Il ricordo di un cantautore che ha contribuito a fare la storia della musica del secolo scorso. Un poeta innanzitutto, ispirato al sociale, alla politica e alla speranza
Il giorno di Capodanno 2003, nella sua villa a Montemagno di Camaiore (Lucca), Giorgio Gaberščik – in arte Giorgio Gaber – muore a 63 anni dopo una malattia, contornato dall’affetto della moglie Ombretta Colli e dalla figlia Dalia. A meno di un mese di distanza – il 24 gennaio – esce il suo testamento artistico Io non mi sento italiano; nel 2010 viene pubblicata, postuma, la sua autobiografia intitolata L’illogica utopia, illustrata «per parole e per immagini». A vent’anni esatti dalla sua dipartita ripercorriamo insieme le principali fasi dell’ascesa di uno dei cantautori-cantastorie italiani più famosi del Ventesimo secolo.
Nato a Milano il 25 gennaio 1939, nella sua adolescenza la chitarra riveste un ruolo terapeutico per il suo braccio sinistro, offeso da una paralisi dopo aver contratto la poliomielite. Diplomatosi ragioniere, Gaber si paga gli studi di Economia e Commercio all’Università Bocconi con i primi introiti delle serate musicali. Nel frattempo, prende parte come chitarrista al gruppo musicale Ghigo e gli arrabbiati, che esordisce al Festival Jazz del 1954. Due anni più tardi entra nei Rock Boys, il complesso di Adriano Celentano, nel quale Enzo Jannacci è pianista, e che si esibisce in televisione a Voci e volti della fortuna, la trasmissione abbinata alla Lotteria Italia. Conosce poi Luigi Tenco, con cui forma il suo primo gruppo musicale, i Rocky Mountains Old Times Stompers: oltre a lui, fra gli altri, ne fanno parte appunto Tenco e Jannacci. In quel periodo, complice anche la profonda amicizia con Tenco, il gruppo si esibisce al Santa Tecla di Milano, frequentato da Mogol. E proprio quest’ultimo gli fa conoscere Nanni Ricordi – titolare dell’omonima casa discografica –, che gli propone di incidere un disco. Gaber inizia così la propria carriera discografica, inizialmente ispirata agli chansonniers della Rive gauche parigina, in particolare a Jacques Brel.
Il suo primo successo arriva nel 1960 con il brano lento Non arrossire, che precede il più famoso La ballata del Cerutti. Seguono poi successi come Le strade di notte e Trani a gogò (1962); Le nostre serate (1964); Torpedo blu (1968); Il Riccardo (1969); Barbera e champagne (1970). Nello stesso decennio Gaber conduce svariati spettacoli televisivi e partecipa a quattro Festival di Sanremo con i titoli Benzina e cerini (1961), Così felice (1964), Mai, mai, mai Valentina (1966), E allora dai (1967). A Canzonissima, nel 1969, presenta invece l’innovativo brano Com’è bella la città. Contemporaneamente, al Piccolo Teatro di Milano allestisce il recital Il signor G: il primo di una lunga serie di musical teatrali nei quali Gaber alterna canzoni a monologhi sui temi sociopolitico, affettivo, della speranza e della sofferenza.
Assistendo ai suoi spettacoli musicali, il pubblico dell’artista apprezza senza dubbio la sua ironia, capace di far ridere, ma soprattutto risvegliare le coscienze civili. Fra i principali si ricordano: Far finta di essere sani (1972); Libertà obbligatoria (1976); Polli d’allevamento (1978); Il grigio (1989); E pensare che c’era il pensiero (1995) e Un’idiozia conquistata a fatica (1998). La carriera del cantautore milanese si interrompe improvvisamente a causa del suo decesso, il primo giorno del 2003, dopo aver pubblicato – nel 2001 – l’album La mia generazione ha perso, che include i conosciuti Destra-Sinistra e Quando sarò capace d’amare, ma anche brani inediti quali La razza in estinzione. Nello stesso anno partecipa in un paio di puntate alla trasmissione 125 milioni di caz…te di Celentano: insieme a questi, a Jannacci, Dario Fo e Antonio Albanese, partecipa alla scenetta nella quale si gioca a carte e si canta il celebre Ho visto un re. Nonostante la malattia che, nel frattempo, lo colpisce e che lo sta logorando, il suo entusiasmo per la musica non manca; tanto da fargli realizzare l’album Io non mi sento italiano, pubblicato postumo. Data la carriera costellata di successi – chitarrista, cantautore, attore, cabarettista, regista teatrale –, la sua dipartita lascia un grande vuoto nel panorama artistico italiano.
La Fondazione Giorgio Gaber – di cui è vicepresidente la figlia Dalia – prosegue l’attività svolta dall’omonima Associazione culturale nata subito dopo la morte dell’artista. Fra le varie attività svolte, nel 2004 crea il Festival teatro canzone Giorgio Gaber. Numerose anche le dediche postume, tra cui si ricordano: quella all’auditorium sotterraneo del Grattacielo Pirelli di Milano; l’intitolazione a suo nome di una piazza di Trieste e una di Arezzo da parte dei rispettivi Comuni; il francobollo commemorativo, emesso dal Ministero dello Sviluppo economico nel 2019 insieme a quelli in ricordo di Lucio Dalla e Pino Daniele; la ridenominazione in suo onore del Teatro lirico di Milano, a seguito della riapertura dopo vent’anni di ristrutturazione.
Emanuela Susmel
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 205, gennaio 2023)