L’escalation della guerra tra Russia e Ucraina potrebbe causare uno scontro nucleare tra le superpotenze. Solo la diplomazia può evitare che ciò accada, come ci ha insegnato la lezione della crisi dei missili di Cuba
La guerra in Ucraina – giunta come un macigno sulla testa dei popoli europei già provati da due anni di pandemia – ha creato una forte tensione politico-militare a livello globale che rischia di provocare una pericolosa escalation del conflitto. Una situazione così grave non si registrava dall’ottobre 1962, quando la crisi dei missili di Cuba portò il mondo sull’orlo di una guerra nucleare tra gli Stati uniti e l’Unione sovietica.
Il 1° gennaio 1959 il dittatore Fulgencio Batista – che nel 1952 aveva preso il potere a Cuba con un colpo di stato avallato dagli Stati Uniti – fu rovesciato dai guerriglieri del Movimento 26 luglio, guidati da Fidel Castro ed Ernesto Guevara. Il nuovo governo cubano realizzò ben presto la riforma agraria e pose fine ai privilegi delle corporations statunitensi che – insieme alla mafia – controllavano l’economia locale. I rapporti tra Cuba e Usa, pertanto, si deteriorarono e nel gennaio del 1961 si giunse alla rottura delle relazioni diplomatiche tra i due stati. John Kennedy – da poco insediatosi alla Casa bianca – diede il via libera a una spedizione militare per rovesciare il governo di Castro, già predisposta dal suo predecessore Dwight Eisenhower. Il 15 aprile 1961 otto bombardieri statunitensi B-26 distrussero o danneggiarono vari aerei militari cubani parcheggiati in alcuni aeroporti. Nelle prime ore del 17 aprile circa 1.500 esuli anticastristi, scortati dalla marina militare statunitense, sbarcarono sulla spiaggia della Baia dei porci, ma, dopo due giorni di combattimenti, furono sconfitti dai soldati cubani (vedi Alain Charbonnier, Svelati i segreti della Baia dei Porci, in gnosis.aisi.gov.it/gnosis/Start.nsf).
Il fallimento dell’invasione rinsaldò l’alleanza di Cuba con l’Unione sovietica. Il 1° maggio 1961, infatti, venne proclamata la repubblica socialista cubana, mentre circa un anno dopo l’Avana stipulò con Mosca un accordo di mutuo soccorso. Gli States disposero allora l’embargo economico e finanziario nei confronti dell’isola caraibica e diedero il via all’«Operazione mangusta», predisposta dalla Cia (Central intelligence agency) americana con lo scopo di destabilizzare il regime castrista con sabotaggi e attentati terroristici che, negli anni seguenti, avrebbero provocato «3.478 morti e 2.099 invalidi», nonché «637 tentativi di eliminare Fidel» (Giuseppe Trimarchi, Cuba oggi, Città del Sole Edizioni).
La tensione tra le due superpotenze era aumentata sensibilmente già nel 1960, quando la Nato aveva installato in Puglia trenta missili Chrysler PGM-17 Jupiter, ai quali si erano aggiunti nel 1961 altre quindici testate IRBM PGM-19 Jupiter, collocate in Turchia. Il governo sovietico – guidato da Nikita Chruščëv – si sentì minacciato e, in modo sconsiderato, «cercò segretamente di ristabilire l’equilibrio strategico piazzando missili nucleari a Cuba» (Joseph Smith, La guerra fredda. 1945-1991, il Mulino). Nel luglio 1962 si svolse un incontro riservato tra Castro e Chruščëv, nel corso del quale si stabilì di trasportare 140 testate nucleari sovietiche a Cuba. Così, a settembre iniziarono i lavori di costruzione di quaranta rampe di lancio per i missili sovietici SS-4 e SS-5. Il 14 ottobre, tuttavia, un volo di ricognizione eseguito da un U-2 (un aereo statunitense da ricognizione ad alta quota dotato di fotocamere) svelò che nell’isola si stavano edificando delle basi missilistiche. Kennedy, informato solo il 16 ottobre, costituì immediatamente un comitato esecutivo del Consiglio di sicurezza nazionale (costituito da 13 membri) per discutere sulla strategia da adottare.
Alcuni consiglieri (Clarence Dillon, Paul Nitze, ecc.) volevano che gli Usa invadessero Cuba o distruggessero le basi sovietiche con attacchi aerei; altri (Robert Kennedy, Robert McNamara, ecc.) ritenevano invece possibile intavolare un negoziato per convincere Chruščëv a desistere dai propri intenti. Prevalse, infine, una soluzione intermedia: il 22 ottobre, infatti, venne imposta una “quarantena” per Cuba, che fu circondata da 90 navi da guerra, mentre 650 aerei pattugliavano il mar dei Caraibi. La sera del 22 ottobre Kennedy, tramite la radio e la tv, informò il mondo di quanto stava avvenendo, scatenando un’ondata di panico a livello globale. Grandi manifestazioni in favore della pace si tennero in molte nazioni: alla fine del corteo di Milano, i poliziotti assaltarono con le camionette i manifestanti confluiti in Piazza Duomo, investendo e uccidendo lo studente universitario Giovanni Ardizzone (vedi Davide Steccanella, 1962. La tragedia di un ragazzo che manifestava per la pace, in www.repubblica.it).
Il 24 ottobre papa Giovanni XXIII tenne un discorso alla Radio vaticana, esortando i contendenti a evitare una guerra che poteva provocare «terribili conseguenze» (vedi Simone Valtorta, 1962, quando il papa impedì l’olocausto nucleare, in www.storico.org). Nello stesso giorno alcune navi sovietiche si diressero verso Cuba, ma – quando ormai lo scontro appariva imminente – Chruščëv ordinò loro di tornare indietro, aprendo le trattative con Kennedy. Il 26 ottobre una nave da guerra statunitense sganciò alcune bombe di avvertimento contro un sottomarino sovietico, armato di testate nucleari, che era in rotta verso l’isola; il comandante del sottomarino – su esplicita richiesta dell’ufficiale Vasilij Alexandrovič Archipov – non reagì all’attacco e fece riemergere il sommergibile senza forzare il blocco navale (vedi Davide Falcioni, Chi è Vasili Alexandrovich Arkhipov, l’uomo che salvò il mondo dalla catastrofe nucleare, in www.fanpage.it). La tensione salì nuovamente il 27 ottobre, allorché un U-2 statunitense fu abbattuto dall’aviazione cubana durante un volo di ricognizione, ma il giorno dopo – raggiunto l’accordo – Chruščëv annunciò a Radio Mosca di aver ordinato la rimozione dei missili cubani. Gli Usa – a loro volta – rinunciarono a invadere Cuba e smantellarono i missili in Puglia e Turchia, ponendo fine il 20 novembre alla “quarantena” imposta all’isola.
Nel 1963 fu creata una «linea rossa» tra il Cremlino e il Pentagono che, grazie all’invio di messaggi tramite le telescriventi, permetteva ai leader delle superpotenze di consultarsi rapidamente in caso di necessità. Tuttavia, l’esito fausto dei “13 giorni che sconvolsero il mondo” (vedi pure il film Thirteen Days, 2000, del regista Roger Donaldson) non portò fortuna a tre dei suoi protagonisti. Giovanni XXIII, già sofferente per un tumore allo stomaco, morì il 3 giugno 1963; Kennedy fu ucciso il 23 novembre 1963 a Dallas, in un attentato probabilmente organizzato dai suoi nemici interni (vedi Atlantide presenta J.F.K. revisited: tutta la verità sul complotto, in /www.la7.it/atlantide); dopo la riunione del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione sovietica, tenutasi a Mosca il 13 ottobre 1964, Chruščëv fu costretto a dimettersi da ogni incarico politico.
La paura di una Terza guerra mondiale è tornata nel mondo dopo sessant’anni, allorché il 24 febbraio 2022 l’esercito dello “zar” Vladimir Putin ha invaso brutalmente e pretestuosamente l’Ucraina. L’aggressione russa non ha alcuna giustificazione sul piano morale e la resistenza degli ucraini è pienamente legittima. L’invasione, tuttavia, ha una sua spiegazione in chiave geopolitica: la Russia, infatti, sta tentando di ampliare la propria sfera d’influenza e di contenere l’espansione della Nato verso l’Est europeo, iniziata nel 1997. A tal proposito, ci sembra importante ricordare ciò che ha scritto il generale Fabio Mini nel saggio La via verso il disastro (Limes, n. 7, marzo 2022): «Ormai sono anni che nella parte continentale dell’Europa la Russia deve ingoiare i continui rospi forniti dagli americani e dalla Nato. L’offensiva Usa-Nato iniziata trent’anni fa, fatta di provocazioni, umiliazioni, erosione di territori, destabilizzazione ai confini e sostegno all’eversione interna deve essere affrontata anche sul piano della sicurezza e della potenza militare […]. In ogni caso è necessaria una dose di grande lucidità e buon senso per uscire da una situazione veramente grave». Anche noi speriamo che la lucidità e il buon senso prevalgano e che Putin e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj – sulla falsariga di quanto fecero Chruščëv e Kennedy nel 1962 – trovino infine un’intesa e facciano cessare la guerra “fratricida” tra russi e ucraini.
Ciò che ci fa più paura, in questo drammatico frangente, è il malanimo di tanti guerrafondai nostrani che inneggiano all’escalation militare, senza considerare le terribili conseguenze di un ingresso della Nato nel conflitto ucraino (vedi Russia-Ucraina, la carica degli editorialisti che vogliono la guerra mondiale: il tifo per la no-flyzone e l’intervento Nato, in www.ilfattoquotidiano.it). Vorremo, al contrario, ribadire le ragioni di chi auspica la pace, citando – in conclusione – alcuni passi di una lettera di Sigmund Freud, inviata nel 1932 ad Albert Einstein: «Perché ci indigniamo contro la guerra, Lei e io e tanti altri, perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità della vita? […] La risposta è: perché ogni uomo ha diritto alla propria vita, perché la guerra annienta vite umane piene di promesse, pone i vari individui in condizioni che li disonorano, li costringe, contro la propria volontà, ad uccidere altri, distrugge preziosi valori materiali, prodotto del lavoro umano, ed altre cose ancora» (Freud-Einstein, Perché la guerra?, Bollati Boringhieri; vedi Mariella Arcudi, Riflessioni a due contro la guerra).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno XVII, n. 196, aprile 2022)