“Angeli e folli” e “Nella pancia del mostro” raccontano crudamente un’umanità emarginata e denunciano lo scandalo italiano dei detenuti negli Opg
«Anni fa, conversando con un carcerato, uno di quelli vecchia scuola dalla scorza dura e senza paura di niente, gli chiesi a un certo punto se fosse mai stato in O.P.G. Mi rispose di sì, ma non ne volle mai parlare e la sua espressione mentre lo diceva fu eloquente quanto enigmatica. Perché non riusciva a raccontare, mi chiedevo? Dieci anni più tardi faccio il computo delle persone del suo stampo che, nel frattempo, ho visto passare dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (nome addolcito dei vecchi Manicomi Criminali) e non sorprenderà sapere che, per quanto avvezzi ad anni di reclusione e vita al limite, non ho visti molti di loro uscirne bene, anzi quasi nessuno. Viktor Frankl, psicologo austriaco internato nei lager nazisti, scriveva che quanto più un uomo normale è inserito in una situazione anormale, tanto più normale sarà una sua reazione anormale» (Dario Villasanta, Nota introduttiva a Nella pancia del mostro).
Molti non ne sanno niente. A tanti interessa poco. A qualcuno sta bene così; anzi, “getterebbe la chiave”. Stiamo parlando della condizione dei detenuti nelle carceri italiane (in passato LucidaMente ha dedicato molti articoli al riguardo; vedi qui), in particolare di quelli reclusi presso gli Ospedali psichiatrico-giudiziari (Opg; già denominati manicomi criminali), dal 1° aprile 2015 sostituiti a loro volta dalle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). Ma abusi avvengono anche nei reparti di Psichiatria degli ospedali (vedi il caso del povero maestro elementare Francesco Mastrogiovanni). Si tratta di tematiche dolorose, difficili da affrontare. Il primo istinto, infatti, è quello di evitare tali argomenti per salvaguardare la propria sensibilità. Figuriamoci poi trascriverli in un libro. Ad aver avuto il coraggio di farlo è stato Dario Villasanta, scrittore di origine brianzola, trapiantato sulle colline bolognesi. Tra le sue opere, Il Migliore, Il Gioco del castello, Il Prezzo, e due raccolte di racconti brevi (Dalla cenere e Strade sporche). Nel 2014 ha scritto Angeli e folli e nel 2016 il suo seguito naturale, ancorché autoconclusivo, Nella pancia del mostro. Entrambi aventi, come sottotitolo, Romanzo di strada. Romanzi? Storie raccontate con uno stile potente! Pugni nello stomaco! Entrambi parlano di due declinazioni del disagio, diverse ma convergenti: il primo ci descrive come e dove nasce il suo substrato, il secondo mostra come si manifesta concretamente (con le carcerazioni o gli Opg).
All’origine di tutto è la contingenza tutta italiana di essere costretti per sopravvivere a imboccare strade non sempre ortodosse. I due libri sono incentrati più sui personaggi, sul loro vissuto, che sulla narrazione; il loro disagio è psichico e sociale, sociale e psichico, e non si sa bene se venga prima l’uno o l’altro. Tratti da storie vere (non una sola, bensì più storie di personaggi e fatti realmente esistiti, intrecciati nella finzione narrativa). In chiaroscuro, in fondo, resta la speranza. Il primo è un romanzo ambientato nella Milano degli anni Novanta, nei cui bui meandri si snodano le vicende dei tre protagonisti principali: Domenico, uomo distrutto dal proprio fallimento umano, e Giulia, prostituta altera e dignitosa, la cui conoscenza viene cementata da Dax, uomo sbucato dal nulla e dal passato torbido.
Nel secondo uno sconosciuto si ritrova legato a un letto di contenzione, in una cella d’isolamento dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere:
«Mi si snebbiano gli occhi al risveglio, mentre sento di non poter muovere i polsi. Ci metto poco a capire che sono legati al letto: strisce di cuoio, con ogni probabilità. E questa mi pare già una fortuna, visto che in alcuni posti ti legano con semplici strisce di stoffa, strette fino a fare male, che ti bloccano la circolazione e tagliano la pelle a ogni tentativo di movimento. La luce che vedo è quella del giorno, l’unica finestra non ha imposte ma solo sbarre. È chiusa, ma sento lo stesso il vocio degli altri internati nel cortile di sotto e un rumore di ghiaia sotto ai loro passi strascicati e fiaccati dalle terapie coatte e sedanti. Speravo di non entrarci più, qui dentro, ma ci sono tornato. Sono passati anni, eppure l’odore di malato è sempre lo stesso. Mi guardo intorno e intuisco, dal tanfo di piscio stantio e di disinfettante che non riesce a coprirlo, che sotto il letto è stato messo un pappagallo per l’urina. Eppure c’è una porticina scorrevole e spessa che dev’essere quella del bagno. Loro però non te lo lasciano usare, ci vanno solo a prendere l’acqua per lavare la padella in cui devi fare i bisogni. Se ti va bene, perché più di una volta ho visto invece pazienti legati, lasciati lì ad agitarsi nelle proprie feci, bagnati di urina e sporchi fino alla punta dei capelli».
Di nuovo lì, perché? Domenico e Giulia, appena redenti da un passato ai limiti della legalità, apprendono la notizia dai giornali e credono si tratti di Dax, l’ambiguo amico di un’estate che ha cambiato le loro vite, tirandoli fuori dal fango, tra mezzi legali e scorciatoie da strada:
«“Sì, ma insomma… Tu sembravi convinta a non andare, e non solo di quello. ‘Dax è uno squilibrato’, ‘noi non gli dobbiamo niente’, tutta una musica così. Non avrai per caso cambiato idea? Sai che non te lo chiedo solo per curiosità”.
Lei restò in silenzio, piegata sul banco del negozio, poi all’improvviso scoppiò in un pianto esasperato. Domenico le andò vicinò, la cinse con le braccia e la tenne stretta a sé, senza parlare. Non capiva il suo pianto ma gli faceva male vederla così, e si sentiva protettivo nei suoi confronti.
“Piangi, Giulia cara, piangi tutte le lacrime che hai. Io sono qui con te e non me ne andrò”, le diceva con il pensiero, sperando che lei lo sentisse e traesse conforto dalla sua vicinanza. Il pianto durò ancora qualche istante, abbandonata tra le sue braccia. Poi, all’improvviso come aveva iniziato, Giulia si calmò e, quasi vergognandosi della propria fragilità, si ritrasse con dolcezza».
Ce la faranno, i due, a “liberare” l’amico? Le tematiche affrontate da Villasanta, la sua sensibilità umana, il suo impegno civile, si inseriscono in un ricchissimo filone della cultura lombarda e, più in particolare, milanese, attenta agli emarginati e ai “diversi”, che va da Carlo Bertolazzi a Giovanni Testori, da Carlo Porta a Dario Fo; per non dire dei cantanti come Milva, dei cantautori come Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci e delle stesse canzoni popolaresche di Giorgio Strehler. Un mondo diverso da quello stereotipato della Milano borghese capitalista ed efficientista, che chi visita il capoluogo lombardo nei suoi anfratti meno noti può ancora scoprire.
Le immagini: le nuove copertine dei libri di Villasanta (illustrazioni di Luisa Forinese).
Edoardo Anziano
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 194, febbraio 2022)