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Home GIURISPRUDENZA-DIRITTO DEL LAVORO-AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE (a cura di Alessandro Saggini)

La contrattazione collettiva

Alessandro Saggini by Alessandro Saggini
4 Maggio 2020
in GIURISPRUDENZA-DIRITTO DEL LAVORO-AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE (a cura di Alessandro Saggini), STORIA, TEMATICHE CIVILI
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La contrattazione collettiva
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  1. LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN GENERALE

La contrattazione collettiva rappresenta il principale istituto dei moderni sistemi di relazioni industriali e consiste nel processo di regolamentazione congiunta (sindacati-padronato) dei rapporti d lavoro.

La struttura e i contenuti della contrattazione collettiva sono strettamente correlati e dipendono largamente da altri aspetti del sistema di relazioni industriali, quali la struttura del sistema produttivo, la struttura del mercato del lavoro, il ritmo dello sviluppo economico, i caratteri dell’intervento statale. Si è diffusa nel tempo la tendenza ad adottare una nozione lata di contrattazione collettiva, fino a ricomprendervi tutto l’insieme dei rapporti, anche non strettamente negoziali, e più o meno formali, che intercorrono fra i diversi agenti del sistema di relazioni industriali, in ordine alla regolamentazione dei rapporti di lavoro.

Modalità e procedure della contrattazione sono in Italia scarsamente formalizzate. Gli attori sono, per parte dei lavoratori, le organizzazioni maggiormente (o comparativamente più) rappresentative ai vari livelli; le trattative si svolgono sulla base di piattaforme rivendicative presentate dai sindacati dopo ampie consultazioni di base e, proseguendo anche in circostanza di scioperi, vedono frequentemente l’intervento mediatore di organi pubblici. L’accordo raggiunto è condizionato alla ratifica dei lavoratori nelle aziende. È inoltre diffusa la pratica del referendum per l’approvazione sia delle piattaforme sia degli accordi (aziendali e nazionali).

  1. EVOLUZIONE DELLA STRUTTURA E DEI CONTENUTI DELLA CONTRATTAZIONE: LA RICOSTRUZIONE E GLI ANNI CINQUANTA

La prima fase è caratterizzata da un sistema di relazioni industriali “centralizzato e a predominanza politica”, cui corrisponde un modello di contrattazione analogamente centralizzata, debole e statica. Dopo il 1954, in seguito all’accordo interconfederale cosiddetto sul conglobamento dei vari elementi retributivi, viene riconosciuto alle federazioni di categoria il potere di negoziare autonomamente i livelli retributivi.

  1. GLI ANNI SESSANTA: LA PRIMA MODERNIZZAZIONE DEL SISTEMA CONTRATTUALE

La fine degli anni ‘50 dà avvio ad un processo di modernizzazione delle relazioni industriali italiane, di cui è parte significativa la modifica del sistema contrattuale. Si realizza così un primo decentramento della struttura contrattuale, che inizia a manifestare quel carattere di bipolarità tipico e unico del sistema italiano. Il decentramento è completo rispetto ai contratti nazionali di categoria, che diventano l’asse portante della struttura, fonte della disciplina di base del rapporto di lavoro (dalle tabelle minime salariali, all’orario, ai trattamenti normativi, ai diritti sindacali).

Sul finire del decennio ‘50 la contrattazione aziendale viene riconosciuta ed istituzionalizzata nel sistema di contrattazione articolata; in base a tale sistema, alla contrattazione aziendale è riservata la competenza a trattare le materie determinate dallo stesso contratto nazionale (per lo più modalità di applicazione dei cottimi, forme incentivanti collettive e sistemi di classificazione dei lavoratori diversi da quelli nazionali).

Il decentramento è parziale sia per le materie che sono delegate, sia per gli agenti contrattuali competenti a trattare, che sono i sindacati provinciali di categoria di entrambe le parti. Il contratto nazionale conferma la propria posizione dominante, in quanto ad esso spetta di predeterminare, attraverso clausole di rinvio, sia le materie e gli agenti della contrattazione aziendale, sia le procedure di svolgimento, i tempi e, in qualche caso, i margini contrattuali, e fornire garanzia di tregua sindacale nelle pause temporali intercorrenti tra un accordo e l’altro, tramite clausole di tregua.

Si tratta di una istituzionalizzazione senza precedenti nel nostro sistema, con forte autonomia dall’esterno, ma con rigida gerarchizzazione interna fra i livelli.

  1. IL CICLO 1968-1975: SVILUPPO E DECENTRAMENTO DELLA CONTRATTAZIONE

Le vicende del 1968-69 presentano forti elementi di rottura: il rigido schema di clausole di rinvio e di tregua, su cui si fonda la contrattazione articolata, già indebolito, esce completamente distrutto in tutto il settore industriale.

L’istituzionalizzazione è minima, perché, cadute le norme di coordinamento giuridico tra i livelli contrattuali, ognuno di questi è formalmente autonomo, non vincolato per oggetti, per procedure né per agenti di contrattazione; le stesse nuove strutture sindacali aziendali non sono disciplinate da norme contrattuali. Il decentramento è massimo, perché l’elemento trainante nel settore industriale è questa volta la contrattazione aziendale, che rompe i limiti quantitativi e qualitativi definiti nel 1962.

La bipolarità è completa perché la crescita della contrattazione aziendale non eclissa, pur modificandolo, il ruolo del contratto nazionale di categoria. Questo da elemento dominante e di controllo, diventa strumento di generalizzazione, specie nell’area delle aziende medio-piccole, dei risultati innovativi ottenuti a livello aziendale.

  1. LA CENTRALIZZAZIONE E GLI ACCORDI TRIANGOLARI

La seconda metà degli anni Settanta è caratterizzata soprattutto dal peso crescente della crisi economica sull’azione sindacale (e sociale in genere): questa situazione sfavorevole non comporta un crollo del potere sindacale, ma altera gli equilibri contrattuali.

Prevalgono tendenze all’assestamento di istituti già regolati, nell’area dei diritti sindacali, mentre si ricercano contenuti contrattuali nuovi, cosiddetti qualitativi, di controllo sulle scelte economiche e di impresa, diretti a risolvere i problemi dell’occupazione e della produttività. Sul finire del decennio ‘70 si profilano altri contenuti contrattuali legati alla crisi, quali una spinta alla riduzione dell’orario di lavoro.

Va facendosi sempre più marcata la pressione da parte degli imprenditori e poi anche del governo per il contenimento del costo del lavoro e la riduzione della dinamica della scala mobile: temi rimasti centrali fino agli anni ‘90.

Una tendenza è dominante: la ricentralizzazione, come in ogni periodo di crisi, della struttura contrattuale, che trova un principio di codificazione nell’accordo interconfederale del 1983.

Una seconda tendenza, legata alla prima, è l’intervento diretto del potere pubblico nella contrattazione centralizzata, che arriva così ad assumere carattere triangolare e che si collega a tematiche di diretto rilievo politico-economico: sono le tematiche proprie delle intese di “concertazione sociale”, dal controllo dell’inflazione, alla politica fiscale e parafiscale, al governo del mercato del lavoro.

  1. GLI ANNI OTTANTA: NUOVO DECENTRAMENTO O RIEQUILIBRIO?

Dall’inizio degli anni ‘80 anche la struttura e i contenuti della contrattazione collettiva hanno subito forti sollecitazioni al cambiamento.

La spinta più netta in tutti i paesi industrializzati è verso il decentramento della contrattazione, in conformità con l’esigenza di adattarla alle mutevoli esigenze del sistema produttivo. Tale decentramento contrattuale è documentato da fattori non equivoci e comuni: crescenti difficoltà, se non scomparsa della contrattazione interconfederale; perdita di rilievo e di contenuti innovativi della contrattazione di categoria, con blocchi o gravi ostacoli nei rinnovi contrattuali; (ri)emersione di una contrattazione aziendale o infra-aziendale non coordinata dal centro.

L’estensione, cioè il grado di copertura della contrattazione, registra flessioni, specie nelle aree tradizionali di presenza sindacale. Una stasi se non un calo si riscontra anche nella incisività e nel grado di innovazione dei contenuti contrattuali: il sindacato continua in larga misura a essere impegnato nel perseguimento di obbiettivi in larga misura difensivi, specie dell’occupazione, e d’altra parte gli imprenditori riaffermano con rinnovata decisione la esclusività delle proprie prerogative nelle materie critiche dell’innovazione e dell’organizzazione dell’impresa.

  1. GLI ANNI NOVANTA: RIACCENTRAMENTO E RAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA CONTRATTUALE

Negli anni Novanta il sistema contrattuale è investito, in Italia più che in altri paesi, dall’urgenza del risanamento e della stabilizzazione economica

Le pressanti esigenze del risanamento convivono peraltro con le richieste di competitività e flessibilità: da qui le persistenti spinte al decentramento. Lo Stato interviene sul conflitto in modo sempre più massiccio, abbandonando la posizione di protagonista neutro e mediatore, anche se ben attento a non espropriare il sindacato delle funzioni protette ai sensi dell’art. 39 Cost., 1° comma. Non a caso i primi anni ‘90 possono definirsi come gli anni della ri-regolazione del rapporto di lavoro e contemporaneamente gli anni delle velleità regolative sul versante dei rapporti collettivi.

Si assiste ad un minore ricorso alla contrattazione interconfederale come strumento tecnico di fissazione di schemi e discipline. Ma cresce il ricorso alla contrattazione interconfederale quale strumento politico di soluzione di problemi, a cominciare dalla lotta all’inflazione e al controllo del costo del lavoro, che riguardano l’intero mondo del lavoro ed i suoi rapporti con il mondo dell’economia e della finanza.

Il processo di riaccentramento, sconta il fatto che nel momento attuale Stato e sindacato (confederale) sono costretti a condividere interessi comuni. Da qui la valorizzazione del ruolo del sindacato maggiormente rappresentativo. Ne risulta un riaccentramento ben diverso da quello promosso ai sensi dell’art 19 dello statuto dei lavoratori agli inizi degli anni Settanta: è questo infatti un riaccentramento a scopo difensivo.

L’accordo del 23 luglio 1993 trasforma la concertazione sui salari da occasionale e saltuaria in strutturale, prevedendo che le parti sociali si incontrino due volte l’anno per fissare obbiettivi macroeconomici, tariffe e livello del debito pubblico. A tal fine le parti si impegnano a perseguire comportamenti politico-culturali e salariali coerenti con il duplice obbiettivo di “ottenimento di un tasso d’inflazione allineato alla media dei Paesi comunitari economicamente più virtuosi” e di “riduzione del debito e del deficit dello Stato”. Ma l’accordo costituisce soprattutto il primo serio tentativo di razionalizzazione del sistema di contrattazione collettiva.

Ora la durata dei contratti è predeterminata: quattro anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale; due anni per la parte retributiva del CCNL.

Si introducono precise scansioni temporali per l’apertura delle trattative ai fini dei rinnovi dei contratti, scansioni rafforzate da una vera e propria clausola di tregua, che vincola le parti a non assumere iniziative unilaterali e a non procedere ad azioni dirette per un periodi di ben quattro mesi. Nell’ipotesi di violazione di tale clausola la sanzione consiste nell’anticipazione o lo slittamento, a seconda che siano le OOSS degli imprenditori o dei lavoratori a darvi causa, “di tre mesi del termine a partire dal quale decorre l’indennità di vacanza contrattuale”, ovvero l’elemento retributivo che l’accordo stabilisce venga provvisoriamente e automaticamente corrisposto ai lavoratori qualora le trattative si prolunghino oltre i tre mesi dalla scadenza del contratto.

L’accordo del 23 luglio ha esercitato una notevole influenza sulla stabilizzazione dell’assetto contrattuale e sul contenimento della dinamica salariale, sostenuta in realtà dalla sempre incombente pressione anche europea per il risanamento economico del paese.

L’imprescindibilità della concertazione tra pubblici poteri e soggetti collettivi viene rimarcata dal Patto per il lavoro del 24 settembre 1996, teso ad elaborare una strategia integrata tra macroeconomia, mercato del lavoro e politiche di promozione dell’occupazione.

Il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22 dicembre 1998 (c.d. Patto di Natale) interviene poi a stabilizzare, con il crisma della istituzionalizzazione, lo stesso metodo concertativo, che in tal modo assurge a raccordo procedurale privilegiato tra ordinamento statuale e intersindacale, ordinamento interno e comunitario.

  1. LE PROSPETTIVE DEL NUOVO SECOLO: DALLA CONCERTAZIONE AL DIALOGO SOCIALE

Che il sistema contrattuale risulti più coeso nel corso di questo decennio non significa che sia definitivamente assestato. Ad inizio millennio, il superamento dell’emergenza economica e finanziaria a fronte di una accentua competitività internazionale riapre le spinte all’innovazione e al decentramento. I sindacati sono preoccupati di conservare l’assetto sancito nel 1993, chiesero al legislatore di provvedere ad una legislazione di sostegno alla contrattazione aziendale e di estensione delle RSU. Gli imprenditori chiedono il superamento del sistema contrattuale a due livelli e la valorizzazione dei livelli di relazioni decentrati pretendendo maggiore flessibilità.

Se è prevedibile un alleggerimento della contrattazione interconfederale-bilaterale e anche triangolare- per il venir meno delle condizioni di emergenza, sono incerti i rapporti tra i due livelli finora centrali nella struttura contrattuale; una razionalizzazione parziale richiederebbe il perfezionamento di tendenze già abbozzate: cioè il ridimensionamento del ruolo del contratto nazionale, a fungere da regolatore selettivo di alcuni trattamenti minimi salariali e normativi.

In tale ambivalente contesto si collocano le proposte di trasformazione della concertazione in dialogo sociale.

Il Libro Bianco, documento elaborato dal Governo a fine 2000 per la riforma del diritto del lavoro, propone la sostituzione dei vecchi rituali dei negoziati triangolari con la procedura più snella e assai meno impegnativa del dialogo sociale. Secondo la definizione fornita dallo stesso Libro Bianco, la nuova metodologia consiste in un “confronto basato su accordi specifici, rigorosamente monitorati nella loro fase implementativa”, che sconta a monte una “meglio precisata distribuzione delle reciproche responsabilità tra Governo e parti sociali”. Al dialogo sociale viene ricondotto il Patto per l’Italia, siglato il 5 luglio 2002 e sottoscritto, dalle sole CISL e UIL, nel dissenso della CGIL. La tesi della diversità sostanziale del Patto rispetto alle precedenti esperienze negoziali triangolari (Protocolli del 1993, 1996 e 1998) poggia sul riconoscimento della sua valenza essenzialmente politica, non comparendovi disposizione alcuna né sul sistema contrattuale, né sul contemperamento tra azione sindacale e politiche economiche e finanziarie del Governo.

In contrappunto con la prospettata evoluzione delle relazioni sindacali a livello istituzionale, parte della dottrina ravvisa un indebolimento del ruolo dell’autonomia collettiva sul piano dei rapporti tra legge e contratto.

Alessandro Saggini

(LucidaMente, anno XV, n. 173, maggio 2020)

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Tags: contrattazione collettivacostituzionediritto del lavorolavoratorilavorolibertàsindacati
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