Il 10 giugno 1924 il deputato socialista fu rapito e ucciso da cinque squadristi che lo punirono per la sua intransigenza contro il fascismo, impedendogli così anche di denunciare uno scandalo che avrebbe potuto travolgere il regime mussoliniano
Martedì 10 giugno 1924, verso le ore 16,30, l’onorevole Giacomo Matteotti (segretario del Partito socialista unitario) fu aggredito sul Lungotevere Arnaldo da Brescia di Roma da alcuni sicari della polizia segreta fascista, guidati da Amerigo Dumini. Gli squadristi lo costrinsero a entrare in una Lancia Lambda di colore nero, dove fu picchiato e poi ucciso con una o due coltellate, forse inferte da Albino Volpi. Il suo cadavere fu poi ritrovato il 16 agosto nel bosco della Quartarella, a circa 25 chilometri dalla Capitale (vedi Roberto Poggi, Il delitto Matteotti).
Il discorso parlamentare del 30 maggio 1924
L’omicidio fu subito collegato al Discorso di Matteotti alla Camera dei deputati del 30 maggio 1924, nel quale egli aveva chiesto l’annullamento delle elezioni politiche del 6 aprile precedente, denunciando le intimidazioni subite dai candidati antifascisti e i brogli perpetrati nei seggi. Il “Listone” fascista aveva vinto con il 64,9% dei consensi, ma il suo successo era stato reso ancora più ampio dalla legge elettorale Acerbo (1923), la quale aveva stabilito che «la lista di maggioranza relativa che fosse riuscita a raccogliere più del 25 per cento dei voti ottenesse i due terzi dei seggi» (Peppino Ortoleva – Marco Revelli, L’età contemporanea, Mondadori).
Il leader socialista, ripetutamente interrotto durante il suo intervento dagli insulti dei deputati della maggioranza, alla fine così si era rivolto ai compagni di partito: «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora, voi preparate il discorso funebre per me» (Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni, Introduzione di Giovanni De Luna, Einaudi).
Le altre ragioni dell’omicidio
Matteotti fu ucciso anche per altre ragioni, ormai acclarate dagli storici. Egli, infatti, stava per denunciare lo Scandalo dei petroli, concernente la Sinclair oil company, un’azienda statunitense che aveva pagato sottobanco «centocinquanta milioni di lire ad esponenti governativi per ottenere la concessione delle ricerche petrolifere in Emilia e in Sicilia» (Guido Gerosa – Gian Franco Venè, Il delitto Matteotti, Mondadori). Il denaro era forse finito anche nelle tasche del duce e di suo fratello Arnaldo, secondo quanto asserito dallo storico Mauro Canali nel saggio Il delitto Matteotti (il Mulino), nonché in una conferenza tenuta all’Università di Camerino (vedi Il delitto Matteotti – Venerdì Storia 17/03/2023).
Il leader socialista, inoltre, aveva denunciato in alcune sedute della Giunta del bilancio il falso rendiconto operato dal governo per conseguire fittiziamente il pareggio di bilancio (vedi La pista internazionale del delitto Matteotti; Francesco Colucci – Giulio Scarrone, Perché fu ucciso Matteotti?, Editore Colombo).
Le indagini sul delitto
Le indagini giudiziarie portarono all’incriminazione degli autori del delitto (Dumini, Augusto Malacria, Amleto Poveromo, Giuseppe Viola, Volpi) e dei complici (Filippo Panzeri, Aldo Putato, Otto Tierschald). L’inchiesta coinvolse come presunti mandanti anche alcuni ras fascisti (Emilio De Bono, Filippo Filippelli, Aldo Finzi, Giovanni Marinelli, Cesare Rossi).
Rossi, capo dell’Ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, dichiarò in un memoriale che «tutto quanto […] è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l’approvazione o per la complicità del Duce» (vedi Come funzionava il sistema che condusse alla soppressione dell’on. Matteotti, il Mondo, 28 dicembre 1924). Filippelli, direttore del Corriere Italiano, rincarò le accuse, scrivendo in un altro memoriale che «l’ordine per l’uccisione di Matteotti era stato dato personalmente da Mussolini» (Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo, Feltrinelli). Alla fine del processo, tuttavia, furono condannati per omicidio preterintenzionale soltanto Dumini, Poveromo e Volpi che, grazie a un’amnistia, scontarono pochi mesi di prigione.
Le conseguenze politiche del delitto
La morte del segretario del Psu portò comunque alle dimissioni di De Bono, capo della Milizia volontaria per la sicurezza dello stato e della polizia. Le opposizioni protestarono vibratamente e organizzarono la secessione dell’Aventino, decidendo «di astenersi dai lavori parlamentari fino a che il re non avesse riportato la legalità» (Alessandro Barbero – Chiara Frugoni – Carla Sclarandis, La Storia. Progettare il futuro. Il Novecento e l’età attuale, Zanichelli).
Il fascismo attraversò una breve crisi che venne però superata «soprattutto grazie all’appoggio che Vittorio Emanuele III continuò a dare a Mussolini» (Rosario Villari, Storia dell’Europa contemporanea, Laterza). Il 3 gennaio 1925 il duce tenne un famoso discorso alla Camera, nel quale si assunse «la responsabilità politica, morale, storica di quanto accaduto» [Duilio Susmel – Edoardo Susmel (a cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, La Fenice]. La successiva approvazione delle “leggi fascistissime” segnò l’avvento definitivo della dittatura mussoliniana (leggi A 100 anni dall’inizio di una dittatura).
Un uomo colto e risoluto
Giacomo Lauro Matteotti era nato nel 1885 a Fratta Polesine da un’agiata famiglia e nel 1904 s’era iscritto al Partito socialista italiano. Dopo la laurea in giurisprudenza (1907), si era dedicato all’attività giornalistica e – grazie anche alla conoscenza di francese, inglese e tedesco – aveva viaggiato per alcuni anni in Europa. Nel 1910 fu eletto nel Consiglio provinciale di Rovigo e divenne famoso durante il XIV Congresso del Psi (tenutosi ad Ancona nel 1914), allorché aderì ai “riformisti” guidati da Filippo Turati e si scontrò per la prima volta con Mussolini, allora esponente di spicco dei “massimalisti” (vedi Alfonso Maria Capriolo, Ancona 1914: sconfitto il riformismo italiano).
Matteotti diventò deputato nel 1919 e mise subito in luce due apprezzabili doti politiche: «La determinazione ad affrontare con energia le sfide poste ai socialisti dalla lotta di classe da un lato, dall’altro il rifiuto del radicalismo parolaio e dell’estremismo» (Massimo L. Salvadori, L’antifascista. Giacomo Matteotti, l’uomo del coraggio, cent’anni dopo (1924-2024). Con una scelta di scritti di Matteotti e una cronaca di Andrea Caffi sui dieci giorni dell’assassinio, Donzelli).
Un antifascista intransigente
Matteotti fu uno dei più intransigenti avversari del fascismo nel Polesine e subì un primo rapimento il 12 marzo 1921 a Castelguglielmo (Rovigo), nel corso del quale fu bastonato e minacciato di morte (vedi Tommaso Fiore, A 96 anni dall’eccidio di un antifascista). Nonostante le profonde divergenze con i comunisti e i “massimalisti”, egli tentò di scongiurare l’avvento della dittatura mussoliniana e, nel 1923, propose «l’alleanza di tutte le forze antifasciste e possibilmente la formazione di un governo che ne fosse l’espressione» (Massimo L. Salvadori, Ivi).
Però i contrasti esistenti all’interno dell’opposizione impedirono di realizzare il progetto unitario antifascista elaborato dal segretario del Psu. Vent’anni dopo, tuttavia, esso fu riproposto con successo da Palmiro Togliatti e gettò le basi sia della Resistenza (durante la quale furono attive le Brigate Matteotti costituite dal Partito socialista italiano di unità proletaria), sia dei successivi governi di unità nazionale.
Il ricordo indelebile di Matteotti
Il leader socialista è rimasto sempre presente nella memoria storica del Belpaese. Nel 1973 Florestano Vancini ne ricostruì il martirio nel film Il delitto Matteotti, mentre nel 1974 Jorio Vivarelli realizzò in suo ricordo un monumento bronzeo sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. La sua abitazione di Fratta Polesine divenne nel 2004 una Casa-museo e nel 2017 fu dichiarata monumento nazionale.
Una delle vie più belle di Reggio Calabria è intitolata a lui e una lapide lo commemora sul Lungomare Falcomatà. E proprio nella Città dei Bronzi una squadra di calcio dilettantistico – l’Aics Matteotti – ne ha per lungo tempo portato e onorato il nome. Ricordiamo, infine, che è attualmente in corso di svolgimento al Museo di Roma una mostra che ne ripercorre la vita «dagli esordi giovanili […] fino al brutale omicidio» (vedi Giacomo Matteotti. Vita e morte di un padre della democrazia).
Le immagini: le copertine dei libri Marcia su Roma e dintorni di Emilio Lussu e L’antifascista di Massimo L. Salvadori; foto di Giacomo Matteotti (senza copyright; fonte: https://it.wikipedia.org); lapide commemorativa sul Lungomare Falcomatà di Reggio Calabria (foto dello stesso autore del presente articolo).
Giuseppe Licandro
(Lucidamente 3000, anno XIX, n. 221, maggio 2024)