ogni decisione esige una perdita, non solo di quello che avremmo potuto fare, ma del modo a cui la nostra azione alternativa avrebbe contribuito […] Viviamo in una società che ha raggiunto traguardi materiali senza precedenti […] siamo portati a definirci attraverso quello che abbiamo: proprietà, soldi, opinioni e like. Ma a rivelare chi siamo è quello a cui rinunciamo». Una semplice quanto fondamentale osservazione in grado di spingere il pubblico a tentare fare un passo in avanti.
Tentare perché non è semplice, ma il messaggio dell’opera vuole colpire coloro che si definiscono sensibili al tema e cerca di far rivedere loro l’effettivo impegno dedicato nel combattere il cambiamento climatico, ovvero «la più grande crisi che l’umanità abbia mai dovuto affrontare». Lo stesso autore s’inserisce all’interno della cerchia di chi potrebbe fare meglio, dicendo: «non so ancora come me la caverò, ma devo trovare un modo». Sicuramente un libro scorrevole, che scandaglia il sentire e le coscienze di molti, in primis dello scrittore che così facendo accompagna e non fa sentire solo il proprio pubblico.
Le immagini: le copertine di Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi e Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?
Arianna Mazzanti
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 176, agosto 2020)