Perché si sarebbe dovuto suicidare il primario mantovano che riusciva a guarire i malati di Covid con una terapia dal costo molto basso?
Il dottor Giuseppe De Donno, nato a Mantova nel 1967, primario di Pneumologia presso l’Ospedale Carlo Poma della medesima città lombarda e fautore della terapia anti Covid con il plasma iperimmune, è morto a Curtatone lo scorso 27 luglio, all’età di appena 54 anni. La causa della morte sarebbe il suicidio. Il 5 luglio scorso si era dimesso ufficialmente dal proprio incarico in reparto per dedicarsi alla semplice attività di medico di base.
Un medico demodé
Il suo aspetto, mite, dolce, e i suoi vestiti, erano fuori moda, entrambi lontanissimi non solo da quelli degli “influencer” dilaganti e dalla loro volgarità, ma anche da quelli dei colleghi star che compaiono un giorno sì e l’altro pure presso le trasmissioni d’informazione a senso unico. Mostrava più anni di quelli che aveva. Sembrava un vecchio medico di famiglia, degli anni Cinquanta o Sessanta del secolo scorso, di quelli che visitavano i propri pazienti e si recavano presso le loro case – e che spesso, con un attento sguardo al malato, erano in grado di formulare diagnosi, terapia e prognosi. E condividevano con sensibilità le preoccupazioni dell’infermo. Come oggi, no?, al frettoloso supermarket della sanità pubblica… Può sembrare un’ovvietà, ma non lo è: De Donno era un essere umano, aveva sottoscritto il giuramento di Ippocrate che prevede che il medico metta il malato al primo posto e non carriere, onori, soldi, apparizioni televisive.
Questa non è più Scienza
Il suo tono era timido, quasi impacciato, pacato, aperto alle osservazioni altrui. E proprio questo atteggiamento di apertura mentale dovrebbe caratterizzare la Scienza e gli scienziati. La problematicità, ossia sapere che le conoscenze scientifiche possono essere confermate, ma anche superate da nuove scoperte. La vera Scienza è costituita più da dubbi che da certezze e consiste più nel porre domande che fornire risposte standardizzate. La Storia della scienza è tutto un susseguirsi di punti fermi, in poco tempo sorpassati da nuovi paradigmi scientifici. Si pensi solo alla concezione tolemaica dell’universo o alla terapia mediante continui salassi. Il progresso scientifico è scaturito appunto dal continuo superamento delle precedenti “certezze”. Se una scienza vuole imporre una e una sola verità senza dibattito, non è più Scienza, ma cieca religione, dogma, fede, superstizione, fanatismo. Il medico mantovano aveva appunto apertamente difeso la corretta concezione della Scienza e aveva altresì attaccato «gli scienziati prezzolati» e il loro «conflitto d’interessi».
La denuncia di un sistema sanitario più malato dei malati
La verità è dolorosa, ma sotto gli occhi di tutti. Il sistema sanitario in senso lato è finanziato dalle stesse industrie farmaceutiche che realizzano straordinari profitti dalla vendita delle medicine che producono. Un cerchio chiusissimo, un uroboro tutt’altro che medico e virtuoso. Non esistono ricerche indipendenti, laboratori statali, ecc. Tutto, dalla ricerca alle sperimentazioni, dalle facoltà universitarie di Medicina all’Ema (Agenzia europea per i medicinali), fino all’Oms (vedi Epidemia Covid-19: tutto quello che non ci dicono), dipende dai finanziamenti delle multinazionali del farmaco (vedi Matteo Bassetti aveva Pfizer nel curriculum. Ma dopo la notorietà è sparita col bianchetto). Pertanto, alla fine di ogni ricerca, deve venir fuori una terapia basata su farmaci prodotti da chi ha finanziato l’indagine. Non solo; affinché l’investimento sia davvero redditizio, occorre che ogni altra terapia o farmaco siano considerati inutili o, peggio, dannosi. Quindi, il ricercatore non è libero. E i docenti universitari, i primari, i medici? Il lettore non pensi a mazzette fatte passare nelle loro mani. Esistono somme con causali apparentemente diverse e altri vantaggi non direttamente in denaro:
- Finanziamenti a fondazioni.
- Incarichi per “chiari meriti”.
- Assegnazione di consulenze.
- Agevolazione delle carriere.
- Partecipazione a convegni in luoghi fantastici, con spese e viaggi superpagati.
Una terapia poco costosa
Prima di morire De Donno aveva curato (e salvato) circa 60 pazienti Covid in gravi condizioni con la terapia del plasma iperimmune. Si tratta di effettuare una semplice trasfusione di plasma di pazienti guariti al paziente malato. Il sangue dei primi, infatti, contiene un’alta concentrazione di anticorpi (immunoglobuline) diretti contro il Sars-Cov-2, il virus che causa la Covid-19. Il costo? 80 euro. Diceva il primario mantovano: «Si tratta di una terapia democratica, il plasma è donato gratuitamente dal popolo e va gratuitamente al popolo». Anche tutte le altre terapie proposte da altri, medici o gruppi di medici, soprattutto per la cura dei malati a casa, hanno costi irrisori. Invece, guarda caso, le terapie riconosciute sono molto più care (ad esempio, gli anticorpi monoclonali). Ovviamente, per i potentati della Medicina (evitiamo di abusare della solita definizione di Big Pharma), nonostante i numerosi casi certificati di guarigione, la terapia De Donno non funziona. E, come ha notato Arrigo D’Armiento, dopo la morte del medico, la stessa «Wikipedia ha riscritto da capo la scheda sul dottor Giuseppe de Donno e l’ha rimessa in rete dopo aver eliminato la versione precedente». Un vilipendio post mortem.
Perché si dimette un primario? Perché torna a essere medico di famiglia? Perché – cattolico e padre di famiglia – si suicida?
Per ammazzare una persona, non occorre necessariamente ucciderla in modo diretto. Vi sono tanti sistemi per toglierla di mezzo, anche inducendola al suicidio: l’isolamento; la delegittimazione; l’inflizione della perdita di autorevolezza; il dileggio e la derisione. Vi sembra logico che De Donno si sia dimesso da un incarico molto prestigioso e ben retribuito per diventare un modesto medico di provincia? E che, sebbene fosse cattolico praticante, con moglie e due figli, e persona esente da eccessi e colpi di testa, si sia tolto la vita, uno dei peccati più gravi che un credente possa commettere? Sono tante, dunque, le perplessità sorte da più parti dopo il presunto suicidio di De Donno. Ci auguriamo che la Procura di Mantova, che ha aperto un’inchiesta, sappia gettare una luce oggettiva su un caso davvero misterioso.
Domande senza risposta
Nel frattempo, aumentano i dubbi su origine dell’epidemia, sua gestione da parte dei governi, terapie, vaccini (ovvero terapie geniche sperimentali) e loro conseguenze perniciose (Volley, Francesca Marcon: «Non sono no-vax, ma il vaccino mi ha tolto il campo»), informazione a senso unico dei mass media, limitazione della democrazia. Tant’è vero che persino le affermazioni di un virologo premio Nobel come Luc Montagnier sono trattate alla stregua di quelle di un pericoloso carbonaro sovversivo. Perché autorità politiche ed “esperti” sanitari non rispondono ad alcune semplici domande?:
1) Perché non si rende obbligatoria la vaccinazione (alias sperimentazione genica) per legge?
2) Perché al “vaccinato” si fa firmare una sorta di liberatoria (ma i giuristi affermano che è un “consenso informato” che non “libera” la Sanità da eventuali richieste di risarcimenti)?
3) Perché non si fa scegliere in tutte le regioni il tipo di vaccino, in base ai riconosciuti diritti e princìpi giuridici della “libertà di cura” e dell’“autodeterminazione del paziente”?
4) Perché non si cerca di curare gli ammalati a casa e con le terapie meno costose?
Si potrebbero aggiungere altri dubbi, quali:
5) Come mai nel Regno unito e in Israele, con una popolazione pressoché interamente “vaccinata”, si è punto e daccapo?
6) In Italia c’è molta differenza tra i grafici di infetti e ammalati tra un anno fa (senza “vaccini”) e oggi (coi “vaccini” a tappeto)? Pare di no.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 189, settembre 2021)
Sarebbero da menzionare anche le due telefonate ricevute prima del “suicidio”. Una dagli Stati Uniti, un’altra dall’Unione europea.