Pro e contro, differenze col telelavoro, legislazione, lavoratori-genitori, lavoratori fragili, quarantena e Covid-19…
La pandemia ha radicalmente cambiato le nostre vite. Da tanti punti di vista. Uno di questi è sicuramente nel mondo del lavoro, con tante persone costrette a stare in casa e modificare profondamente le proprie abitudini. Per tanti evitare lo spostamento in ufficio, lo stress del traffico, la condivisione degli spazi con colleghi maldigeriti può essere un bene; per altri, invece, magari all’interno delle mura domestiche non ci sono le condizioni per poter rendere al meglio delle proprie possibilità.
Lo smart working non è una novità assoluta, frutto della pandemia, ma era una pratica già esistente in precedenza tanto da essere inquadrata nell’ordinamento italiano come «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa».
Indubbiamente esistono benefici e rischi, alcuni correlati alla personalità dei lavoratori stessi, non tutti in grado di autogestirsi in termini di qualità e tempo. Ma, d’altro canto, bisogna anche adattarsi a un’epoca che è sempre più virtuale e per la quale smartphone e PC, con una connessione internet veloce e affidabile, sono molto spesso condizioni sufficienti per eseguire numerose professioni.
Fino a quando ci sarà lo smart working?
In realtà doveva terminare già tempo fa (31 agosto 2022) ma nel Decreto Aiuti bis c’è stata una proroga dello smart working semplificato fino all’ultimo giorno del 2022. Ci riferiamo naturalmente al settore privato, regolato dalle disposizioni emergenziali previste dall’articolo 90 del Decreto Rilancio n. 34/2020 che hanno reso più facile l’accesso al lavoro agile.
I datori di lavoro potranno pertanto gestire i propri dipendenti in modalità di smart working semplicemente inviando una comunicazione al Ministero del Lavoro all’interno della quale le uniche informazioni necessarie sono i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile. Questa possibilità non è vincolata agli accordi individuali con gli stessi lavoratori.
Infine, gli obblighi di informativa previsti in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono assolti in via telematica mediante la documentazione messa a disposizione dall’Inail.
Ci sono differenze tra smart working e telelavoro?
Apparentemente sono due concetti simili e, in effetti, per certi versi lo sono. Esistono però delle differenze tra smart working e telelavoro. Per quanto riguarda la prima voce c’è una specifica legge che inquadra lo smart working in un’alternanza tra lavoro in sede e da remoto entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale.
Il telelavoro invece non ha una propria disciplina giuridica ma nell’accordo interconfederale del 2004 è stabilito che il lavoratore svolga la propria mansione regolarmente al di fuori dei locali dell’azienda. In sostanza nei contratti individuali dei telelavoratori la sede è spesso e volentieri ubicata presso la propria abitazione: per questo motivo quando gli stessi dovessero essere convocati in azienda per loro sarebbe come una vera e propria trasferta.
Invece gli smart workers vengono collocati di norma presso l’unità produttiva alla quale sono addetti.
Fragili e smart working: qual è la normativa di riferimento?
La prendiamo direttamente dal sito ufficiale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
In base alla Legge 21 settembre 2022, n. 142 di conversione con modificazioni del Decreto Legge 9 agosto 2022, n. 115 (Decreto Aiuti bis), fino al 31 dicembre 2022: i lavoratori fragili e i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, pubblici e privati, svolgono di norma la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto (art. 23 bis, comma 1).
A questi son equiparati anche i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di 14 anni: a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali (art. 23 bis, comma 2).
Con lo smart working si può avere il ticket restaurant?
Ma chi lavora da remoto ha diritto a ricevere i buoni pasto?
È una domanda che ci si è posti in particolar modo con la pandemia che ha costretto molti lavoratori a restare chiusi in casa e a portare avanti i propri compiti professionali senza la necessità di uscire. In realtà le aziende non sarebbero tenute all’erogazione dei cosiddetti ticket restaurant agli smart workers, a meno che questo non sia previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro, o da accordi aziendali specifici, che per essere modificati hanno bisogno di un accordo sindacale.
Il lavoro agile si fonda su due presupposti: il mancato obbligo di svolgere l’attività nei locali aziendali e la mancanza di orari definiti; ecco perché diventa non necessaria la concessione di un buono pasto. Sia chiaro, l’azienda può comunque riconoscerlo anche perché si tratta di un benefit molto apprezzato da chi lo riceve nonché un aiuto per i ristoranti o i locali che ne consentono l’utilizzo.
Quarantena e smartworking: si può lavorare quando si è in isolamento?
Termini come quarantena e isolamento fino a un po’ di tempo fa pensavamo facessero parte soltanto di un genere catastrofico cinematografico, ma, purtroppo son divenuti terribili realtà.
Così ormai sono entrati nel vocabolario comune, finché abbiamo finito per conviverci più o meno serenamente. Tecnicamente la quarantena è equiparabile allo stato di malattia, con tutto ciò che ne consegue anche in termini economici. In caso di tampone con esito positivo da Covid-19 scatta la permanenza domiciliare obbligatoria con il lavoratore che resterà assente con le consuete modalità previste per malattia.
Nel caso ci sia il nulla osta medico, il lavoratore può svolgere la propria professione in isolamento anche da casa. In questo caso il periodo di quarantena verrebbe regolarmente retribuito.
Le immagini: a uso gratuito da pexels.com.
Emilio Lonardo
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 205, gennaio 2023)