Nel saggio “No go zone” (Byoblu Edizioni) Edoardo Gagliardi indaga su un argomento quasi sempre trattato con tanti pregiudizi e poca informazione oggettiva
In via preliminare spieghiamo il titolo della pubblicazione che stiamo per recensire. Cos’è una no go zone? Al riguardo si usa spesso anche un altro termine, no-go area. Al di là del vocabolo anglofono scelto, si tratta di quei quartieri di città dell’Europa occidentale dove abitano per la stragrande maggioranza stranieri e non autoctoni. Nella qual cosa non ci sarebbe nulla di male. Se non che vi spadroneggiano a tal punto le criminalità organizzate e l’islam radicale, che in pratica tali zone non sono più sottoposte alle leggi dello Stato al quale appartengono, in quanto vi si sono completamente sottratte. E persino le forze dell’ordine non possono entrarvi. Una sorta di enclave etnica, insomma. I Paesi più interessati da tale preoccupante realtà, certo dovuta a una pessima gestione del fenomeno migratorio, sono Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Spagna e Svezia.
Immigrazionisti e anti immigrazionisti
Di questa e altre drammatiche questioni ignorate dall’informazione mainstream e dai fanatici dell’immigrazionismo, a scapito pure degli stessi onesti migranti, tratta il giornalista Edoardo Gagliardi nel suo No go zone. Quello che non vi dicono sull’immigrazione di massa (Byoblu Edizioni, Milano 2022, pp. 204, € 18,00; vedi anche l’intervista all’autore).
Duecento pagine che affrontano la tematica in modo realista e pragmatico, senza pregiudizi e ideologie preconcette, in un senso o nell’altro, delineando molteplici casi in vari Paesi e i diversi approcci scelti dalle autorità locali. Infatti nelle prime pagine Gagliardi esamina prima alcune posizioni anti immigrazioniste per scegliere infine una posizione realista.
Le critiche verso l’immigrazione di massa, al pari di quelle dell’“accogliamoli tutti”, contengono alcune argomentazioni valide da un certo punto di vista. Tuttavia, possono prestare facilmente il fianco all’accusa di essere “ideologiche”. C’è l’anti immigrazionismo religioso-spirituale, che teme l’islam come minaccia non solo alla cultura cristiana europea, ma alle istituzioni e alle società liberali. Timore, quest’ultimo, evidenziato, con sfumature diverse, pure dagli approcci civico-culturale, legalista, razzialista o etnicista.
Un po’ diverso è l’anti immigrazionismo anticapitalista, che vede nelle migrazioni di massa un disegno del capitalismo neoliberista globalista per sfruttare tutta la manodopera, abbassando i salari dei lavoratori dei Paesi di accoglienza grazie alla concorrenza prodotta da milioni di immigrati disposti a lavorare a un costo minore per le aziende.
Un sano realismo: gli italiani vogliono lavorare (se pagati decentemente)
Come già detto, Gagliardi preferisce un’analisi realista del fenomeno, partendo dalle leggi e sanatorie italiane fino alla “sanatoria Bellanova”. Provvedimento che, peraltro, se aveva anche lo scopo di far emergere il lavoro nero degli stranieri, si è rivelato un flop.
Più interessante, invece, il dato legato al lavoro agricolo degli italiani nel periodo Covid. Essendo le frontiere chiuse e gli spostamenti anche all’interno dell’Italia quasi impossibili, i datori di lavoro sono stati costretti ad assumere con un salario decente cittadini residenti nel Belpaese. Ebbene, in quei mesi i lavoratori “autoctoni” hanno coperto interamente l’offerta d’impiego, smontando il luogo comune secondo il quale “gli italiani non vogliono fare certi lavori”. Al contrario, scrive Gagliardi, «la realtà ha invece dimostrato che gli italiani sono più che pronti a lavorare, a patto che vengano degnamente retribuiti».
Nel capitolo successivo l’autore fornisce i numeri e le statistiche sul fenomeno migratorio in Italia (al 1° gennaio 2020 gli stranieri regolari erano l’8,4% della popolazione residente; a questi andrebbero aggiunti i clandestini e quelli, ormai con la cittadinanza italiana, ma di origine straniera).
In Italia la migrazione non è armoniosa (distribuzione sul territorio, sesso, matrimoni)
Ma, ovviamente, non si possono fornire numeri solo allo stato grezzo, ma occorre approfondirli e interpretarli. Innanzi tutto, i migranti non sono distribuiti in maniera regolare su tutto il territorio nazionale, peraltro già sovrappopolato. Per ovvie motivazioni di opportunità lavorative, l’82,9% vive al Centro-Nord.
Impressionante, poi, è la disparità dei sessi. Il saldo complessivo è molto sbilanciato per la prevalenza maschile. Da Africa e Asia meridionale è netta la preponderanza dei maschi giovani. Dall’Europa dell’Est, invece, arrivano più donne che uomini. Ciò si riflette nei matrimoni tra italiani e stranieri, per cui i maschi italiani sposano soprattutto donne dell’Est e le donne italiane gli africani. Tuttavia, «nel complesso, il numero di donne che sposano individui stranieri è inferiore a quello degli uomini che sposano donne straniere».
Soprattutto, se la tendenza alla prevalenza dell’arrivo di migranti stranieri maschi e giovani persisterà, si avrà in Italia una situazione anomala e pericolosa. Normalmente, in ogni territorio (fan storia a sé Cina e India, dove si preferisce la nascita di maschietti, ottenuta con una selezione biasimevole) prevale il numero di femmine su quello dei maschi, per un ovvio meccanismo di Madre Natura motivato dalla continuità della specie. Laddove vi sono poche donne per tanti uomini, si hanno un incremento delle violenze sessuali e comprensibili problemi psicologici che in tali casi colpiscono il maschio, quali ansia, frustrazione, depressione.
Nel complesso, quindi, al di là dei problemi di integrazione (o di vera e propria assimilazione) e di occupazione lavorativa, la migrazione in Italia, così com’è secondo i numeri reali, è disarmonica.
La complicità dei Paesi di provenienza
Un luogo comune è che i migranti scappano da Paesi in guerra, da miseria, da disastri ambientali. E che, quindi, per attenuare un flusso incontrollabile, occorre dialogare con gli Stati di origine e favorirne la ricchezza economica.
In realtà i Paesi di provenienza degli immigrati sono spesso cleptocrazie che «non solo fanno poco o nulla per evitare lo spostamento di masse umane ma, in molti casi, [lo] favoriscono» (vedi anche Immigrati da sfruttare). Nonostante molte chiese cristiane e gruppi umanitari cerchino di informare gli aspiranti migranti su quello che li aspetta (rischio di morire durante il viaggio, sfruttamento da parte dei mercanti di carne umana, respingimento, condizioni miserevoli nei Paesi di destinazione), gli Stati non diffondono nulla al riguardo, neanche un manifesto.
Perché accade questo? Banalmente, molte autorità dei luoghi di partenza e transito fruiscono di “pizzi” e taglieggiamenti ai danni dei malcapitati. Ma le motivazioni sono ben più profonde: liberarsi di disoccupati; espellere delinquenti; «riequilibrare il rapporto maschi-femmine»; fruire delle rimesse dall’estero da parte degli emigrati. Cade così un altro luogo comune immigrazionista, secondo il quale la fuoriuscita di tanti giovani uomini dai Paesi di origine comporterebbe un depauperamento delle loro risorse umane.
Gli escamotage dello ius soli e degli studi all’estero
E non solo le frontiere esterne all’Unione europea sono dei colabrodo e, una volta superatele, le persone possono muoversi liberamente nell’Area Schengen, ma esistono altri escamotage per essere ospitati e persino acquisire la nazionalità.
Anche in questo caso vi è un’ingenuità poco informata negli immigrazionisti che inneggiano allo ius soli. Tale istituto, per il quale una persona che nasce sul suolo di un Paese diviene automaticamente suo cittadino, è riconosciuto essenzialmente solo nelle Americhe. Il motivo è presto spiegato: nei secoli scorsi, in territori immensi e quasi disabitati, era ben accolta (peraltro, con varie limitazioni nei momenti di crisi economica) gente proveniente da ogni parte del mondo per “colonizzare” le vaste regioni, spesso ricche di risorse. Tale diritto è addirittura riconosciuto dal XIV emendamento della Costituzione degli Stati uniti.
Ma ciò ha causato il cosiddetto Birth Tourism (“Turismo delle nascite”). Oltre agli immigrati illegali, basta inventarsi un viaggio a scopo turistico o un controllo medico e il neonato diventa cittadino Usa o canadese o altro.
Un’altra trovata, diffusa ancora soprattutto nell’America settentrionale, è l’iscrizione fittizia a corsi universitari (e spesso anche i relativi atenei sono di dubbia fama): si ottengono così visti per finti studenti che possono liberamente soggiornare cercando un lavoro o altro.
C’è chi dice no: i casi Danimarca e Giappone
Gagliardi esamina pure singoli casi “didatticamente utili” di Paesi nei quali l’immigrazione ha avuto effetti sconvolgenti, oppure è stata regolarizzata o arginata.
Tra i primi sono citati la Svezia, che, oltre a contenere al proprio interno varie no go zones, come molti quartieri di Malmö, ha il primato di violenze sessuali (per l’80% commessi da immigrati) e un rapporto numerico uomo-donna che si è via via scombinato.
Interessanti, anche perché in parte collegati all’attuale conflitto russo-ucraino, sono gli stravolgimenti demografici in Polonia e Ucraina. A questi l’autore dedica un intero capitoletto, al quale rimandiamo, anche perché ricco di informazioni storiche che ci svelano come tra i due popoli siano quasi sempre intercorsi rapporti tutt’altro che amichevoli.
Tra i secondi è citata la Danimarca. In tale Paese persino i governi di sinistra hanno dovuto fare i conti con la realtà, adottando provvedimenti contro i ghetti etnici e le restrizioni verso gli immigrati, fino a richiedere pure campi di controllo dei richiedenti asilo fuori dai confini dell’Unione europea. Infatti, come si sa, una volta giunti in un territorio, il rimpatrio degli non aventi diritto non solo è costoso, ma è quasi impossibile. E questo vale per tutti i Paesi, europei e non.
Del resto, anche in questo caso a beneficio dei progressisti disinformati o dalla memoria corta, Gagliardi chiarisce che storicamente sono sempre state le sinistre di tutto il pianeta a voler porre un freno all’immigrazione sregolata e clandestina, e a voler dettare regole ai nuovi arrivati, proprio per evitare quei fenomeni di sfruttamento dei lavoratori, degrado sociale, crisi del welfare state, dei quali abbiamo già riferito.
Infine, il caso significativo del Giappone, in pratica totalmente chiuso ai migranti (meno di cento immigrati regolari accettati in un anno!), nonostante l’invecchiamento della popolazione. C’è da dire che la cultura giapponese ritiene sacri la propria componente etnica e il legame con gli avi. Il Paese del Sol Levante ha dimostrato che «si può crescere culturalmente anche rimanendo chiusi all’esterno, potenziando la propria ricchezza interna».
Considerazioni filosofiche conclusive e crisi della democrazia
Pretendere «che la società ospitante si adegui al migrante e alla sua cultura» o, viceversa, «che il migrante, in breve tempo, possa assimilarsi/integrarsi alla società in cui approda» non solo è utopistico, ma è pura violenza.
L’essere umano è un animale sociale che ha proprie radici e necessita di vivere in una comunità armoniosa socialmente e culturalmente nella quale si riconosce ed è riconosciuto. L’attuale forzato nomadismo voluto dalle élite sovranazionali che dominano il pianeta è un progetto di caos pianificato per immiserire economicamente, culturalmente e psicologicamente l’intera umanità.
Ma vi è un altro sottile argomento, da pochi evidenziato, col quale Gagliardi conclude la propria trattazione. Oggi si parla tanto di crisi della democrazia democratico-liberale, della quale sintomi evidenti sono la scarsa affluenza al voto nel corso delle elezioni e il disinteresse per la partecipazione civile e politica in generale. Ebbene, pochi citano tra le cause la crisi dello Stato-nazione, che è stato l’entità sociopolitica che ha istituito il sistema democratico, con società omogenee nei quali costumi ed etica pubblica e privata si sovrapponevano interamente.
Le migrazioni disordinate, insieme all’ideologia del pensiero unico woke e politically correct, sono tra i grimaldelli usati dal Potere globale per disarticolare anche i sistemi democratici e quindi sottomettere i popoli. Nonché annullare ogni splendida e fertile differenza e diversità tra etnie, popoli, culture, persone.
Le immagini: a uso gratuito da Pexels (autori: David Peinado e Ahmed akacha).
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 221, maggio 2024)