Sempre meno rivendite di giornali. Non si tratta solo del tracollo di un importante settore economico, ma del segno di un imbarbarimento civile
Anni Sessanta/Settanta. Avevano allora (e hanno ancora adesso, forse meno) un alone magico, le edicole. Sia che fossero collocate sui marciapiedi, lungo le strade o i viali, sia che, in tempi più moderni, si trovassero in locali al chiuso. E, per i ragazzini (come lo ero io) di quei decenni, erano un luogo di desideri infiniti. Eravamo divoratori di fumetti. Titoli come Blek, Miki, Il Corriere dei Piccoli, Il Monello, intrepido, Zagor, ecc. ecc. poco diranno ai giovani d’oggi. Per non dire dei fotoromanzi (molto amati dalle lettrici)… Era il mondo dell’avventura e della fantasia… Forse i nati negli ultimi trent’anni hanno sentito nominare solo Tex e poco altro.
Poiché i soldi nelle famiglie dell’epoca non erano tanti, era concesso l’acquisto di solo un paio di fumetti la settimana. Allora, si leggeva pochissimo? No, perché i giornalini venivano scambiati tra fratelli, cugini, compagni di classe, ecc., per cui alla fine ciascuno poteva disporre di parecchie decine di fumetti al mese. Vicende che erano rigorosamente a puntate, per cui si proseguiva quasi all’infinito trepidando nell’attesa di sapere come sarebbe andata a finire. Del resto, anche gli sceneggiati televisivi si dipanavano a puntate. Oggi nulla lo è. Perché? Perché non si ha più la pazienza, la tranquillità, il piacere di avere i tempi giusti per ogni cosa. La prevalenza della frenesia, della fretta, del consumare “tutto e subito”, ha rovinato ogni gusto nel godere della vita, dei suoi spazi, tempi, silenzi. E pensate che tutti i docenti e molte famiglie proibivano la lettura dei fumetti perché “scritti male” o, addirittura, in quanto “immorali”. Si dovevano leggere solo romanzi “classici”.
Oggi sarebbero piuttosto da premiare gli studenti che leggessero almeno qualche fumetto. Gli odierni ragazzi non leggono nulla. Neppure i quotidiani sportivi. E i risultati sono evidenti: da come parlano e, soprattutto, da come scrivono. Forse occorrerebbe un saggio che analizzasse quanto sia stata importante non solo la Rai, ma anche i fumetti, le riviste popolari, i quotidiani sportivi, nel far conoscere/imparare la lingua italiana a una popolazione che era ancora in parte analfabeta. Poi venne il tempo che a quotidiani, riviste, fumetti e figurine, si aggiunsero dischi, gadget, bambolotti ecc. ecc. E – importante – libri di ogni tipo, dai romanzi gialli a quelli rosa, dagli evergreen alle monografie d’arte. L’edicola divenne così una sorta di libreria. Un luogo aggiuntivo di cultura. Ma per gli adulti l’edicola era essenzialmente il tempio di un rito quotidiano: l’acquisto del giornale. Che costituiva anche l’esibito marchio politico-ideologico di ciascuno.
Così, spesso, l’edicola e i suoi dintorni diventavano luogo di dibattito politico-culturale. Il più delle volte, civile, civilissimo, tra rossi, bianchi, neri. Aria di libertà, e non di enigmatico lockdown… Fino a qualche anno fa, nel rione dove vivo attualmente, nel giro di meno di un chilometro, c’erano cinque edicole, due delle quali vicine a mercatini alimentari. Ne è rimasta aperta una sola, quasi sempre deserta, sulla strada principale (vedi Quotidiani, la pirateria passa da Telegram). È fuorviante giustificare/spiegare la progressiva, spaventosa scomparsa dei punti vendita con l’avvento della Rete. Non è che le persone leggano meno giornali, riviste, libri cartacei, e leggano parimenti attraverso lo strumento telematico. No. La gente non legge più quasi per niente. Non si tratta della crisi di un settore, della perdita di migliaia di posti di lavoro, di un mestiere nobilissimo e amato. Si tratta di una crisi di civiltà. E vigliacca è quell’intellighenzia che, prona ai nuovi poteri, finge che nulla sia cambiato, nulla di irreversibile stia avvenendo.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 184, aprile 2021)
Quando ero bambino (siamo nei primi anni ’50) un giorno trovai per strada un vecchi libro mancante anche di diverse pagine, tutto sporco e bagnato. Lo raccolsi con trepidazione e ne scorsi le pagine: era una raccolta di fiabe dei fratelli Grimm. Lo portai a casa come un oggetto prezioso, lo asciugai, ripulii e poi lo lessi con grande avidità. Da allora amai la lettura come e cominciai a comprare i libri. Erano i tempi in cui uscivano gli Oscar Mondadori (che costavano 350 o 400 lire), i capolavori Sansoni (anch’essi di costo abbordabile). Ho letto allora grandi classici come De Foe, Verne, Salgari, Tolstoi, Dostoievski, Twain, e tanti altri. Ancora leggo tanto. Per invecchiare bene occorrono principalmente 2 cose: camminare a piedi e leggere. La prima cosa tiene in salute il corpo, la seconda la mente. Non per niente i latini dicevano “mens sana in corpore sano”…
Commento bello, rievocazione commovente. Grazie.
Anche io ho cominciato molto presto a comprare i libri. Da bambina me ne regalavano, e qualcuno l’ho ereditato dalla mia mamma e dal suo papà, lettori appassionati e bibliofili: purtroppo tempo, sventure e furti mi hanno privato di quella ricchezza che frequentavo da bambina. Poi, andando alle medie, nella Roma semiperiferica, passavo a piedi, dato che la scuola era vicina a casa, davanti alla libreria scolastica, che anticamente esisteva come cartoleria e fornitore dei testi scolastici. E già dalla prima media mi sono incantata davanti alla vetrina coi primi Oscar Mondadori: scrittori dai nomi difficili (John Steinbeck, Ernest Hemingway, John Dos Passos, ecc.) e bellissime copertine colorate con figure e panorami, il tutto in formato tascabile e con prezzi leggerissimi. Così ho cominciato a investire in libri la mia modesta paghetta settimanale: libri di svago, perché quelli scolastici li pagavano i genitori. E così a 12/13 anni conoscevo già bene i vari premi Nobel per la Letteratura e i film che venivano tratti da quei libri (un titolo per tutti: “La valle dell’Eden”!). Sicché i personaggi letterari spesso prendevano l’aspetto degli attori di cinema. La passione per libri e cinema non mi ha più abbandonata… Un’ultima nota: ancora oggi, in uno scaffale un po’ defilato, ci sono quei libri in originale! Consunti (li ho letti più volte!), un po’ scoloriti, sottolineati, e quasi sempre col mio giudizio finale scritto sull’ultima pagina, a matita, come le sottolineature, perché i libri sono sacri e non ci si scrive con la penna…
Splendide parole. Grazie.