- LO SCIOPERO DEGLI ADDETTI A FUNZIONI O SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI E DEI MARITTIMI NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
C’è una tematica che è divenuta via via più rilevante con la progressiva estensione della sindacalizzazione fra i lavoratori espletanti funzioni rispondenti a compiti dello Stato, considerati classicamente prioritari, ovvero espletanti servizi soddisfacenti a bisogni dell’individuo e della collettività ritenuti largamente primari o comunque indifferibili senza gravi disagi e costi.
È la questione dell’astensione dal lavoro attuata da dipendenti incaricati di funzioni o di servizi pubblici essenziali.
La Corte costituzionale emette la sent. n. 46/1958 – relativa all’art. 333 c.p., configurante quale reato l’abbandono individuale di un pubblico ufficio, servizio o lavoro – che preannuncia una chiusura non indiscriminata, ma selettiva rispetto allo sciopero nell’area “pubblica”. È una tipica sentenza di rigetto “interpretativa”, la quale salva l’art. 333 secondo una data interpretazione, quella per cui risulterebbe ormai inapplicabile “allorché l’abbandono dell’ufficio servizio o lavoro costituisca semplice partecipazione ad uno sciopero se ed in quanto possa considerarsi legittimo”.
Tale linea trova poi una precisa ed articolata definizione in una successiva coppia di sentenze, la n. 123/1962 e la n. 31/1969, relative all’art. 330 del codice penale.
La Corte parte della corretta premessa di una pertinenza del diritto di sciopero a favore così dei dipendenti pubblici come dei dipendenti privati, ma poi giunge alla discutibile conclusione di configurare come reato in forza dell’art. 330 lo sciopero degli addetti a funzioni o servizi pubblici essenziali, cioè appunto “aventi carattere di preminente interesse generale ai sensi della Costituzione”.
Una qualche apertura è avvertibile nella sent. n. 222/1976, una decisione di rigetto “interpretativa”, relativa non solo all’art. 330, ma anche all’art. 340 cod. pen., che prevede come reato l’interruzione di un servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità.
La Corte precisa che, è possibile distinguere all’interno di un dato insieme di compiti, pur normalmente tutti connessi e complementari, quelli che sono suscettibili d’essere sospesi, quindi anche per eventuali scioperi (compiti non essenziali), da quelli che non sono mai suscettibili di essere svolti al di sotto di dati standard operativi (compiti essenziali). In secondo luogo, è doveroso far riferimento per operare tale distinzione alle specifiche norme inderogabili eventualmente al riguardo esistenti.
Ma qualche nota nuova si trova nell’argomentazione della sent. n. 125/1980, nella quale sembrerebbe che la Corte “reinterpreti” la sua precedente giurisprudenza in materia di addetti a servizi pubblici essenziali, come se fosse non esclusiva della stessa titolarità ma limitativa del solo esercizio; ed, inoltre, che “ampli”, sia pure implicitamente, la sua considerazione circa la possibilità di sostituire personale in sciopero oltre la speciale fattispecie considerata, cioè anche al di là della peculiare area delle funzioni e dei servizi pubblici essenziali, con una conseguente, larga legittimazione del crumiraggio.
Della “vecchia” precettazione si è già avuto occasione di parlare come di una misura di sicurezza amministrativa che, prevista dalla legislazione precostituzionale. Come regolata dall’art. 20 del T.U. L. com. e prov. 383/1934 – che abilita il perfetto nell’ambito provinciale ed intercomunale, nonché il sindacato nell’ambito comunale, ad emettere «ordinanze di carattere contingibile ed urgente in materia di edilizia, polizia locale e igiene, per motivi di sanità o sicurezza pubblica” –, essa è stata considerata compatibile con l’articolo 40 Cost. dalla sent. n. 4/1977.
- LO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI FRA LEGGI SPECIFICHE E AUTOREGOLAMENTAZIONE
La scarsa persuasività ed efficacia della legislazione precostituzionale ha determinato l’alternativa fra legge ed autoregolamentazione (uni o bilaterale).
Fino al giugno 1990 la legge non è mai intervenuta a disciplinare direttamente e puntualmente l’intera materia dello sciopero nei servizi pubblici, od anche solo nei servizi pubblici cd. essenziali; ma questo non vuol dire che essa sia rimasta del tutto assente. C’è, anzitutto, da ricordare qualche disposizione legislativa che esclude la stessa titolarità o limita l’esercizio del diritto di sciopero, con riguardo a specifiche funzioni o servizi pubblici, settori considerati nevralgici.
Dopo aver ricordato i limiti per militari e poliziotti c’è da menzionare qualche altro testo legislativo. Così l’art. 49 del D.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185, limitava implicitamente l’esercizio del diritto di sciopero in impianti rilevanti come quelli nucleari. Così, ancora, fatto ben più rilevante, l’art. 4 della L. 23 maggio 1980, n. 242, disciplina esplicitamente l’esercizio del diritto di sciopero degli addetti ai servizi di assistenza al volo.
A conti fatti, sino al 1990, niente più di qualche norma episodica ed isolata, spiegabile in relazione sia all’area interessata, sia alla peculiare vicenda della contestuale, generale regolamentazione dello stato del personale o dello svolgimento del lavoro.
La soluzione destinata a prevalere, con il varo della legge quadro sul pubblico impiego, n. 93/1983, sarebbe stata quella di una “allegazione” dei codici di autodisciplina agli accordi sindacali di tutto il settore pubblico. Per detti codici era previsto un contenuto minimo vincolato, dato “dall’obbligo di preavviso non inferiore a 15 giorni” e “modalità di svolgimento tali da garantire la continuità delle prestazioni indispensabili, in relazione alla essenzialità dei servizi, per assicurare il rispetto dei valori e dei diritti costituzionalmente tutelati”.
Vista la debole efficacia giuridica dell’autoregolamentazione, la norma volta a guidarla per tutto il settore pubblico, è rimasta in vita solo per un decennio, risultando abrogata dalla successiva legge di cd. privatizzazione del pubblico impiego.
Anche dopo la legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali resta forte l’esigenza di una regolamentazione negoziale che attenui le fragilità del sistema regolativo di alcuni settori pubblici critici, in primis, quello dei trasporti.
- LA LEGGE 12 GIUGNO 1990, N. 146 (COME MODIFICATA DALLA LEGGE 11 APRILE 2000, N. 83)
Con l’avanzare del decennio 1981-90 diventa sempre più forte la spinta verso una legge regolatrice dello sciopero nei servizi pubblici essenziali; ma di una legge costruita e gestita con piena collaborazione delle confederazioni sindacali. È questa la nota peculiare che caratterizza fin dall’origine la legge 12 giugno 1990, n. 146, rispetto a tutta una legislazione antisciopero fiorita oltralpe ed oltreoceano: e la caratterizza col farne a pieno titolo una legge “concertata”.
La L. 11 aprile 2000, n. 83, che ha modificato in più punti e della L. n. 146/1990: in particolare, rispetto all’impianto originario, risultano rafforzati i poteri della Commissione di garanzia, potenziato ed articolato in modo più compiuto il sistema sanzionatorio ed estesa esplicitamente la regolamentazione in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali alle astensioni dal lavoro poste in essere da lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori.
Il criterio cardine su cui si basa tutta la L. n. 146/1990 è quello del contemperamento fra l’esercizio del diritto di sciopero ed il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.
Secondo alcuni il principio del contemperamento costituirebbe al contempo anche la ratio della L. n. 146, cioè indicherebbe il fine ultimo perseguite dal legislatore. Altri, tuttavia, evidenziano come nello stesso corpo normativo sia contenuta l’ulteriore affermazione secondo la quale la legge “dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo per assicurare l’effettività nel loro contenuto essenziale” dei diritti di cui al comma 1°: il contemperamento non costituirebbe il fine della legge, bensì uno strumento attraverso il quale essa raggiunge il suo reale obbiettivo che è quello di garantire l’effettivo esercizio dei diritti della persona nel loro contenuto essenziale.
La L. n. 146/1990 si fa carico di individuare i servizi pubblici essenziali. All’art. 1, 1° comma, considera servizi pubblici essenziali “quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione”. Quindi al comma 2°, “allo scopo di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1°”, elenca quelli che, in relazione ai vari diritti, debbono essere ritenuti servizi pubblici essenziali.
L’individuazione dei servizi essenziali è effettuata dal legislatore con una tecnica composita, costituita da una previa definizione basata sulla lista tassativa dei diritti soddisfatti; e da una successiva elencazione esemplificativa dei servizi medesimi.
Perché un servizio possa essere qualificato come “pubblico essenziale” non rilevano criteri di carattere soggettivo, come la natura del rapporto di lavoro dei dipendenti che si astengono dal lavoro o il regime giuridico in cui opera il soggetto gestore. L’unico dato rilevante è oggettivo: l’imprescindibilità del servizio per l’effettività dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.
Il compito di individuare nuovi e diversi servizi da considerare come “pubblici essenziali” è demandato dalla L. n. 146 alle “fonti” deputate ad integrarla, soprattutto alla contrattazione collettiva e alla Commissione di garanzia. Quest’ultima, proprio in ragione della presenza di formule generiche nella L. 146 – «soggetti che proclamano lo sciopero», «soggetti che promuovono lo sciopero», «parti» – non ha avuto difficoltà a ritenere applicabili le regole legali in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali anche allo sciopero proclamato da soggetti diversi dalle oo.ss.
Consolidato è, poi, l’orientamento giurisprudenziale, supportato anche da delibere della Commissione di garanzia, che estende le regole poste dalla L. n. 146/1990 anche a tutti i tipi di sospensione dell’attività lavorativa, attuati in circostanze sindacalmente significative, che presentino caratteristiche oggettive simili allo sciopero.
- LE REGOLE DA RISPETTARE IN CASO DI SCIOPERO. L’INDIVIDUAZIONE DELLE PRESTAZIONI INDISPENSABILI
Quando uno sciopero investa un servizio pubblico essenziale è necessario che vengano rispettati alcuni obblighi, individuati specificamente dal legislatore: nel preavviso non inferiore a 10 giorni, eventualmente elevabile da parte dei contratti collettivi per il settore privato e pubblico e dei regolamenti di servizio; nell’indicazione, con atto scritto, della durata e delle modalità di attuazione, nonché delle motivazioni dello sciopero; e genericamente nelle “misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili”.
La L. n. 146/1990, individua genericamente nei “soggetti che proclamano lo sciopero” chi è obbligato agli adempimenti appena descritti.
All’evidente scopo di impedire un aggiramento dell’obbligo di preavviso, la Commissione di garanzia ha ritenuto di doverne estendere il rispetto anche in capo alle organizzazioni sindacali che decidano di aderire ad uno sciopero proclamato da un’altra sigla.
La comunicazione deve essere data sia alle amministrazioni e imprese che erogano il servizio, sia all’apposito ufficio costituito presso l’autorità deputata ad adottare l’ordinanza di precettazione, la quale ne cura l’immediata trasmissione alla Commissione di garanzia.
Né il preavviso né l’indicazione della durata sono richiesti “nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi visivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”.
Le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi sono tenute, a loro volta, a dare comunicazione agli utenti, nelle forme adeguate, almeno cinque giorni prima dell’inizio dello sciopero, dei modi e dei tempi di erogazione dei servizi nel corso dello sciopero.
La revoca spontanea dello sciopero proclamato, dopo che è stata data informazione all’utenza costituisce forma sleale di azione sindacale e viene valutata dalla Commissione di garanzia ai fini dell’applicazione delle sanzioni collettive. Non costituisce peraltro revoca spontanea, quindi ingiustificata, quella effettuata per intervenuto accordo fra le parti o a seguito di richiesta della Commissione di garanzia o dell’autorità competente ad emanare l’ordinanza di precettazione; tuttavia, affinché la revoca su indicazione dei Garanti possa considerarsi legittima, deve intervenire entro 5 giorni dal ricevimento del relativo invito.
L’obbligo di indicazione della durata impedisce devono essere considerati leciti gli scioperi ad oltranza; anzi, le amministrazioni e le imprese devono informare gli utenti («almeno cinque giorni prima dell’inizio dello sciopero») delle «misure per la riattivazione dei servi», con l’ulteriore obbligo di «garantire la pronta riattivazione del servizio quando l’astensione dal lavoro sia terminata».
La Commissione di garanzia è spesso intervenuta per far inserire negli accordi valutati idonei clausole sulla durata dello sciopero e sulla collocazione cronologica, come la previsione di “periodi di franchigia” cioè la proibizione dell’astensione collettiva dal lavoro in taluni momenti, per es. in coincidenza con le festività natalizie o pasquali. Sempre maggior spazio, inoltre, hanno avuto le clausole sui cd. intervalli soggettivi, cioè divieti di reiterazione dello sciopero da parte delle associazioni che vi abbiano già fatto ricorso: si impedisce così loro di ripetere lo sciopero in un certo lasso di tempo. Maggiori dubbi circondano, invece, i cd. intervalli oggettivi, che mirano a impedire il ripetersi di scioperi in un certo ambito o settore, a prescindere dal soggetto proclamante.
I contratti e gli accordi collettivi ed i regolamenti di servizio devono indicare “intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo, quando ciò sia necessario evitare che, per effetto di scioperi proclamati in successione da soggetti sindacali diversi e che incidono sullo stesso servizio finale o sullo stesso bacino di utenza, sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici.
Gli stessi contratti, accordi e regolamenti di servizio devono, inoltre, prevedere procedure di raffreddamento e di conciliazione finalizzate alla ricerca di una soluzione preventiva alle agitazioni, obbligatorie per entrambe le parti, da esperire prima della proclamazione dello sciopero.
Il necessario rispetto del principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39, ha comunque consigliato di prevedere la possibilità per le parti, in specie quelle non firmatarie del contratto o accordo collettivo, di esperire il tentativo di conciliazione in sede amministrativa: se lo sciopero ha rilievo locale presso la prefettura o presso il comune nel caso di servizi pubblici di competenza dello stesso e salvo che il caso in cui l’amministrazione comunale sia parte; se lo sciopero ha rilievo nazionale presso il competente ufficio del Ministero del lavoro.
L’obbligo di assicurare le prestazioni indispensabili – da intendersi come –aliquote di servizi pubblici essenziali da offrire comunque ai cittadini» – grava sia sulle imprese e amministrazioni che erogano il servizio, sia sulle organizzazioni sindacali, sia sui lavoratori.
Le parti «possono disporre l’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni ed indicare, in tal caso, le modalità per l’individuazione dei lavoratori interessati, ovvero possono disporre forme di erogazione periodica». È facile qui cogliere traccia di una distinzione corrente fra due grandi famiglie di servizi pubblici essenziali e relative prestazioni indispensabili: i servizi che esigono che certe prestazioni siano comunque continuane rispettando certi standard di funzionamento (come per es. nel pronto soccorso) ed i servizi che richiedono che certe prestazioni siano erogate con intervalli periodici (come, per es., nei trasporti).
La legge rimette l’individuazione delle prestazioni indispensabili e delle misure per dare loro attuazione prima di tutto alla “fonte concordata”, cioè ai contratti collettivi, per il settore privato, e, per il settore pubblico, agli accordi previsti D.lgs n. 29/1993 ed ai regolamenti di servizio da emanare, comunque, «in base agli accordi con le rappresentanze del personale di cui all’art. 47 del medesimo» D.lgs n. 29/1993.
La ragione della scelta a favore dei contratti e accordi collettivi va ricercata nell’opportunità politica di una determinazione consensuale che coinvolga in prima persona le associazioni dei lavoratori e degli enti gestori; ed insieme la necessità tecnica di una incorporazione contrattuale che valga in via diretta per tutti i lavoratori.
Nel corpo della L. n. 146/1990 non è dato rinvenire alcuna traccia in grado di far propendere per una sua applicabilità al peculiare caso dello sciopero generale. È, così, spettato alla Commissione di Garanzia, una volta ritenuto, in via di principio, che “l’adesione allo sciopero generale delle categorie che erogano servizi pubblici essenziali, come si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 276 del 10 marzo 1993, non può considerarsi estranea alla disciplina di cui alla legge n. 146/1990”, farsi carico di trovare una soluzione al problema.
Una nozione di sciopero generale, riferita a quell’astensione dal lavoro, proclamata per tutte le categorie pubbliche e private da una o più confederazioni di diffusa rappresentanza a livello nazionale, avente ad oggetto rivendicazioni non contrattuali. Quindi, si è sancita la necessità che alla proclamazione da parte della/e Confederazione/i faccia seguito un’apposita proclamazione “adesiva” da parte delle oo.ss. di categoria, contenente le indicazioni prescritte dall’art. 2 L. n. 146 (durata, modalità di attuazione, motivazioni dello sciopero, misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili); proclamazione ed adesione devono, inoltre, rispettare il termine di preavviso. Si è ritenuto di escludere l’obbligo di preventivo esperimento delle procedure di raffreddamento e conciliazione.
- LA COMMISSIONE DI GARANZIA
Ai sensi dell’art. 12, L. n. 146/1990, tocca ai Presidenti delle due Camere designare congiuntamente i nove membri della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge, scegliendoli fra “esperti di diritto costituzionale, di diritto del lavoro e di relazioni industriali”. Essa è investita di una pluralità di compiti che attengono così alla fase di fissazione delle regole generali che le parti devono rispettare in caso di sciopero (valutazione di idoneità, provvisoria regolamentazione, promozione della formulazione di tali regole), della loro interpretazione o applicazione. Accanto a questi poteri consultivi le sono attribuiti poteri compositivi (emanazione di lodo) e poteri conformativi (delibere d’invito) riferiti al singolo conflitto, spesso accompagnati da poteri di accertamento, poteri sanzionatori e poteri di impulso della procedura di precettazione.
1) La commissione è investita, prima di tutto, della competenza a valutare i contratti e gli accordi raggiunti dalle parti per verificarne l’idoneità rispetto agli obiettivi perseguiti dal legislatore. A tal fine assume rilevanza il parere delle organizzazioni dei consumatori e degli utenti riconosciute ai sensi della L. n 281/1998. La valutazione deve riguardare non solo le prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero, ma anche le modalità, procedure ed altre misure dirette a consentire l’erogazione, l’intervallo minimo da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo, oltre che le clausole relative alle procedure di raffreddamento e di conciliazione.
I criteri di riferimento per la valutazione, oltre al rispetto del generale principio cardine del contemperamento tra il diritto di sciopero e i diritti della persona costituzionalmente garantiti sono molteplici. Per quanto concerne il giudizio di idoneità delle prestazioni i parametri sono gli stessi che vengono indicati nella provvisoria regolamentazione operata in via suppletiva dalla Commissione. Per quanto riguarda, invece, le altre disposizioni soggette al vaglio della Commissione, la L. n. 146 non detta alcun criterio valutativo specifico. È nei fatti la stessa Commissione, attraverso la propria giurisprudenza, a dettare le linee guida del proprio giudizio di idoneità e, di converso, anche le regole essenziali a cui la contrattazione collettiva dovrà attenersi.
2) Qualora non valutati idonei i contratti o gli accordi, sulla base di specifica motivazione, la Commissione sottopone alle parti una proposta sull’insieme delle prestazioni, procedure e misure da considerare indispensabili. Le parti devono pronunciarsi entro 15 giorni dalla notifica. Se non si pronunciano, verificata nei 20 giorni successivi, in sede di apposite audizioni, l’indisponibilità delle parti a raggiungere un accordo, la Commissione formula una provvisoria regolamentazione delle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e di conciliazione e delle altre misure, che è vincolante medio tempore, fino al raggiungimento di un accordo valutato idoneo, per le parti, per il giudice ed anche, salvi adattamenti richiesti dalla situazione specifica, per l’autorità precettante.
Quanto ai contenuti della “provvisoria regolamentazione” la novella impone alla Commissione di “tener conto delle previsioni degli atti di autoregolamentazione vigenti in settori analoghi o similari nonché degli accordi sottoscritti nello stesso settore dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”; indica, inoltre, delle soglie quantitative.
3) L’attività tipica della Commissione, accanto a quella di valutazione, è quella di promozione degli accordi. In questo contesto va considerato, oltre al potere di proposta, il potere di convocazione proposta che le spetta nel caso in cui il servizio sia svolto con il concorso di una pluralità di amministrazioni ed imprese: l’organo di garanzia può convocare le amministrazioni e le imprese interessate, incluse quelle che erogano servizi strumentali, accessori o collaterali, e le rispettive organizzazioni sindacali, e formulare alle parti interessate una proposta intesa a rendere omogenei i regolamenti già individualmente adottati, tenuto conto delle esigenze del servizio nella sua globalità.
4) Ancora alla Commissione sono riconosciuti poteri consultivi. Infatti, di propria iniziativa o su richiesta congiunta delle parti, può esprimere parere su questioni interpretative o applicative degli accordi.
5) Carattere vincolante ha il lodo sul merito della controversia, che può essere emanato solo su richiesta congiunta delle parti.
6) Nell’ipotesi di dissenso tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori su clausole specifiche concernenti l’individuazione o le modalità di effettuazione delle prestazioni indispensabili, che comunque valutati idonee, può indire una consultazione ( referendum), di propria iniziativa o su richiesta delle organizzazioni che hanno preso parte alla trattativa o di un numero rilevante di lavoratori interessati. La consultazione si svolge nei 15 giorni successivi e ad essa sovrintende l’Ispettorato del lavoro competente per territorio. Nel caso in cui il contrasto persista dopo la consultazione, la Commissione formula alle parti la propria proposta e potrà aver luogo il procedimento descritto al punto 2.
7) Alla Commissione spettano anche poteri conformativi (cd. delibere di invito da ritenersi vincolanti) spesso accompagnati da poteri istruttori o di accertamento.
Può assumere informazioni o convocare le parti in apposite audizioni, per verificare se sono stati esperiti i tentativi di conciliazione e se vi sono le condizioni per una composizione della controversia e nel caso di conflitti di particolare rilievo nazionale, può invitare, con apposita delibera, i soggetti che hanno proclamato lo sciopero a differire la data dell’astensione dal lavoro per il tempo necessario a consentire un ulteriore tentativo di mediazione; indica immediatamente ai soggetti interessati eventuali violazioni delle disposizioni relative al preavviso; rileva la eventuale concomitanza tra interruzioni e riduzioni di servizi pubblici alternativi, interessano il medesimo bacino di utenza.
8) È titolare di poteri sanzionatori.
9) Ha poteri di impulso in materia di precettazione. Si tratta di competenze molto estese, che non si situano più solo come accadeva invece prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 83/2000 –nella fase di individuazione delle regole generali, delle prestazioni indispensabili e delle altre misure da rispettare in caso di sciopero, ma, ai sensi dell’art. 13, si spingono a monte fino all’acquisizione delle ragioni di insorgenza del conflitto ed alla verifica di margini per la sua composizione; accompagnano il dispiegarsi della singola azione di lotta, prevenendo, dopo la proclamazione, eventuali violazioni delle regole che presiedono all’astensione collettiva o impedendone la protrazione; insistono nella fase patologica, di violazione delle regole, con la valutazione del comportamento delle parti, la deliberazione e determinazione dell’applicazione delle sanzioni e con l’impulso al procedimento di precettazione.
In considerazione delle modalità di nomina dei suoi componenti e delle sue prerogative può essere considerata la Commissione, come un’autorità amministrativa indipendente. La commissione assicura forme adeguate e tempestive di pubblicità alle proprie delibere e può richiedere la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale di comunicati contenenti contratti o accordi valutati idonei o delle proprie delibere di provvisoria regolamentazione; riferisce inoltre ai Presidenti delle Camere, su richiesta dei medesimi o di propria iniziativa, sugli aspetti di propria competenza dei conflitti, valutando la conformità della condotta tenuta dai soggetti individuali e collettivi alle clausole in tema di prestazioni indispensabili; trasmette gli atti di propria competenza ai Presidenti delle Camere e al Governo tramite i mezzi di informazione. Un obbligo di pubblicità incombe poi anche su imprese ed amministrazioni, che devono rendere note le delibere della Commissione e i contratti ed accordi valutati idonei tramite affissione in luogo accessibile a tutti.
- LE SANZIONI
La L. n. 146/1990 opera una radicale depenalizzazione, coll’abrogare quegli art. 330 e 333 cod. pen. e col colpire l’inosservanza dell’ordinanza di precettazione con una mera sanzione amministrativa.
Se da una parte smantella la vecchia strumentazione penalistica, dall’altra ne appresta una nuova, civile e amministrativa, con cui colpire i soggetti individuali e collettivi inadempienti.
Ai sensi della L. n. 146, i lavoratori che si astengono dal lavoro senza rispettare gli obblighi direttamente sanciti dalla legge (preavviso, indicazione della durata e delle modalità dell’astensione) o, richiesti dalla effettuazione delle prestazioni indispensabili, non prestino la loro consueta attività sono esposti a sanzioni disciplinari: sanzioni “proporzionate alla gravità dell’infrazione, con esclusione delle misure estintive del rapporto o di quelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso”. Si evidenzia così un regime speciale di queste sanzioni disciplinari: anche da quelle pecuniarie il datore di lavoro non può trarre profitto perché il relativo importo è versato all’Inps, gestione dell’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria.
Spetta esclusivamente in capo alla Commissione di garanzia il compito di valutare i comportamenti anche dei singoli lavoratori (oltre che dei soggetti collettivi e dei responsabili delle amministrazioni e imprese) e di decidere di prescrivere al datore di lavoro l’apertura del procedimento disciplinare per la comminazione di una sanzione proporzionata alla gravità dell’infrazione commessa; il datore, da parte sua, non ha troppi margini di autonomia, dovendo ottemperare a quanto prescrittogli dalla Commissione e limitare la propria discrezionalità soltanto alla scelta della sanzione più proporzionata al comportamento contestato lavoratore, pena l’irrogazione a carico dei dirigenti responsabili delle amministrazioni e dei legali rappresentanti degli enti e delle imprese, di sanzioni amministrative.
La Commissione riveste, invece, un ruolo di primo piano con riguardo alle sanzioni a carico dei responsabili degli enti gestori e delle organizzazioni sindacali: in entrambi i casi è titolare del potere sanzionatorio.
I dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e i legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano servizi pubblici che non facciano tutto quello che possono per concordare le prestazioni indispensabili e le altre misure dirette a salvaguardare il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, che non rispettino le misure concordate o prescritte dalla Commissione nella provvisoria regolamentazione o non prestino correttamente informazione agli utenti dell’astensione già proclamata sono passibili una sanzione amministrativa pecuniaria (da 2582,28 euro a 25,822,84 euro), tenuto conto della gravità della violazione, dell’eventuale recidiva, dell’incidenza di esso sull’insorgenza o sull’aggravamento di conflitti e del pregiudizio eventualmente arretrato agli utenti. Ma se la violazione è effettuata nonostante una delibera di invito della Commissione di garanzia il tetto massimo è raddoppiato. La sanzione – che viene deliberata dalla Commissione di garanzia a conclusione di un procedimento, che è identico a quello prescritto per l’irrogazione delle sanzioni a carico delle organizzazioni sindacali – è applicata con ordinanza-ingiunzione della Direzione provinciale del lavoro-sezione ispettorato del lavoro dettato del lavoro.
Per quanto riguarda le organizzazioni dei lavoratori che violino le prescrizioni dell’art. 2 (obbligo di preavviso, indicazione della durata, rispetto delle prestazioni indispensabili e delle altre misure atte a garantire i diritti degli utenti) è prevista la sanzione della sospensione dei permessi sindacali retribuiti e, in alternativa o in aggiunta a seconda della gravità dell’infrazione, dei contributi sindacali comunque trattenuti sulla retribuzione (per un ammontare compreso fra euro 2.582,28 e euro 25.822,84), tenuto conto della consistenza associativa, della gravità della violazione dell’eventuale recidiva, nonché della gravità degli effetti dello sciopero sul servizio pubblico.
Anche in questo caso opera il raddoppio del tetto massimo della sanzione se l’astensione è effettuata nonostante una delibera di invito della Commissione. I contributi sono devoluti all’Istituto nazionale della previdenza sociale, gestione dell’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione. Inoltre, le stesse organizzazioni possono essere escluse dalle trattative alle quali eventualmente partecipino per un periodo di due mesi dalla cessazione del comportamento. L’ipotesi in cui la violazione sia perpetrata da un soggetto collettivo che non sia titolare dei diritti su cui incidono le sanzioni in parola oppure non partecipi al tavolo contrattuale. In tal caso la Commissione di garanzia delibera una sanzione amministrativa pecuniaria sostitutiva, a carico di coloro che rispondono legalmente dell’organizzazione sindacale responsabile.
Anche in questo caso sono indicati criteri, limiti quantitativi e raddoppi. Inoltre, anche qui l’applicazione è effettuata con ordinanze-ingiunzione della Direzione provinciale del lavoro-sezione servizi ispettivi.
La Commissione di propri iniziativa, su richiesta delle parti, delle associazioni degli utenti riconosciute ai sensi della L n. 281/1988, delle autorità nazionali o locali che vi abbiano interesse, apre il procedimento di valutazione delle organizzazioni sindacali o delle amministrazioni e imprese. È quindi garantito il principio del contraddittorio, tramite la notifica dell’apertura del procedimento alle parti, che hanno 30 giorni per presentare osservazioni o chiedere di essere sentite. Decorso tale termine e comunque non oltre 60 giorni, la Commissione valuta il comportamento e, se la valutazione è negativa, delibera le sanzioni fissando il termine per la loro applicazione. La fase esecutiva – la concreta applicazione della sanzione – compete alla Direzione provinciale del Tesoro-servizi ispettivi (per le sanzioni amministrative) e al datore di lavoro (per le sanzioni collettive), ma senza margini alcuni di discrezionalità.
Dell’avvenuta applicazione della sanzione deve essere data comunicazione alla Commissione.
Contro le delibere della Commissione in tema di sanzioni – deve intendersi: nel caso in cui la stessa sia titolare del relativo potere, quindi con riguardo alle sanzioni collettive e a quelle a carico dei responsabili degli enti gestori – è ammessa l’impugnazione davanti al giudice del lavoro.
- LA PRECETTAZIONE SPECIALE
Il sistema predisposto dalla legge funziona come una sorta di doppia rete: in prima battuta quella data dalla contrattazione collettiva; in seconda battuta quella costituita dalla “precettazione speciale”.
La precettazione speciale può essere disposta quando sussista «il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati che potrebbe essere cagionato dall’interruzione o dall’alterazione del funzionamento dei servizi pubblici di cui all’art. 1».
Fermo il rispetto dell’originario obbligo a carico dei lavoratori, enti gestori dei sindacati di assicurare, comunque, le prestazioni indispensabili, qui c’è qualcosa di più: occorre un fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti delle persone indicati nell’art. 1. Non è, in ogni caso, necessaria l’attualità del pregiudizio, ma è sufficiente che esso sia potenziale: l’autorità competente deve effettuare una valutazione di probabilità e potenzialità dell’evento dannoso. D’altra parte il pregiudizio dev’essere grave e non concretarsi in un semplice disagio per l’utenza.
Legittimato a precettare – su segnalazione della Commissione di garanzia o, nei casi di necessità ed urgenza, anche di propria iniziativa – è il presidente del Consiglio dei Ministri o un ministro da lui delegato, se il conflitto ha rilevanza nazionale o interregionale, e negli altri casi il Prefetto (o il corrispondente organo nelle regioni a statuto speciale).
Alla Commissione, oltre al potere di impulso del procedimento, è riconosciuto anche un potere propositivo: può formulare una proposta in ordine ai contenuti dell’ordinanza. Né in un caso né nell’altro, comunque, i poteri della Commissione vincolano in modo definitivo l’autorità precettante, che può dar corso autonomamente al procedimento, può discostarsi dalla proposta della Commissione e rimane la sola responsabile dell’atto finale.
L’ordinanza può disporre il differimento dell’astensione collettiva ad altra data, anche unificando astensioni collettive già proclamate, la riduzione della sua durata o prescrivere l’osservanza da parte dei soggetti che la proclamano, dei singoli che vi aderiscono e delle amministrazione o imprese che erogano il servizio, di misure idonee ad assicurare livelli di funzionamento del servizio pubblico compatibili con la salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.
Il procedimento si snoda attraverso un’informazione resa dall’autorità competente ai Presidenti delle regioni o delle province autonome di Trento e Bolzano, un invito alle parti a desistere dal comportamento, nell’esperimento di un tentativo di conciliazione da esaurire nel più breve tempo possibile, quindi, in caso di esito negativo, si conclude con l’ordinanza di precettazione, che deve essere adottata di norma 48 ore prima dell’inizio dello sciopero e deve specificare il periodo di tempo durante il quale le misure in essa contenute devono essere rispettate.
L’ordinanza ha natura bidirezionale, perché vincola sia gli enti gestori, sia i lavoratori. Essa è portata a conoscenza dei destinatari “mediante comunicazione da effettuare, a cura dell’autorità che l’ha emanata, ai soggetti che promuovono l’azione, alle amministrazioni o alle imprese erogatrici del servizio ed alle persone fisiche i cui nominativi siano eventualmente indicati nella stessa, nonché mediante affissione nei luoghi di lavoro, da compiersi a cura dell’amministrazione o dell’impresa erogatrice. Dell’ordinanza viene altresì data notizia mediante adeguate forme di pubblicità sugli organi di stampa, nazionali e locali, o mediante diffusione attraverso la radio e la televisione”.
Il mancato rispetto dell’ordinanza di precettazione importa l’applicazione di sanzioni amministrative, di carattere pecuniario per i lavoratori e per le organizzazioni sindacali, alla sospensione dell’incarico per i preposti al settore nell’ambito delle amministrazioni, degli enti e delle imprese erogatrici del servizio. I vari soggetti interessati possono promuovere ricorso contro l’ordinanza, chiedendone anche la sospensione immediata integrale o parziale, al Tribunale amministrativo regionale.
- LE ASTENSIONI COLLETTIVE DEI LAVORATORI AUTONOMI, PROFESSIONISTI E PICCOLI IMPRENDITORI
Una delle novità più rilevanti introdotte dalla L. n. 83/2000 è l’estensione dei principi che regolano l’esercizio del diritto di sciopero alle astensioni collettive dal lavoro di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che incidano sulla funzionalità dei servizi essenziali.
Le astensioni collettive dal lavoro poste in essere da questi soggetti non possono essere qualificate sciopero e non trovano, quindi, fondamento nell’art. 40 Cost. Costituiscono esercizio di un diritto di libertà, riconducibili ad altre norme costituzionali, in particolare al diritto di associazione di cui all’art. 18.
Anche in questo caso dovranno essere rispettate le regole poste dall’art 2 della L. n. 146, relative all’obbligo di preavviso, all’indicazione della durata e alla garanzia delle prestazioni indispensabili. Tuttavia la fonte deputata all’individuazione di queste ultime è qui diversa: non un contratto collettivo, ma un codice di autoregolamentazione da adottare “da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate”.
I codici di autoregolamentazione devono in ogni caso prevedere un termine di preavviso non inferiore a 10 giorni, l’indicazione della durata e delle motivazioni dell’astensione collettiva ed assicurare un livello di prestazioni compatibili con le finalità di garanzia dei diritti della persona costituzionalmente garantiti.
Il codice deve essere trasmesso alla Commissione di garanzia che, come di consueto, ne valuta l’idoneità. In caso di valutazione positiva il codice assume la stessa vincolatività del contratto valutato idoneo. Se, viceversa, esso manca o non è valutato idoneo, la Commissione, procederà ad emanare la “provvisoria regolamentazione”.
La violazione del codice valutato idoneo o della “provvisoria regolamentazione”, ma anche “ogni altro caso di violazione dell’art. 2, 3°comma” – quindi la mancata esecuzione delle prestazioni indispensabili – importa l’applicazione della solita sanzione pecuniaria a carico delle associazioni e degli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, «in solido con i singoli lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che aderendo alla protesta si siano astenuti dalle prestazioni». Nell’ipotesi, poi, che l’astensione sia stata effettuata nonostante una delibera d’invito della Commissione di garanzia, la sanzione potrà essere raddoppiata nel massimo.
Deliberare le sanzioni rientra nella competenza della Commissione di garanzia, mentre l’applicazione è effettuata con ordinanza-ingiunzione della Direzione provinciale del lavoro-servizio ispettivo.
La precettazione speciale opera anche nei confronti dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori e dei loro organismi rappresentativi. Gli uni e gli altri sono ugualmente esposti a sanzioni amministrative pecuniarie in caso di inosservanza. L’ordinanza è impugnabile davanti al Tribunale amministrativo regionale, che su richiesta può sospenderla in tutto o in parte.
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Alessandro Saggini
(LucidaMente, anno XV, n. 177, settembre 2020)