Nel suo pamphlet “I diritti dell’uomo contro il popolo” (liberilibri) lo studioso francese Jean-Louis Harouel analizza la nuova “religione laica” che limita la libertà d’espressione e odia la civiltà europea, dando campo libero all’islamizzazione. E le sue origini vi sorprenderanno…
Chi potrebbe contestare l’importanza del riconoscimento dei diritti dell’uomo nel faticoso percorso di emancipazione dell’umanità? Essi sono vitali per riparare l’individuo dagli arbìtri del potere politico e per una pacifica convivenza all’interno delle nazioni sulla base dell’appartenenza a esse. Tutto comincia dalle celebri Dichiarazioni delle rivoluzioni americana e francese. E la civiltà occidentale – e solo questa – ha via via riconosciuto diritti civili, economici, politici, sociali… Ma sempre in modo concreto e circostanziato e, soprattutto, a tutela degli individui e dei cittadini di un determinato Stato.
Però, cosa accade quando dei presunti “diritti” diventano, invece, una sorta di “religione laica” totalitaria e intollerante, allo stesso tempo utopistica e repressiva, che, invece di liberare individui e popoli, assume la forma politico-giuridica reale e concreta di una gabbia che limita la libertà d’espressione e conduce al massacro di identità e popoli? E, ancora, quali sono le lontane origini di tale autodistruttiva ideologia? A tutto questo risponde in meno di cento pagine il pamphlet del francese Jean-Louis Harouel I diritti dell’uomo contro il popolo (Introduzione di Vittorio Robiati Bendaud, liberilibri, pp. XVI-116, € 15,00). L’autore, 75 anni, è docente universitario di Storia del Diritto e nelle sue ultime opere ha studiato l’influenza delle religioni nello sviluppo delle società umane. E, in effetti, in questa pubblicazione Giurisprudenza, Diritto, Religione, Sociologia, Cultura, Storia e Politica si intrecciano in modo assai stimolante per il lettore. È da aggiungere che essa è uscita per la prima volta in Francia nel 2016 e ora viene tradotta in italiano dalla benemerita casa editrice di Macerata con alcune lievi modifiche, peraltro sottoposte all’approvazione dell’autore.
L’attuale ideologia dei diritti umani è caratterizzata dal terzomondismo, dall’immigrazionismo, dalla concessione acritica a elementi esogeni ed estranei (che peraltro rifiutano i princìpi liberaldemocratici), di fruire di una sorta di separatezza giuridico-culturale, pur vivendo in territorio europeo e, per di più, sfruttando tutti i benefici delle nazioni ospitanti. Tale dottrina totalitaria, dogmatica, intollerante – da altri definita “pensiero unico” o “politicamente corretto” – disprezza, in modo più o meno velato, la patria, il popolo, la lingua, la storia, la stessa cultura giuridico-politica europea-occidentale che ha fornito le basi per l’elaborazione dei diritti umani.
L’«odio per la propria religione, civiltà, nazione» si associa al «disprezzo di sé, la colpevolizzazione, il pentimento», «associato all’amore appassionato per l’altro», ovvero per tutto ciò che, solo perché è “diverso”, assume un carattere positivo. Questo vale innanzi tutto per l’aspetto “etnico” (i migranti), ma riguarda pure la sessualità (donne e gay sono ontologicamente “superiori”), i criminali (pecorelle smarrite vittime della società, da salvare), la famiglia (quella “alternativa” è un paradiso rispetto alla naturale), la cultura (il rap è superiore a Beethoven), e via di questo passo. Uno dei “diritti dell’uomo” maggiormente reclamati è la libertà d’immigrazione, che, peraltro, va a vantaggio dei potentati economico finanziari (vedi il volume Glebalizzazione di Diego Fusaro, da noi recensito in questo stesso numero di LucidaMente, in La nuova lotta di classe riparte da populismo e sovranismo). Il tutto senza tener conto dell’irrealismo di tale richiesta e degli «oneri finanziari insostenibili, dei problemi insolubili in materia di educazione, di socialità, di sicurezza e di ordine pubblico» per i paesi europei d’accoglienza; ma, soprattutto, senza chiedere ai nuovi arrivati di assimilarsi, come accadeva per i primi immigrati degli anni Cinquanta.
D’altra parte, scrive Harouel, oggi «l’immigrazione extra-europea è ormai costituita non più da individui ma da popolazioni. Ma, se gli individui possono integrarsi, le popolazioni non si integrano […] L’esistenza di vaste diaspore toglie agli immigrati ogni bisogno di entrare in contatto con le società europee, dal momento che essi hanno ricostituito sul suolo europeo la loro società d’origine con i relativi usi e codici. [… Essi] formano sul suolo europeo degli insiemi nazionali extra-europei, la cui identità è costantemente conservata e stimolata dal flusso continuo dei migranti provenienti dai Paesi di origine». Inoltre, «nei Paesi europei le sole rivendicazioni identitarie che non rischiano di essere accusate di razzismo o di xenofobia sono quelle che provengono o dagli stranieri o da persone in possesso della cittadinanza ma la cui origine è straniera».
Le vere vittime di tale ideologia sono i nativi europei, gli strati medio-bassi, il popolo, come afferma chiaramente il titolo del libro di Harouel, la gente comune, che si vede impoverita economicamente e privata della propria millenaria identità. Sono spudorate menzogne le argomentazioni secondo le quali: 1) all’Europa servono immigrati come manodopera; 2) gli europei non farebbero più certi lavori, che vengono lasciati agli stranieri; 3) gli immigrati contribuiscono allo stato sociale attraverso le tasse (in realtà «ricevono dallo Stato più assistenza rispetto ai contributi che versano»). Ma a rischio è anche la libertà di pensiero e d’espressione. Difatti, «la religione secolare dei diritti dell’uomo è un sistema politico-religioso regolamentarista, coercitivo e repressivo di cui lo Stato è anche Chiesa». Tutti sanno ormai che «ogni opinione critica è denunciata da una parola che termina con “fobia”» e che col manganello dell’antirazzismo, antixenofobia, antifascismo, antidiscriminazione e «nel nome delle idee più magnifiche e progressive, si genera una società liberticida, nella quale è vietato dire ciò che si vede e denunciare i meccanismi che stanno distruggendo le nostre società e la nostra civiltà».
I maggiori usufruttuari dello stato attuale delle cose imposto da tale totalitarismo non sono, come possono ritenere le animelle pure, i poveri profughi (più o meno “veri”), ma l’islam. Che usufruisce dello statuto di religione e, quindi, del diritto alla non discriminazione per motivi religiosi. Ma esso non è, come si crede, una religione, ma «in nome e con il pretesto della libertà religiosa, una civiltà ostile a quella europea [che] persegue la sua impresa di conquista e dominio». L’islam, infatti, è un insieme di regole morali, progetto politico mondiale e legge. Del resto, il Corano è: 1) un libro dettato, non ispirato dalla divinità, come la Bibbia e i Vangeli; 2) trasmette una legge e non un messaggio puramente spirituale, com’è tipico di tutte le religioni; 3) impone la sottomissione – questo significa islam – e non contempla la libertà individuale.
Tutto questo e la Storia di 1400 anni rendono l’islam assolutamente irriformabile, intollerante e inconciliabile verso ciò che gli è estraneo, tant’è vero che il mondo musulmano non ha sottoscritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, ma ha promulgato la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo (Parigi, 1981), che «subordina l’esercizio della ragione alla luce della rivelazione divina», e la Dichiarazione del Cairo dei diritti umani nell’islam (1990), che vieta di esprimere ogni opinione «in contraddizione con i princìpi della sharia»; insomma, è limitata in modo netto la libertà d’espressione. Dunque, in Europa gli immigrati islamici chiedono quella libertà di culto che è proibita dalla loro stessa religione. Il rischio, pertanto, è la scomparsa in toto della civiltà europea, fondata sulla libertà.
Quali sono le radici dell’ideologia dei diritti umani? Qui entriamo nella parte più difficile del libro di Halouet, che di seguito cerchiamo necessariamente di semplificare. Lo studioso, infatti, fa risalire tale pensiero non, come si reputa comunemente, a un generico “amore per il prossimo” e a una bontà masochistica del cristianesimo. Questo, infatti, separa nettamente politica, diritto, morale e religione. I comportamenti umani incoraggiati dalla morale cristiana sono individuali e in vista del paradiso, «sono dei percorsi di santificazione individuale, non delle regole di diritto che si possono imporre a tutta una popolazione». In verità, il politicamente corretto spinto all’estremo è una riedizione: 1) dello storicismo (secondo cui «la storia è il cammino dell’umanità verso un’era radiosa di estrema felicità»); 2) dell’antica religione esoterica della gnosi, che condanna «l’insieme delle regole che governano la vita della società» e che si rifiuta «di credere che il male possa risiedere nell’uomo»; 3) dell’eresia marcionita (II secolo), che rifiutava l’Antico Testamento e «rinnegava la giustizia, l’ordine sociale, il matrimonio, la famiglia, la nazione», prediligendo le devianze e invertendo i valori comuni; 4) del millenarismo (la profezia di Gioacchino da Fiore dell’avvento del regno dello Spirito, «tempo dell’amore e della libertà»); 5) nonché dell’utopia comunista, che già riprendeva alcune caratteristiche delle precedenti ideologie.
Che fare? Harouel propone, tra l’altro, che: 1) «l’acquisizione della nazionalità deve essere subordinata a un comportamento convincente di adesione» al Paese ospitante («lingua, valori, costumi, storia»); 2) i musulmani siano obbligati a «rinunciare alla pretesa di governare l’insieme della vita sociale», anche perché lo stesso Corano proibisce ai fedeli «l’insediamento in “terra di miscredenza”» e, se capita, essi «si trovano dispensati dal rispetto dei loro obblighi coranici»; 3) siano vietati i discutibili (da dove arrivano i soldi?) finanziamenti esteri di moschee, scuole coraniche, ecc. Purtroppo, sembra che abbiamo già raggiunto il punto di non ritorno e che, se i popoli europei non si svegliano, anche culturalmente e demograficamente, si sia avviati a quel tragico destino di sottomissione (dhimmitudine) codificato dalla religione maomettana per cristiani ed ebrei. E andrebbe pure bene, perché, nel Corano, per chi non pratica religioni monoteiste, è addirittura prevista tout court la morte…
Le immagini: A uso libero da Pixabay.com.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XV, n. 169, gennaio 2020)
Ho aperto un sito web: dirittiunmani.net in cui affronto il tema dei diritti della persona umana rispetto alla comunità. Ho scritto numerosi articoli su questo tema. Per quanto concerne la morale cristiana ritengo che il messaggio dell’antico testamento sia essenzialmente questo: la comunità viene prima del singolo. Dio protegge il proprio popolo non il singolo e detta le leggi morali e civili per proteggere la comunità dalla disgregazione interna. Le leggi morali e civili (occhio per occhio dente per dente) generano una comunità coesa e impediscono la prevaricazioni di un uomo sull’altro (homo homini lupus). In una comunità protetta è protetto pure il singolo. Soltanto in questa comunità è possibile il messaggio evangelico: ama il prossimo tuo come te stesso”. Il messaggio di Gesù è complementare al messaggio di Dio non è ad esso contrapposto.