Un agile libro edito da Byoblu, diviso in due parti uguali, mette a confronto due opposte posizioni sull’annoso conflitto: quelle del ricercatore Lorenzo Bernasconi e del giornalista Fulvio Grimaldi
Reminiscenze scolastiche ci fanno ritenere che il conflitto più lungo sia stato la Guerra dei Cent’anni (1337-1453) tra Francia e Inghilterra. In Rete, invece, il poco invidiabile record viene attribuito alla Guerra degli ottant’anni (1568-1648), con la ribellione dei futuri Paesi Bassi contro il dominio del Regno di Spagna, oppure alla Guerra di Arauco (1536-?) tra gli indigeni Mapuche dell’attuale Cile e i colonizzatori spagnoli. In realtà belligeranze così prolungate comprendono pure molti periodi di pausa.
Un conflitto interminabile
Anche le ostilità Israele/Palestina rientrano tra quelle lunghissime, con molte interruzioni, ma senza mai arrivare a una vera pace. Quando sono iniziate? Nel 1948, con la nascita dello Stato di Israele, o già a fine Ottocento, con l’arrivo sempre più massiccio di migranti ebrei nel territorio palestinese? Inoltre, date le sue peculiarità, peraltro continuamente mutate nel corso del tempo, si potrebbe pure definire come guerra asimmetrica o guerra ibrida.
Soprattutto, anche alla luce degli attuali, tragici, avvenimenti, a chi dare la ragione, almeno sul piano del diritto internazionale? Compito difficilissimo. Tant’è vero che le Byoblu Edizioni, cioè la casa editrice dell’unica tv italiana «dei cittadini», ha pensato bene di giustapporre due posizioni diverse, opposte, anzi inconciliabili, in un unico, agilissimo, libro, concedendo a ciascuno dei contendenti lo stesso numero di pagine (circa 50 l’uno) per esporre e argomentare le proprie convinzioni.
La pubblicazione in questione s’intitola L’altra campana. Israele o Palestina (pp. 120, € 10,00). E i due autori schierati su posizioni nettamente opposte sono Lorenzo Bernasconi, ricercatore del Centro Studi politici e strategici Machiavelli, e il noto, esperto giornalista, nonché testimone diretto in vari scenari bellici, tra i quali pure quello palestinese, Fulvio Grimaldi.
Le ragioni di Israele
All’inizio del proprio contributo, Bernasconi si attribuisce anche il difficile quanto prezioso compito di cercare di offrire un sintetico ed efficace quadro storico del conflitto e del suo contesto, al quale rimandiamo il lettore. Si potrebbe dire che parta ab ovo; se non dalla Bibbia, dall’occupazione dell’Impero romano e dalle ribellioni giudaiche a tale dominio. Fino ad arrivare al XX secolo, con la Dichiarazione Balfour del 1917 e agli innumerevoli scontri, massacri e guerre fino ai giorni nostri.
Bernasconi analizza con cura gli aspetti geopolitici, demografici e militari del conflitto e ritiene che Israele non possa oggi, come non ha potuto nel passato, scegliere opzioni diverse da quelle adottate. Ne valuta positivamente lo status di unica democrazia multietnica e multiconfessionale della regione, contesta le accuse di razzismo e di discriminazione. Inoltre, confuta la tesi che gli atti di Hamas, tra i quali i massacri dello scorso 7 ottobre, possano ritenersi legittima resistenza militare contro l’occupante, bensì considera che vadano inquadrati in barbari atti di terrorismo.
Le ragioni palestinesi
Se le pagine di Bernasconi assumono più un tono saggistico-argomentativo, quelle di Grimaldi ne hanno uno ben diverso. Sono narrative, personali, nervose, emotive. Appunto come il sanguigno giornalista, dalle nette, acri, rudi matrici di una sinistra di altri tempi. Se le argomentazioni del primo sono razionali, quelle del secondo sono emotive.
Grimaldi rievoca i propri ricordi ed esperienze sul campo nei vari conflitti, tra i quali la lotta di liberazione dell’Eritrea, l’Ulster e, appunto, Palestina e Medio Oriente. Sono pagine intrise degli orrori e dei crimini di guerra con la loro spietatezza, e a volte vero e proprio sadismo (e l’autore denuncia pure l’uso da parte dell’esercito israeliano di «armi proibite dalle convenzioni»). Ricorda il decadimento, accompagnato dalla corruzione, delle più antiche organizzazioni palestinesi, quali l’Olp, che, in alternativa, hanno reso Hamas l’unico rappresentante del popolo palestinese.
Ritiene che molti dubbi restino sul reale andamento degli avvenimenti del 7 ottobre (un altro 11 settembre?) e che il fatto che davanti alla coste di Gaza vi sia il «più grande giacimento di gas del Mediterraneo orientale» dia adito a molti sospetti.
Conclusioni impossibili
Per Grimaldi, insomma, il termine genocidio è l’unico adatto, e non da oggi, per definire le azioni e le politiche israeliane. Ed è convinto che il tutto rientri nelle logiche dell’imperialismo globale capitalista statunitense (Programme for a New American Century, Pnac), come la guerra in Ucraina; e, prima ancora, gli attacchi a Iraq, Jugoslavia-Serbia, Libia, Siria, ecc.).
Purtroppo, giunti alla fine della lettura de L’altra campana, le nostre considerazioni conclusive sono sconfortanti. Come è arduo dividere il mondo in bianco e nero, in buoni e cattivi, così è difficile stare totalmente dalla parte di Israele o dei palestinesi. Il lettore senza pregiudizi non saprà a chi dare ragione. E quello già convinto, magari per partito preso, resterà della sua opinione. Possiamo però dire che si deve stare dalla parte dei civili massacrati?
Le immagini: la copertina del libro di Bernasconi e Grimaldi e a uso gratuito da Pexles (autore Hurrah suhail).
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 219, marzo 2024)
Dott. Tripodi; Interessante l’ultimo sottotitolo dell’articolo: “Conclusioni impossibili”.
Interessante e reale e io aggiungerei non solo per Israele e Palestina, ma anche per Russia e Ucraina e TUTTI gli altri conflitti passati, presenti e forse purtroppo anche futuri.
Conclusioni impossibili poiché non si potrà mai sapere la verità su qualsiasi guerra. Una frase molto citata è appunto: “la prima vittima di tutte le guerre è proprio la verità”
E quest’ultima guerra tra Israele e Palestina non fa eccezione. Spesso la popolazione non è favorevole a una guerra. Su quale base, dunque, i governanti possono persuadere il popolo ad appoggiare i loro obiettivi? Questo fu il problema che si presentò agli Stati Uniti riguardo al Vietnam. Ecco secondo L’ex ambasciatore americano John K. Galbraith, nel suo libro intitolato Anatomia del potere (Mondadori, 1984, trad. dall’inglese di Aldo Giobbio), cosa fece allora l‘élite al potere: “La guerra del Vietnam provocò negli Stati Uniti uno degli sforzi di condizionamento sociale [condizionamento dell‘opinione pubblica] più globali dei tempi moderni. Nulla venne risparmiato nel tentativo di far sembrare la guerra necessaria e accettabile al pubblico americano. (P. 195)”. Viene poi additato lo strumento più pratico per far accettare la guerra a una nazione. Sempre Galbraith ci dice quale è: ”In tutti i paesi la scuola inculca i principi del patriottismo. . . Il condizionamento a far tutti quadrato intorno alla bandiera è, in particolare, importante per ottenere la subordinazione alla politica estera e militare”. (Pp. 41, 42) Questo condizionamento sistematico avviene in ogni parte del globo, sotto qualsiasi bandiera e popolo. Charles Yost, che ha fatto parte del Corpo Diplomatico e del Dipartimento di Stato americano una volta accennò ad un “sacro egoismo”. Questo “sacro egoismo” si riassume nel divisivo nazionalismo e nell’ insegnamento secondo cui una qualsiasi nazione è superiore a tutte le altre. Nel libro Power and Immortality (Potere e immortalità), il dott. Lopez-Reyes ha scritto: “La sovranità è una delle principali cause delle guerre contemporanee; . . . se non si cambia qualcosa, il sistema degli stati sovrani scatenerà la terza guerra mondiale”. Dando importanza al nazionalismo e alla sovranità si nega il concetto fondamentale secondo cui apparteniamo tutti alla stessa famiglia umana, indipendentemente da differenze linguistiche o culturali. Questa negazione porta alle guerre. Con queste premesse come si può pretendere la verità sule varie posizioni? E’ da queste contrastanti posizioni che nascono espressioni come:” Si sta combattendo una guerra giusta”, ma qualcuno ha mai ammesso di aver iniziato una guerra sbagliata? “Stanno combattendo una sporca guerra”, ne esistono di pulite? “Abbiamo abbattuto l‘impero del male”, quindi il male è scomparso?
Si parla poi di “crimini di guerra” commessi contro i civili di questo o quel contendente che si accusano a vicenda. Ma quale guerra risparmia i civili? Basta andare su Internet, digitare “civili morti in guerra o nelle guerre” e si vedono i numeri che sono impressionanti. Inoltre quali crimini di guerra; ma la guerra stessa non è un crimine?
Quindi: Conclusioni impossibili? Non se ne esce? Beh! Questo sarebbe un altro discorso.