Il tempo, terreno fertile sul quale sono depositati i semi della storia. Selva di piante cresciute alla sua luce, alcune fiorite, altre no. Tutte poi inesorabilmente cadute. Molte dimenticate.
Il tempo, un magazzino pieno di involucri impalpabili entro i quali sono custodite le parole e le gesta degli uomini che furono, avvolte, protette e separate tra loro da morbidi e ovattati strati isolanti formati dai giorni, dagli anni e dai secoli trascorsi.
Sorgente di acque profonde – Il tempo forse non ha né inizio né fine, almeno dal punto di vista strettamente fisico. Ha però certamente “un fine”: quello di fungere da supporto su cui adagiare i nostri pensieri, lasciando che questo invisibile nastro trasportatore li porti lontano. Sempre più indietro e lontani, quelli da cui si vuole fuggire. Sempre davanti, ma altrettanto distanti, quelli che si vorrebbe inseguire, raggiungere e stringere in pugno per sentire che, no, il tempo per noi non è trascorso invano. Parlando di tempo, gli aggettivi micro e macro hanno un senso, assumono un significato preciso solo se si considera anche qual è il punto di osservazione, e a quale distanza ci si trova dall’evento, dall’episodio, dalla frazione di tempo nella quale è immerso ciò che ha catturato la nostra attenzione.
Sulle sponde a guardare – Il tempo è terreno di sfida tra eserciti di scienziati e filosofi. I primi pronti a suddividere, sezionare e analizzare ogni aspetto. I secondi perennemente schierati a difesa delle loro posizioni di intellettuali e sognatori. Entrambi pronti a scomodare Dio per sostenere e supportare le proprie tesi, per poi rinnegarlo non appena queste vengono accettate. “La storia comincia esattamente laddove finisce il tempo naturale, il tempo ciclico del ritorno degli eventi cosmici e naturali” (Piero Bevilacqua, Sull’utilità della storia per l’avvenire delle nostre scuole, Donzelli). Il tempo terreno, scandito ad ogni istante ed asservito, ai giorni nostri, al rito pagano della sua misurazione: vita e morte comprese. Il tempo ultraterreno, quello del divino e del soprannaturale, immerso in un limbo nel quale si perdono i concetti di quantità, di “prima” e di “dopo”, e restano solo pensieri e concetti assoluti rivolti all’eterno, per l’eternità.
La foce – Chi è in grado, allora, di dire cos’è realmente il tempo? Un filo di seta segnato con i nodi della memoria. Milioni di porte ancora da aprire dietro le quali si celano altrettante vite diverse da sperimentare. Oppure, se visto con il cuore di ragazzo che batte nel petto di un vecchio che si guarda allo specchio, il tempo può essere semplicemente un’opinione fin troppo diffusa.
Davide Piazzi
(LucidaMente, anno I, n. 9, settembre 2006)