Il confronto tra la prima e i secondi fa emergere diverse e contrapposte concezioni in ambito di democrazia, diritti sociali, visioni di stato, lavoro, economia
In un nostro articolo (Gli inganni dell’Unione europea), uscito su LucidaMente 3000 lo scorso settembre, avevamo accennato alle diversità tra i contenuti e i valori che permeano la Costituzione italiana (1948) e i Trattati europei di Maastricht (Trattato sull’Unione europea, Tue, firmato nel 1992 ed entrato in vigore nel 1993) e di Lisbona (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, Tfue, firmato nel 2008 ed entrato in vigore nel 2009). Ponevamo già almeno due questioni: la chiarezza e la divulgazione. Scrivevamo che, mentre la prima «è chiara, comprensibile ed è sempre stata pubblicizzata e insegnata nelle scuole quanto più possibile, invece i trattati europei sono stati introdotti di soppiatto, senza parlarne, approfittando della comprensibile distrazione dei cittadini».
Aggiungevamo che pochi conoscono o hanno letto i trattati, «e chi ci ha provato ha trovato molteplici difficoltà per il linguaggio fumoso proprio da neolingua tecnocratica». Chi non è chiaro e «fa le cose di nascosto, lo fa per occultare-celare-coprire: non ha certo la coscienza a posto». In via preliminare si può anche aggiungere che, se la nostra Costituzione è stata elaborata da un’Assemblea costituente liberamente eletta dal popolo il 2 giugno 1946 e, quindi, promulgata in suo nome e per sua volontà, i trattati sono stati stesi da individui non eletti direttamente e non incaricati dai cittadini di alcuno stato europeo. Le opposizioni da parte dei cittadini danesi e francesi interpellati con dei referendum (1992) dimostrarono subito le perplessità e l’impopolarità del Trattato di Maastricht. Tuttavia, non se ne tenne conto e i vari stati ratificarono l’intesa senza consultazioni popolari. A parte tale chiaro indizio di autoritarismo oligarchico ed elitario e di antidemocraticità, in questo nostro nuovo contributo intendiamo approfondire il discorso ed essere più espliciti attraverso riferimenti che dimostrino in modo incontrovertibile la differente ispirazione che caratterizza Costituzione italiana e trattati fondativi dell’Unione europea.
C’è peraltro da ricordare che nel 2003 (quindi dopo Maastricht) una Convenzione europea istituita ad hoc redasse una Costituzione per l’Europa, ma il relativo testo fu ratificato da soli 18 paesi (tra cui l’Italia) su un numero totale di 27 Stati membri. Infine, il progetto fu definitivamente abbandonato nel 2007, dopo la vittoria dei no nei referendum in Francia e nei Paesi Bassi (maggio-giugno 2005). E purtuttavia, a dimostrazione di quanto conti per i tecnocrati europei la volontà popolare e delle singole nazioni, diverse istanze di quella Costituzione continentale sono state poi incluse nel successivo Trattato di Lisbona. Ma già quel documento e, come vedremo, ancor di più i Trattati, appariva tutt’altro che una carta costituzionale: un’infinità di articoli, con richiami incomprensibili, il primato dato all’economia e ai rapporti economici, un linguaggio tecnocratico. Nessuna similitudine con la Costituzione italiana.
Evitiamo di trascrivere i primi quattro articoli della nostra Costituzione in quanto, come detto, essendo appunto essa pubblicizzata, diffusa e studiata a scuola, sono abbastanza noti. In sintesi, essi proclamano la democrazia e la sovranità popolare nonché il valore del lavoro (art. 1) e dei lavoratori rispetto al capitale e alla speculazione finanziaria; esigono dai cittadini i «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2) di fronte all’egoismo e al profitto fini a se stessi; promuovono la libertà e l’uguaglianza dei cittadini attraverso la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale» (art. 3) di contro alla disuguaglianza e alla divisione in classi socioeconomiche disomogenee; garantiscono il diritto al lavoro e gli stessi lavoratori e richiamano al dovere per ogni cittadino di esercitare un’attività «che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4), valorizzando la produzione del benessere collettivo che scaturisce dalla fatica e dall’impegno personali, rispetto al capitalismo, alla speculazione finanziaria e allo sfruttamento. Chiaro, no? Nei trattati europei, al di là di alcune fumose, retoriche, astratte e generali (quindi inapplicabili) affermazioni di principio, prevalgono l’ermetismo e i fini economico-finanziari-capitalistici. Nel Trattato di Maastricht (Tue), all’articolo 3, comma 3, si parla di uno sviluppo economico basato «sulla stabilità dei prezzi e su una economia sociale di mercato fortemente competitiva».
Ora, come conciliare un’«economia sociale» con il blocco dell’inflazione e con il concetto neoliberistico di un mercato competitivo e che, quindi, tende a risparmiare su salari e a fondarsi sul profitto? Il Tfue (Lisbona) è costituito da un preambolo e da 358 articoli, divisi in sette parti, composti a loro volta da titoli, capitoli e paragrafi. Fate il confronto con la nostra Costituzione, elaborata in poco più di un anno (1946-1947): solo 139, chiari articoli, divisi in sole due parti principali. A causa della loro complicata e quasi ventennale elaborazione, i trattati europei contengono al loro interno articoli con un numero vecchio e un numero nuovo e molteplici rimandi. Ma, oltre la mole elefantiaca e la macchinosità, le carte europee colpiscono per il loro tecnicismo, al limite dell’incomprensibilità, dell’ambiguità, dell’astruseria, dell’oscurità che sembra costruita ad arte. Tanto per produrre qualche esemplificazione, vi proponiamo alcune “perle”. Si legga l’articolo 2 (ex articolo B) della versione consolidata del Trattato sull’Unione europea (Maastricht):
mantenere integralmente l’«acquis» comunitario e svilupparlo al fine di valutare, attraverso la procedura prevista all’articolo N, paragrafo 2, in quale misura si renda necessario rivedere le politiche e le forme di cooperazione instaurate dal presente trattato allo scopo di garantire l’efficacia dei meccanismi e delle istituzioni comunitarie.
Chiarissimo, no? In un’intervista rilasciata a Fabio Dragoni (LaVerità, 10 ottobre 2021, p. 13), Alessandro Mangia, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano, ha affermato: «Il diritto dell’Unione è bizantino. Stato di diritto vuole dire prima di tutto chiarezza e conoscibilità delle norme. Il diritto Ue invece è puro esoterismo giuridico». Ma quello che conta è la finanza, l’economia, come si vede dall’articolo 104 C, commi 1, 2 e 3:
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- Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi.
- La Commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti:
a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che
– il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento;
– oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento;
b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.
I valori di riferimento sono specificati nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato al presente trattato. - Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione. La relazione della Commissione tiene conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro.
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Si giunge così al nodo scorsoio: i famosi parametri di convergenza. E qualunque forma di solidarietà stato-stato o stati-enti minori è proibita dall’articolo 125 del Tfue, Lisbona, ex articolo 103 del Tce, Trattato della Comunità europea:
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- L’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico. Gli Stati membri non sono responsabili né subentrano agli impegni dell’amministrazione statale, degli enti regionali, locali o degli altri enti pubblici, di altri organismi di diritto pubblico o di imprese pubbliche di un altro Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto specifico.
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Ancora più esplicito sui veri fini tutt’altro che solidaristici e sociali nella “nuova Europa” è l’articolo 127 del Tfue (ex articolo 105 del Tce):
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- L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato «SEBC», è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.
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Ecco la funzione delle banche centrali e la sottomissione assoluta ed esplicitata al «principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». Viene messa in cantina non solo qualsiasi remota ipotesi di Stato socialista, ma persino di Stato sociale. Il tutto in piena armonia col documento di 16 pagine datato 28 maggio 2013 della più importante banca statunitense JP Morgan (leggi Ricetta Jp Morgan per Europa integrata: liberarsi delle costituzioni antifasciste). E dello stesso avviso sono i maggiorenti nel neoliberismo e del capitalismo finanziario oggi rampante.
Perfino riguardo la guerra, il Tue non sembra ripudiarla come fa quasi in assoluto l’articolo 11 della nostra Costituzione. Infatti, come abbiamo scritto lo scorso mese in La pace nel nostro continente è dovuta alle istituzioni europee. Falso, «all’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea, si legge che l’Ue può avvalersi di mezzi militari “in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri”. Si tratta, in pratica, delle famose “missioni di pace” e di “esportazione della democrazia” a guida statunitense, che hanno massacrato le popolazioni del Medio Oriente, dei Balcani e non solo». In conclusione e in sintesi, la Costituzione italiana, come la maggior parte delle leggi fondamentali delle nazioni e dei popoli europei, si fonda su princìpi altissimi quali lavoro, solidarietà, uguaglianza, prevalenza della persona sull’economia; i trattati europei, al contrario, si basano su liberismo, capitalismo, concorrenza, profitto, disparità, elitarismo. Si potrebbe addirittura parlare di assoluta Incompatibilità tra Costituzione italiana e trattati dell’Unione europea (Giuseppe Palma), essendo questi ultimi documenti costruiti su misura delle élite finanziarie e tecnocratiche…
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 192, dicembre 2021)