Nell’estate del 1972 fu rinvenuta nei fondali del mar Ionio una coppia di splendide statue greche, forse raffiguranti Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Una serie di eventi culturali ne sta commemorando il cinquantenario della scoperta. Ma resta sempre un alone di mistero…
Il 16 agosto 1972 il sub e fotografo romano Stefano Mariottini si immerse nel mar Jonio a circa 200 metri dalla spiaggia di Porto Forticchio a Riace marina e, a 8 metri di profondità, rinvenne le statue bronzee di due eroi greci, risalenti alla metà del V secolo a. C. I Bronzi furono in seguito recuperati dal Nucleo sommozzatori dei Carabinieri di Messina e, dopo il restauro curato dalla Soprintendenza archeologica della Toscana, furono esposti dal dicembre 1980 al giugno 1981 prima al Museo archeologico di Firenze, poi al Palazzo del Quirinale di Roma. Le due statue furono infine trasferite presso il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, dove attualmente si trovano.
Il ritrovamento delle statue dei due eroi greci rimane avvolto nel mistero, alimentato nel tempo da strane dicerie che hanno finito per tessere la trama di un “giallo” tuttora irrisolto. Antonino Monteleone e Marco Occhipinti – in un servizio giornalistico mandato in onda il 17 dicembre 2017 nel programma televisivo Le iene (vedi «Ecco come ho trafugato e venduto uno degli elmi dei Bronzi di Riace», in www.iene.mediaset.it) – hanno sostenuto che i bronzi fossero muniti di armi, elmi e scudi, trafugati clandestinamente da alcuni ricettatori e finiti forse al Paul Getty Museum di Malibù. Si vocifera, inoltre, anche del ritrovamento di una terza statua bronzea, rivenduta di nascosto negli Stati uniti. È questa l’ipotesi avanzata in un altro reportage dei succitati Monteleone e Occhipinti (vedi «Il terzo bronzo di Riace fu venduto a un museo Usa», in www.iene.mediaset.it), nonché nel romanzo Il cammino degli eroi. Da Argo a Riace (Società editrice Dante Alighieri) di Dan Faton, un collettivo di autori composto dall’archeologo Daniele Castrizio e dagli studiosi Fabio Cuzzola e Tonino Perna.
I due guerrieri – designati con i nomi di «statua A» (o il Giovane) e «statua B» (o il Vecchio) – pesano entrambi 160 kg e sono alti rispettivamente 1,98 m. (statua A) e 1,97 m. (statua B). In origine «indossavano un elmo, impugnavano una lancia o una spada nella mano destra e reggevano uno scudo con il braccio sinistro» (vedi I bronzi di Riace, in www.museoarcheologicoreggiocalabria.it). Fin dalla loro scoperta hanno suscitato tra gli esperti «una serie di ipotesi, non completamente concordanti, sulla data, sugli scopi della loro realizzazione e sull’autore» [Aurelia D’Agostino, Una città di arte e cultura, in Fulvio Mazza (a cura di), Reggio Calabria, Rubbettino, p. 329]. Ben 15, infatti, sono state le teorie avanzate sui possibili esecutori e sull’identità dei personaggi rappresentati (vedi Bronzi di Riace, in https://it.wikipedia.org).
La più suggestiva di queste teorie ci sembra quella formulata – sulla base delle analisi della terra di fusione presente nelle statue e di molteplici documenti storici, tra cui un passo di Plinio il Vecchio – da Castrizio, secondo il quale i Bronzi sarebbero stati forgiati ad Argo dallo scultore Pytagoras di Reggio, che trascorse la propria esistenza tra la Magna Grecia e il Peloponneso [vedi Sonia Cappellini (a cura di), Bronzi di Riace: descrizione, storia e ritrovamento, in www.studenti.it]. Le due statue forse facevano parte di un gruppo scultoreo che riproduceva i personaggi principali della tragedia I sette contro Tebe di Eschilo, ossia Antigone, Eteocle, Giocasta, Polinice e Tiresia. Castrizio è convinto che esse raffigurino i due figli di Edipo (Eteocle e Polinice) in procinto di scontrarsi davanti alle mura tebane: «La statua A presenta una smorfia riconducibile a Polinice, è l’unica statua al mondo esistente che mostra i denti e che simboleggia l’ostilità. […] Nel bronzo B (Eteocle) ci sono inequivocabili prove che indossasse la cuffia di cuoio kyne, l’elmo del re, segno dorico del tiranno» (vedi Isabella Molonia, I Bronzi di Riace erano cinque? L’origine magnogreca rimanda alla maledizione di Edipo, in www.reggiotoday.it; il Mangla, Eteocle e Polinice, in www.internettuale.com).
Originariamente le due sculture erano colorate e portavano la barba e i capelli biondi. Nel 146 a. C. l’esercito romano conquistò la Grecia, distruggendo Argo, e i bronzi furono trasferiti a Roma, dove nel I secolo d. C. vennero restaurati e scuriti col bitume. Nel V secolo d. C. l’imperatore Costantino I decise di spostarli a Costantinopoli, ma nel corso del viaggio la nave che li trasportava naufragò in prossimità del porto dell’antica Kaulon ed essi s’inabissarono nei fondali del mar Ionio (vedi Cristina Provenzano, Bronzi di Riace, intervista al Professore Daniele Castrizio, in www.classicult.it).
Il Comune e la Città metropolitana di Reggio Calabria, il Comune di Riace e la Regione Calabria hanno programmato nel 2022 una serie di eventi per festeggiare i cinquant’anni del ritrovamento dei Bronzi e contemporaneamente è stata avviata la procedura per farli proclamare “Patrimonio mondiale dell’Unesco” [vedi Rocco Fabio Musolino, 50° Anniversario Bronzi di Riace, il programma degli eventi (anche all’estero) e la proposta: «statue diventino Patrimonio mondiale Unesco», in www.strettoweb.com]. Le comitive di turisti hanno ripreso a visitare il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, a riprova che – dopo due anni di pandemia – sta finalmente tornando la normalità nella città della Fata Morgana. Il cinquantenario dei Bronzi di Riace rappresenta dunque l’occasione per valorizzare i beni artistici della Magna Grecia e rilanciare i canoni estetici del mondo classico, improntati alla bellezza e all’armonia, dei quali l’umanità – in un frangente storico drammatico come quello odierno – ha estremo bisogno.
Le immagini: i Bronzi di Riace (fonte: https://it.wikipedia.org; di pubblico dominio); Giovanni Silvagni, Disfida di Eteocle e Polinice (1821, Accademia nazionale di San Luca, Roma); il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria (foto dell’autore).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno XVII, nn. 199-200, luglio-agosto 2022)