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Masochismi elettorali vecchi e nuovi

Nell’ultima chiamata alle urne il centrosinistra è riuscito maldestramente a perdere e i piccoli partiti antisistema hanno fatto di tutto per non entrare in Parlamento. Già in passato però l’autolesionismo ha provocato tragicomici flop…

Giuseppe Licandro by Giuseppe Licandro
1 Novembre 2022
in STORIA, TEMATICHE CIVILI
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Masochismi elettorali vecchi e nuovi
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Nell’ultima chiamata alle urne il centrosinistra è riuscito maldestramente a perdere e i piccoli partiti antisistema hanno fatto di tutto per non entrare in Parlamento. Già in passato però l’autolesionismo ha provocato tragicomici flop…

Parafrasando il titolo del celebre romanzo breve di Gabriel Garcia Marquez Cronaca di una morte annunciata (Mondadori), si potrebbe sarcasticamente affermare che anche nelle recenti elezioni politiche italiane si sia consumata una “sconfitta annunciata”: quella della coalizione di centrosinistra, guidata dal maldestro Enrico Letta. Dopo la caduta del governo guidato da Mario Draghi, infatti, i dirigenti del Partito democratico hanno mandato all’aria l’alleanza col Movimento 5 stelle, che avrebbe garantito – quantomeno – il sostanziale pareggio tra i due principali schieramenti politici: all’attuale opposizione, infatti, bastavano 15 senatori in più per impedire al centrodestra di conquistare la maggioranza assoluta a Palazzo Madama!

La sindrome da “masochismo elettorale”, tuttavia, non ha colpito soltanto i vertici del Pd. Anche la multiforme costellazione antisistema, infatti, si è segnalata per la dabbenaggine e la presunzione tipiche del settarismo più becero: le cinque liste sovraniste (Alternativa per l’Italia, Forza del popolo, Italexit, Italia sovrana e popolare, Vita) hanno ottenuto globalmente il 4,11% dei voti alla Camera e il 3,85% al Senato, ma nessuna è riuscita da sola a superare la soglia di sbarramento del 3%, necessaria per conquistare qualche seggio. Un discorso analogo va fatto per le formazioni politiche di estrema sinistra, ovvero il Partito comunista dei lavoratori (presente esclusivamente nei collegi senatoriali liguri), il Partito comunista italiano (presente soltanto in alcune circoscrizioni) e Unione popolare. I tre gruppi politici – come da copione – hanno accuratamente evitato di coalizzarsi, ottenendo ovviamente risultati molto modesti, a riprova ulteriore che il settarismo non paga e la propensione all’isolamento fazioso condanna inevitabilmente alla marginalità politica (vedi Elezioni politiche in Italia del 2022).

Il masochismo elettorale non è una novità in Italia e già altre volte in passato ha provocato flop tragicomici. Nel 1996 il Polo per le libertà fu sconfitto da L’Ulivo solo perché la Lega Nord, correndo da sola, gli sottrasse oltre il 10% di voti (vedi Elezioni politiche in Italia del 1996). Nel 2001 accadde il contrario: Democrazia europea, l’Italia dei valori, la Lista Bonino, L’Ulivo e il Partito della rifondazione comunista si presentarono divisi e – pur raccogliendo globalmente il 48,49 dei voti alla Camera e il 52,26 al Senato – furono sconfitti dal centrodestra, che si era invece riunificato nella Casa delle libertà (vedi Elezioni politiche in Italia del 2001). Un altro caso emblematico si verificò nel 2013, quando Italia. Bene comune – la coalizione di centrosinistra guidata da Pier Luigi Bersani – vinse le elezioni senza però ottenere la maggioranza assoluta dei seggi al Senato, anche a causa della mancata alleanza con Rivoluzione civile (vedi Filippo Monteforte, Come andò a finire nel 2013, in www.ilpost.it).

Un discorso a parte va fatto per i neocomunisti del Prc che – oltre a vantare il record assoluto di scissioni interne (ben 18 tra il 1994 e il 2016!) – sono stati protagonisti di ripetuti disastri elettorali, disperdendo in dieci anni l’8,5% di consensi riscossi alle votazioni del 1996 (vedi Partito della rifondazione comunista). Va menzionata, innanzitutto, la fallimentare partecipazione del Prc alla lista unitaria La Sinistra l’Arcobaleno (nata dalla sua alleanza con la Federazione dei Verdi, il Partito dei comunisti italiani e la Sinistra democratica), che, alle elezioni politiche del 2008, non raggiunse il quorum del 4%. La sconfitta fu in gran parte determinata dalla concorrenza di tre liste di comunisti “dissidenti” (Pcl, Per il bene comune e Sinistra critica), che dispersero oltre mezzo milione di voti. Un altro flop si registrò alle successive elezioni europee del 2009, quando il Prc si alleò con il Pdci, ma non con due altre forze della sinistra radicale che si presentarono autonomamente (Pcl e Sinistra e libertà). Nessuna delle tre liste superò però lo sbarramento del 4% e complessivamente furono gettati al vento più di 2 milioni di voti (vedi Elezioni europee del 2009 in Italia). Nelle elezioni parlamentari del 2018 il Prc è confluito nel movimento politico Potere al popolo!, mentre in quelle del 2022 nell’Up di Luigi de Magistris, senza peraltro riuscire mai a eleggere alcun deputato o senatore.

Anche nella Prima Repubblica non erano certo mancate le clamorose débâcle. Nelle elezioni del 1972 il Partito socialista di unità proletaria, pur raccogliendo alla Camera oltre 648 mila voti (l’1,94%), non raggiunse il quorum in alcun collegio nazionale e riuscì nell’impresa di eleggere… zero deputati! Alle stesse votazioni presero parte altri tre partiti di estrema sinistra – il manifesto, il Movimento politico dei lavoratori e il Partito comunista (marxista-leninista) italiano – che, separati, raccolsero rispettivamente solo lo 0,67%, lo 0,36% e lo 0,26% dei consensi, senza ovviamente ottenere seggi: a sinistra del Pci – in totale – andò disperso oltre un milione di voti! (vedi Elezioni politiche in Italia del 1972). Il Psiup, travolto dal tracollo elettorale, si sciolse dopo due mesi e subito prese a circolare in Italia «la battuta sulla sigla di Partito Scomparso In Un Pomeriggio» (Giorgio Galli, Piombo Rosso, Baldini Castoldi Dalai). Una situazione analoga si ripropose alle elezioni parlamentari del 1979, allorché il Partito di unità proletaria per il comunismo e Nuova sinistra unita (una lista formata perlopiù dai militanti di Democrazia proletaria) si presentarono separatamente: il Pdup conseguì il quorum alla Camera e conquistò 6 deputati, Nsu invece non ottenne seggi, disperdendo lo 0,8% dei voti (vedi Elezioni politiche in Italia del 1979).

Jean Luc MELENCHON in the European Parliament in Strasbourg

La tendenza all’autolesionismo politico si è riscontrata talvolta anche fuori dall’Italia, come hanno dimostrato le presidenziali francesi dello scorso aprile. Jean-Luc Mélenchon, leader del movimento radicale La France insoumise, non è riuscito infatti ad accedere al ballottaggio contro Emmanuel Macron a causa dei voti sottrattigli dagli altri cinque candidati di sinistra (vedi Elezioni presidenziali in Francia del 2022). La lezione, tuttavia, sembra essere in parte servita: alle successive elezioni legislative si è formata la Nuova unione popolare ecologica e sociale, un’ampia coalizione di sinistra guidata da Mélenchon che ha sfiorato la vittoria (vedi Alessandro Lauro, La fine di un mito: le elezioni legislative francesi del 2022, in www.lacostituzione.info). La storia, dunque, ci ha insegnato che il “donchisciottismo” è sempre controproducente e un leader capace deve costruire le giuste alleanze per centrare i propri obiettivi politici, senza mai farsi abbagliare dal narcisismo e dalla supponenza.

Le immagini: i simboli elettorali di Alternativa per l’Italia, Forza del popolo, Italexit, Italia sovrana e popolare, Partito comunista dei lavoratori, Partito comunista italiano, Unione popolare, Vita (composizione dell’autore); il simbolo del Partito della rifondazione comunista (fonte: https://it.wikipedia.org); Jean-Luc Mélenchon (autore: Fred Marvaux; fonte: https://it.wikipedia.org).

Giuseppe Licandro

(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 203, novembre 2022)

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Tags: alleanzeelezionifocusmasochismomélenchonpoliticaprcPsiup
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