Un’opera dell’artista britannico Banksy si è autodistrutta dopo essere stata venduta per oltre un milione di sterline. Ma adesso vale ancor più di prima
Non appena il banditore della nota casa d’aste londinese Sotheby’s annuncia l’offerente vincitore colpendo il banco con il martelletto, un tritadocumenti nascosto nella cornice dell’opera si aziona, squarciandola quasi completamente. Succede il 5 ottobre scorso e la tela tagliuzzata è una delle 600 riproduzioni originali di Girl with a Baloon, del famosissimo street artist Banksy, aggiudicata per 1,042 milioni di sterline. In seguito, il writer ha postato su Instagram un video in cui spiegava di aver nascosto di proposito le lame all’interno del quadro alcuni anni prima, nel caso in cui esso fosse stato un giorno rivenduto.
Una “banksyata”, com’è stata battezzata dal direttore di Sotheby’s Alex Branczik, che ha fatto letteralmente il giro del mondo e ha segnato la storia dell’Arte contemporanea. Il fatto che l’opera sia stata ridotta in pezzi è sicuramente un forte gesto simbolico dell’artista, che ha voluto denunciare la natura elitaria e contraddittoria del comperare la copia di un graffito a un prezzo tanto esorbitante. Ma, purtroppo per lui (e per fortuna per il compratore), ciò non è servito a intaccarne il valore bensì, secondo alcune stime, ad aumentarlo di più del doppio. Conseguenza, a dire il vero, abbastanza prevedibile: se esistono 600 riproduzioni di Girl with a Baloon, quella passata al tritacarte, che ha creato tanto scalpore e che porta con sé tutto il simbolismo di Banksy, è unica. Ed era quindi naturale che il suo prezzo lievitasse, tanto che molti dei possessori delle altre copie hanno contattato My Art Broker, compagnia che si occupa di rivendere opere, chiedendo se il valore della tela potesse aumentare replicando il gesto del suo autore, cioè facendola a brandelli.
Ovviamente My Art Broker si è affrettata a smentire, ma sembra che qualcuno abbia ugualmente distrutto una delle 600 riproduzioni, facendo crollare il suo prezzo da 40.000 sterline a una sola sterlina. Se quello progettato da Banksy era stato pensato come un colpo basso al giro d’affari che coinvolge l’arte, non si può dire che sia riuscito. Secondo diverse ricostruzioni, la casa d’aste Sotheby’s sapeva che sarebbe successo qualcosa di strano e non ha fatto niente per impedirlo. Ci si chiede infatti come sia possibile che il peso e lo spessore considerevoli della cornice contenente il tritadocumenti non abbiano insospettito nessuno. Oppure chi abbia azionato il meccanismo di autodistruzione e in che modo. Oggetto di dubbi è anche la posizione del quadro: esso è stato battuto all’asta per ultimo; molto strano, poiché solitamente le tele più famose non vengono lasciate alla fine, quando gli acquirenti hanno speso tutti i loro soldi in altri pezzi.
L’installazione del meccanismo è avvenuta diversi anni fa, ma Banksy non sapeva se e quando l’opera sarebbe stata venduta. Quindi, o è stato fatto affidamento su batterie inserite tempo addietro o, più probabilmente, qualcuno ha avuto la possibilità, nei giorni precedenti all’asta, di sostituirle e mettere così in funzione il tritadocumenti dentro la cornice. Quest’ultima presentava poi un foro, dal quale sono usciti i brandelli di tela quando questa è stata distrutta. Insomma: sono troppi i dettagli sfuggiti alle scrupolose analisi richieste dagli acquirenti di opere d’autore. Il sospetto non verte tanto su un accordo fra il writer e la casa d’aste, considerato nonostante tutto abbastanza improbabile, quanto sul fatto che l’artista sia stato “banksyato” a sua volta, trasformando quella che era nata come azione anticapitalista in una vera e propria miniera d’oro. D’altra parte, tentativi di imbrigliare la street art e trarne profitti non sono affatto nuovi. Recente è il caso di Bologna, dove a Palazzo Pepoli è approdata la mostra Street Art – Banksy & Co. L’arte allo stato urbano (2016). L’idea di offrire a tutti un panorama vasto e completo in materia, qualificandola nella sua ricerca come arte vera e propria, non è servita a evitare le critiche.
Ad accendere i dissensi, in particolare, il trattamento riservato ad alcune delle opere di Blu, staccate dai muri senza il suo consenso e trasferite su altri supporti per essere esposte in mostra. Oltre a rischiare di rovinare i colori e la tridimensionalità del disegno e di operare strappi, seppure con tutte le precauzioni del caso, su opere nate dalla strada e per la strada, il gesto ne ha guastato completamente l’essenza. Parte del significato di un graffito è, infatti, dato dalla sua posizione (si pensi a quelli sul muro di divisione fra Israele e la striscia di Gaza). La differenza sostanziale fra l’arte di strada e le altre è poi l’accessibilità a chiunque, in qualsiasi momento voglia. E il prezzo del biglietto d’ingresso della rassegna non era dei più abbordabili: 13,00 euro.
Il writer Blu ha cancellato molti dei suoi murales (bolognesi e non) per salvarli dalla monetizzazione (La storia dei murales cancellati a Bologna, il Post). Banksy si è forse rassegnato, visto che possiede un servizio di autenticazione, il Pest control, che si occupa di confermare se le opere siano originali oppure no. Per evitare la vendita delle sue produzioni, basterebbe non contrassegnarle come tali e queste perderebbero gran parte del loro valore. A volte la scelta che si pone è distruggere una propria creazione o permettere che si lucri su di essa. Come nel caso in cui vengano costruiti complessi residenziali di fronte a celebri raffigurazioni sui muri, per poterne sfruttare la notorietà e richiedere, così, prezzi più alti. Rimane il fatto che la street art rappresenta l’estremo opposto del capitalismo ma che, volontariamente o meno, molti autori non riescono a sottrarre alla compravendita o alla speculazione i propri lavori. Un’arte fuori da qualsiasi schema morale ed estetico, spoglia da catene e tabù, un’arte che da sempre parla di liberazione sociale e politica, adesso rischia di dover essere liberata.
Le immagini: la famigerata opera Girl with a Baloon (2002), di Banksy, che si è autodistrutta dopo essere stata venduta all’asta a Londra lo scorso 5 ottobre, e due graffiti rispettivamente a New York e a Berlino.
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XIII, n. 155, novembre 2018)