Tematiche femministe e scenari arcani e arcaici nel romanzo “Controcanto in Verdargento” (Ortica editrice)
Caterina è una regista di teatro che vive a Milano e sta curando l’allestimento della Giovanna dei macelli di Bertolt Brecht; le sue migliori amiche sono quelle che si porta dall’infanzia, dal paese d’origine in Puglia, l’una ingenua e “virginale” e l’altra “incanaglita”, diffidente e spigolosa: Anna Francesca (divisa tra lavoro nel Corpo forestale dello Stato, volontariato ambientalista e impegni di cura tra i vicini di quartiere) e Valeria (una ricercatrice che vive a zonzo per l’Europa, inseguendo assegni di ricerca e pubblicando studi su Virginia Woolf). A Milano Caterina convive con Sandro, infiacchito dalla prolungata disoccupazione.
E poi c’è Adriano, un professore gay che non ha il coraggio di fare coming out; e Costantino, un uomo che scopre di essere sterile per azoospermia, la cui frustrazione lo sta disumanizzando sempre più. Questo è lo sfondo e questi sono i personaggi principali di Controcanto in Verdargento (Ortica editrice, Anzio-Lavinio 2022, pp. 236, € 14,00) di Claudia Mazzilli, alla seconda prova narrativa (libro d’esordio Io sono Medea, Nulla die, Piazza Armerina 2021; vedi qui), L’autrice pugliese ci regala un’altra storia di confronto fra diversità e speranza, che è una fotografia del presente ma anche una parabola universale, cantata (anzi: controcantata, come dice il titolo) con una voce pulsante di amore per la realtà ma anche potentemente fantasiosa. Infatti, in questa Italia appena al di qua della pandemia, nel nostro passato prossimo di un agosto del 2018, le crisi geopolitiche globali, l’immigrazione e i cambiamenti climatici, nella vita di questi personaggi entra (o torna) Immacolata, ormai centenaria, nata con la malformazione di una terza gamba, né umana né bestia, né maschio né femmina, quasi una figura mitologica. Il reale irrompe nel favoloso e viceversa: nell’universo romanzesco la collisione più audace è quella tra l’atmosfera magica e lirica del paesaggio rurale pugliese dell’inizio del Novecento e la crudezza asettica del nostro tempo.
Ed è in questo scenario ibrido che si scontrano figure maschili e figure femminili (prossime alle menadi), quando sono calate negli episodi di un passato fiabesco (p. 215):
«Un giorno di mercato un mentecatto zompò dritto dritto contro sua moglie che stava a comprare alla bancarella della frutta – si dice che lei di notte l’avesse importunato – e con una frusta per buoi la menò a sangue e quando le altre donne cercarono di tirarla fuori scoppiò un pandemonio che non si poteva fermare in nessun modo, il pazzo sfuriò e infuriò e ne sfregiò una ventina, venti femmine ridotte a brandelli dalla frusta di quel baro, sfigurate in viso e alle braccia, che gridavano parole irripetibili contro Dio, la guerra, i sacrifici, i mascoli, le privazioni, le mazzate, le ingiurie, gli scocciamenti, i musi appesi, le sbuffate, i figli che morivano e quelli che non nascevano più per colpa di una puttana vista una volta sola alla fontana, zoccola di passaggio come tante altre, se loro non vi si fossero rincitrulliti, femmina di tutti e di nessuno, e si scaraventarono su quel fetente, lo travolsero e non si vide più niente in quell’accozzaglia di carni dispari in lotta, finché arrivarono i carabinieri – piemontesini appena arruolati, ragazzi smilzi su cavalli ischeletriti –, arrivarono lì, per arrestare le donne».
Ma anche quando gli accadimenti avvengono nel nostro presente il tempo non è lineare: ad esempio, collidono il tempo reale e il tempo teatrale sulla scena della Giovanna dei macelli (allestita dai personaggi del primo capitolo), carica di rinnovate allusioni ai mali degli anni Duemila. Giovanna dei macelli diventa il simbolo di chi vuole resistere all’ibernazione deumanizzante della pietà, ma dovrà fatalmente soccombere sotto la neve. Quasi cent’anni dopo Brecht, la sua vicenda svela il carattere velleitario di ogni ideologia e persino di ogni ottimismo della volontà, come ammettono i personaggi del romanzo impegnati a preparare la messa in scena dell’opera brechtiana (p. 58):
«E anche adesso che l’Europa, o l’Occidente, non riesce né ad accogliere né a contenere l’ondata migratoria dall’Africa né a difendersi da fondamentalismo e terrorismo né a risolvere la crisi ecologica globale né a occupare lo spazio lasciato vuoto dal crollo delle ideologie, anche adesso che nascono nuovi populismi e movimenti post-ideologici, ora che il corpo o annega nel Mediterraneo o è nel cyberspazio o è avvelenato in un ecosistema infetto, il corpo non si libera ma è sconfitto, è messo sotto vuoto, è messo sotto vetro, è surgelato tra la rassegnazione al consumo e la solitudine dell’eremita di massa, incapsulato nei social dietro enunciati linguistici senza una grammatica del corpo e dell’identità, nei plebisciti dei mipiace. Così anche oggi Giovanna dei Macelli muore. La sua fragilità e solitudine, la sua mancanza di stoicismo, ne fanno un personaggio ancora attuale».
E attualissime restano le domande che Valeria si fa sull’emancipazione femminile a suon di citazioni da Una stanza tutta per sé della sua scrittrice prediletta, Virginia Woolf (p. 103):
Perché un genio come quello di Shakespeare non nasce tra gente ignorante, asservita, costretta a fare lavori pesanti?... Eppure una qualche specie di genio deve essere esistito tra le donne, così come deve essere esistito nel proletariato. Se Giacomo non guidasse così volentieri ogni tanto potrebbero prendere un taxi e loro se ne starebbero dietro, trasportati dalla corrente. Non riesce a smettere di ridere: nel cervello dell’uomo guida il taxi l’uomo, nel cervello della donna guida il taxi la donna, ma la mente grande, la mente superiore, è androgina, è risonante e porosa, trasmette emozione senza difficoltà, non pensa al sesso come una cosa a sé stante. Vivere una vita libera a Londra, nel Cinquecento, avrebbe significato per una donna che fosse poetessa e drammaturga, un logorio nervoso ed un dilemma che avrebbero certo potuto ucciderla... è il retaggio della nostra barbarie sessuale...».
Come due facce della stessa medaglia, i due poli del bipolarismo manicheo che divide il mondo fra due fronti, quello della prepotenza cinica e quello di un umanesimo utopico, si risolvono nel personaggio fantastico di Immacolata, che nella sua fisicità irregolare, ambigua e androgina ricompone una nuova possibile armonia verdargentea, mitica e archetipica (pp. 129-130):
«Imma, ridi, Imma cara, ma io l’avevo capito che ti piaceva raccontare due metà, due mezze verità, che ti prisciavi ad accoppiare le storie e poi fatelo voi il paragone, a buon intenditore poche parole, che non si capisce il giorno senza la notte, il freddo senza il caldo, che viene prima la terra e poi il cielo, e non si capisce il povero senza il ricco, e non c’è il vicino senza il lontano, e il secco e l’umido, e la fatica e il riposo e via dicendo tutto il tuo umanesimo di razza contadina, con i tuoi pochi libri nascosti, e tutta la tua scienza di armonie di contrari, dal più aspro e grande – giorno e notte, vita e morte, sole e luna – fino ai contrasti minimi e miti, e agli amori che non sono grandi amori ma minuscoli ibridi poetici, affetti storti e incerti, confusi come il verde e l’argento nelle foglie degli ulivi».
L’incontro tra un personaggio fantastico come Immacolata e i personaggi realistici di una regista, di un professore, di un disoccupato, di una ricercatrice precaria trasforma al suo interno il romanzo, che da iper-contemporaneo diventa allegorico e fiabesco. E l’allegoria è semplice. La mostruosità di Immacolata, creatura deforme a tre gambe, ha effetti taumaturgici e porta ciascuna/o a un’illuminazione, a una visione: il riscoprirsi semplicemente, profondamente umani. L’autrice ci offre così un balsamo, un’ancora di salvezza: l’incontro salvifico e generativo con l’altro, che sia una persona conosciuta per caso o l’opera di un artista geniale, o la contemplazione di un quadro, o la lettura di un libro…
Luigia Clemente
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 203, novembre 2022)