Una mamma, una figlia scomparsa tragicamente, e una scelta commovente e civile. Un racconto doloroso, ma ricco di emozioni dominate e di dignità
L’inverno alle porte si sta imponendo in questo novembre dal tempo bizzarro. Me ne accorgo ora, in particolare, mentre mi sto chiudendo alle spalle la porta a vetri che separa un cortile esterno dagli uffici dell’anagrafe del mio quartiere, in Comune.
Sto varcando questa soglia.
L’ho fatto svariate volte, nella mia vita, ad esempio per rinnovare il mio documento di identità o per richiedere i certificati anagrafici che, tempo dopo tempo, mi occorrevano. Già, la mia vita. Una settimana fa ho spento sette candeline, una per ogni decina finora vissuta; eppure mi pare finita già da qualche decennio. Per la precisione, dal momento in cui avrei voluto andarmene via anche io, insieme a lei.
Lei che, nel lontano 1982, mi rese madre per la prima volta. La mia bambina che, a 18 anni, cerebralmente moriva mentre un nuovo secolo stava nascendo.
Sto varcando questa soglia.
È arrivato il momento di farlo, finché la salute e soprattutto i neuroni sono ancora in grado di farmi fare delle scelte consapevoli, una su tutte. Lo devo a me stessa. Sono sempre stata convinta che il bene più prezioso che possieda un essere umano sia la dignità. E, da un giorno all’altro, proprio questa è mancata a mia figlia, dopo l’incidente che l’ha ridotta in stato vegetativo.
La mia bambina stava diventando una donna meravigliosa dal carattere solare, sempre pronta ad aiutare il prossimo anche in attività di volontariato. Era appena diventata maggiorenne. E proprio a una festa di compleanno per i diciotto anni si stava dirigendo la maledetta automobile in cui sedevano lei e quello che lei amava definire “il mio amico speciale”. Stava nascendo un sentimento autentico fra loro, me lo aveva confidato in un tardo pomeriggio di pioggia. E le sue parole erano state capaci di illuminare, come un potentissimo raggio di sole, quella giornata uggiosa e la mia quotidianità, allora resa inquieta dai pensieri rivolti all’adolescenza di mio figlio.
Ma come faccio, ancora oggi, a parlare di inquietudine in questi termini? Proprio io che, allora, non avevo nemmeno il sospetto di cosa significasse realmente questa parola: quel sentimento capace di togliere il respiro e di far sentire un essere vivente improvvisamente sprofondato in un inferno che non sente di aver meritato.
Sto varcando questa soglia.
Lo devo alla mia bambina. La sera dell’incidente stava andando con il suo “amico speciale” a una festa in periferia. Era inverno e il primo vero responsabile della carambola compiuta dall’automobile è stata la nebbia. Dalla ricostruzione dei fatti operata dalle autorità, non sono infatti risultati coinvolti altri veicoli, né la loro auto viaggiava a una velocità non consentita in un percorso statale fuori città.
Eppure è successo, nonostante io, dopo più di un ventennio, non riesca ancora a capacitarmene: la macchina è stata sbalzata fuori strada, quasi spinta da una misteriosa forza oscura, ed è piombata, come un razzo impazzito, su un cordolo di cemento al lato destro della carreggiata e lei è finita fuori dall’auto. La voce di chi, quella sera, mi chiamò al telefono piomba ogni notte nel mio sonno tormentato nonostante i rimedi, naturali e non, che ho necessariamente dovuto assumere per potermi staccare, anche solo momentaneamente, dall’incubo che vivo dal 2000.
Lo stato di coma irreversibile in cui trovai mia figlia quando mio marito e io corremmo da lei in ospedale staccò dalla vita anche me. Se ne accorse subito il medico, vedendo che mi sentivo mancare: mi aveva appena spiegato che, in assenza di airbag, la sua testa aveva sbattuto impetuosamente contro la barriera di cemento. Ma non abbastanza violentemente da interrompere il comando di continuare a pulsare, inviato dal cervello al cuore; come invece era capitato al suo “amico speciale”, per il quale i soccorsi erano stati inutili.
Non ho ancora trovato, né la troverò mai, una risposta al quesito che da più di cinque anni sta lacerando i miei pensieri: se proprio doveva succedere, perché questo incidente non è accaduto nel 2018?
Con la Circolare n. 1/2018, infatti, il Ministero dell’Interno-Direzione centrale per i Servizi demografici ha fornito le prime indicazioni operative a seguito dell’entrata in vigore della Legge sulle norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento che tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona; stabilendo che, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Un bel “regalo di Natale” per chi, come mio marito e me, possono vivere, con meno angoscia di quella che già provano, il fine vita dei loro familiari che avrebbero voluto sfuggire a un accanimento terapeutico.
Infatti, la persona che deposita un testamento biologico – o biotestamento – e che in seguito passa a una condizione di fine vita, nonostante il sopraggiunto stato di incoscienza, può esaudire la propria richiesta fatta attraverso le DAT (disposizioni anticipate di trattamento) di porre fine a un’esistenza senza più via di uscita.
Un’esistenza proprio come quella della nostra bambina, attaccata per anni a macchinari, con la flebile speranza che potesse uscire da un coma irreversibile.
Aveva appena compiuto 18 anni, eppure si era espressa verbalmente, commentando insieme il caso di due nostri conoscenti che avevano riportato gravi danni cerebrali: il primo a seguito di un aneurisma e la seconda a causa di una meningite curata in extremis.
Il suo fermo convincimento era stato il medesimo in entrambe le casistiche: «Al posto loro avrei preferito morire subito». Conoscevo ogni anfratto della mente di mia figlia e quella sua presa di posizione era supportata dall’altissimo senso di responsabilità che lei aveva nei confronti della sua famiglia: non avrebbe mai sopportato l’idea di essere un peso per noi.
E nemmeno noi, la sua famiglia, siamo mai riusciti a sostenere psicologicamente il peso di vederla attaccata a quelle macchine, contro la sua volontà. Mio marito qualche tempo dopo ha avuto un attacco di cuore dal quale si è malamente riavuto e io… io vado avanti a rimedi, naturali e non.
Sto varcando questa soglia.
Lo devo ai miei familiari, mio marito e mio figlio: desidero toglierli dall’angoscia di una scelta che, qualunque essa sia, li farebbe soffrire.
Mio marito ha già patito abbastanza. Quanto a mio figlio, è diventato un padre appagato dalla sua famiglia, costruendosi, negli anni, la propria vita. E non è giusto che, qualsiasi grave malattia dovesse accadermi in futuro, lui venga anche soltanto a trovarsi nel dubbio atroce con cui ha convissuto, seppur indirettamente tramite noi, prima di perdere definitivamente la sorella.
Sto varcando questa soglia.
Ancora qualche passo e mi troverò di fronte l’impiegato dell’ufficio anagrafe del Comune in cui sono residente. Depositerò il mio biotestamento consegnando personalmente le mie DAT che non avranno scadenza e potranno essere rinnovate, modificate o revocate in qualunque momento tramite l’ufficio anagrafe. Le mie disposizioni anticipate di trattamento verranno poi trasmesse al mio medico di famiglia e conserveranno, per lui, un valore prescrittivo.
Da domani vivrò con l’animo più sereno. Fino a quando sarò in grado di autodeterminarmi sarò padrona del mio futuro. Ma qualora non dovessi esserlo più, avrò scelto in anticipo la mia sorte senza farla dolorosamente decidere ai miei cari.
Il presente racconto letterario è collocato all’interno dell’Extra di LucidaMente 3000 dedicato al testamento biologico. Gli altri contributi sono:
L’importanza di fare Testamento Biologico
Un fraterno appello a chi legge
«Au jour du grand voyage»
Senza informazione dei cittadini, non c’è legge né diritti
Inoltre, i lettori possono ammirare uno splendido videospot:
«Un atto d’amore verso noi stessi e verso chi ci ama»
Le immagini: a uso gratuito da pexels.com.
Emanuela Susmel
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 203, novembre 2022 – supplemento LM EXTRA n. 38, Speciale Testamento biologico)