Questioni come le conseguenze della pandemia sulla mancanza di relazionalità e sulla qualità della formazione risultano quasi assenti nel dibattito pubblico. Ma è da qui che passa il futuro dell’istruzione
Da quando è scoppiata l’epidemia di coronavirus, il sistema di istruzione ha dovuto reinventarsi completamente, con l’acronimo “dad”, “didattica a distanza”, che è entrato nel linguaggio quotidiano degli studenti di tutto il mondo. In Italia, passata (almeno per ora) la fase di lockdown totale, la scuola si è trovata di fronte al problema di conciliare il rispetto dei nuovi protocolli anti-Covid con l’esigenza di far tornare gli studenti alle lezioni in presenza (vedi anche: Rientro a scuola: siamo davvero pronti? di Isabella Parutto).
Il dibattito politico e mediatico delle ultime settimane si è polarizzato intorno a questioni strettamente logistiche. Particolarmente discusso e controverso è stato il nodo dei trasporti, vitali per gli spostamenti degli studenti. Tutto concentrato sull’imperativo di non ridurre la capienza massima dei mezzi, il discorso pubblico ha innanzitutto dimostrato l’assoluta secondarietà dei temi dell’educazione rispetto a un (apparentemente) ineludibile diktat economicista: didattica a distanza dal 75% al 100% pur di non impattare sul trasporto pubblico locale. In secondo luogo, gli scontri sulle percentuali ‒ tanto della “dad” quanto della capienza di bus e tram ‒, hanno messo a nudo il disinteresse per interrogativi cruciali: che impatto, anche psicologico, hanno le lezioni online su studenti e docenti? Quanto perdiamo in termini di partecipazione, confronto, scambio? «La situazione è pesante», riflette M., professoressa di Lingua e Letteratura italiana in un liceo fiorentino.
«Non ci si svolgono più tutte quelle attività che rendono tale la scuola, quelle attività extracurricolari che danno valore allo studio». Il suo giudizio è netto: «Una formazione liceale si basa anche sull’inessenziale; questa situazione andrà a creare un buco formativo, nelle generazioni che la vivono, difficilmente colmabile». I più colpiti sono, inevitabilmente, gli alunni che hanno appena iniziato le superiori: «Mi rendo conto ‒ prosegue ancora ‒ che a lezione riesco ad “agganciarli” meno degli studenti più grandi». Incontriamo Leonardo, studente di quinta dello stesso liceo. Per lui «le lezioni a distanza diventano ripetitive, asettiche», soprattutto per la mancanza di occasioni di confronto.
«Secondo me ‒ dice ‒ la scuola è un costante mettersi in gioco con i professori, i tuoi compagni e con te stesso. La distanza ha messo una barriera che permette una costante via di fuga: “non mi funziona il microfono”, “ho problemi con la connessione”, sono problemi comuni e che purtroppo capitano spesso, ma in gran parte dei casi è solo una scusa per fuggire al confronto». «Viviamo in una situazione di costante attesa, di sospensione della quotidianità» ci racconta A., docente di Filosofia, «la sensazione è che ogni istituto abbia agito per conto suo» nella scelta delle modalità didattiche. Ci conferma che le lezioni, forzatamente molto frontali, risentono molto della modalità a distanza in termini di relazione e scambio. Fra i ragazzi, prosegue, ovviamente «prevale il desiderio di rimanere in presenza, ma questa esperienza così precaria lascerà un senso di inquietudine, di incompletezza». Occorrerebbe ripensare le categorie educative, però «da parte di alcuni professori c’è una forte diffidenza verso i ragazzi, frutto di una cultura pedagogica obsoleta, e questa, insieme a una sorta di coazione a finire a tutti i costi il programma, aggrava la situazione imposta dal Covid».
M. confessa di non avere soluzioni alle carenze formative che il distanziamento prolungato potrà produrre. Ma, chiosa, «forse è perché parlo da vecchia professoressa». Al contrario, secondo A. si possono ancora «creare spazi di condivisione, presa di coscienza ed espressione delle proprie paure» all’interno della scuola: basterebbe «non rincorrere a ogni costo un efficientismo dannoso e impossibile». Quel che è certo è che le conseguenze della pandemia non sono e saranno solo materiali: ma di tutto questo, di offerta formativa, di qualità della didattica, di quell’«inessenziale», la politica sembra non curarsi.
Le immagini: La scuola ai tempi della pandemia (foto di Gabriel Benois e Andy Falconer via Unsplash).
Edoardo Anziano
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 179, novembre 2020)