Intervento dell’Associazione Libera Uscita sulla mancata applicazione e pubblicizzazione della legge 219/2017
Ancora una volta in Italia una persona è costretta a subire trattamenti sanitari che, in coscienza, non avrebbe voluto fossero applicati sul proprio corpo. Sulla situazione che oggi stanno affrontando Samantha D’Incà e la sua famiglia (leggi qui), interviene Libera Uscita–Associazione laica e apartitica per il diritto a morire con dignità. Di seguito il suo comunicato.
Davanti alla dolorosa vicenda di Samantha D’Incà, la giovane donna di trent’anni che dopo un banale incidente si trova da sei mesi in uno stato vegetativo che mai e poi mai avrebbe accettato di subire, ci troviamo tristemente a dover ripetere: le leggi non basta averle, occorre farle vivere, occorre farle conoscere e applicarle. La famiglia è ricorsa al giudice tutelare per ottenere ciò che Samantha avrebbe voluto: il distacco da quell’alimentazione artificiale che ormai da sei mesi la tiene in vita contro la sua volontà.
Tuttavia, il magistrato ha ritenuto di non autorizzare questa richiesta sostenendo che possano esserci possibilità di recupero, anche se i medici hanno dichiarato che il recupero massimo possibile è quello della coscienza di un bambino di quattro mesi. Ma com’è arrivata Samantha in queste condizioni? Era caduta, si era fratturata una gamba ed era stata operata. Certo, prima dell’intervento avrà firmato un consenso informato sulle possibili conseguenze dello stesso, ma perché non è stato inserito fra le possibili conseguenze anche il disgraziato, benché rarissimo caso, dell’esito in un coma vigile? Sì, lo sappiamo, Samantha è uscita senza problemi dall’intervento, l’ipossia che l’ha portata allo stato vegetativo è intervenuta successivamente per una polmonite, ma, se quell’eventualità di possibile stato vegetativo fosse stata inserita di routine, come dovrebbe essere sulla base dell’art. 5 della legge 219/2017, ora si conoscerebbe la sua volontà senza doverla ricostruire a posteriori, come fu per Eluana Englaro.
Alla famiglia non resta dunque, come un tempo, quando ancora eravamo privi di una legge ordinaria che desse cogenza all’art. 32 della Costituzione, che ricorrere per le vie legali, impugnare il decreto del giudice tutelare, appellarsi per avere Giustizia. La nostra associazione, che da vent’anni è impegnata sul fronte del rispetto delle volontà della persona nel fine vita, denuncia la scarsa informazione data alla legge 219/2017 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Non la conoscono i medici, non la conoscono i cittadini. Osiamo auspicare che questo tragico caso possa, se avrà la dovuta visibilità, indurre molte e molti a correre a depositare le proprie DAT presso gli Uffici d’Anagrafe dei rispettivi Comuni, così come accadde negli Usa al tempo della straziante vicenda di Terri Schiavo.
Modena, 30 maggio 2021
Maria Laura Cattinari – presidente
Filippo D’Ambrogi – vicepresidente
Léon Octave Bertrand – segretario
Edoardo Anziano
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 185, maggio 2021)