Il rapporto della Commissione d’inchiesta pubblica mette a nudo le responsabilità statali per non aver protetto la reporter uccisa nel 2017
Dopo quattro anni dall’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, il processo nei confronti dei responsabili sembra avviarsi a una prima conclusione: il rinvio a giudizio del presunto mandante, l’imprenditore Yorgen Fenech. Un risultato non scontato, dati i numerosi ostacoli che gli inquirenti hanno incontrato. Fra le tante (e paradossali) difficoltà, a giugno 2021 è emerso che due laptop e tre hard disk con cui lavorava la reporter all’epoca dell’omicidio non sono più materialmente in possesso della polizia.
I dispositivi elettronici erano stati inviati in Germania nel 2019 per essere custoditi, ma il sospetto – sollevato anche da un parlamentare laburista – è che possano essere stati deliberatamente distrutti. Secondo l’imputato Fenech in essi erano contenute informazioni decisive per scagionarlo, ma la sua richiesta di rendere i dati accessibili anche alla difesa è stata rifiutata perché, riporta Malta Today, «la polizia non è stata in grado di mettere al sicuro il disco rigido». Nel frattempo, alla fine di luglio è stato reso noto il risultato dell’indagine pubblica sulla vicenda Caruana Galizia. Le conclusioni non fanno alcuno sconto e chiamano direttamente in causa la Repubblica di Malta. Lo Stato infatti – come scrive il Malta Independent riassumendo le 437 pagine diffuse in lingua maltese dalla Bord ta’ Inkjesta (Commissione d’inchiesta) – è da ritenersi responsabile per l’uccisione della giornalista, non avendo riconosciuto i rischi che correva e, soprattutto, non avendo adottato contromisure per proteggerla. Nelle conclusioni del rapporto (qui disponibile), si legge che «tutte le prove» raccolte dalla Commissione «hanno rivelato una cultura estesa di impunità non solo per gli alti funzionari della pubblica amministrazione, tra cui persone di fiducia, ma anche per una cerchia ristretta di politici, uomini d’affari e criminali».
Sono parole pesantissime, che mettono a sistema i nodi essenziali del contesto in cui è maturata la decisione di collocare una bomba sotto l’auto della giornalista. Primo: le prove mostrano in modo inequivocabile che, si legge ancora nel rapporto, «l’assassinio di Daphne Caruana Galizia è intrinsecamente se non esclusivamente legato al suo lavoro investigativo». La reporter, dunque, è stata eliminata per le «accuse di irregolarità e abusi amministrativi nel perseguimento di grandi progetti di sviluppo» che con le sue inchieste aveva sollevato. Secondo: la gran parte degli scritti della reporter mettevano alla sbarra i responsabili economici e politici del corrotto sistema di potere. «È chiaro che i suoi scritti – ricorda ancora il Malta Independent – la ponevano in confronto diretto con le persone al potere» e ciò ha spinto alcuni a neutralizzare con la violenza gli effetti dei suoi articoli. Alla fine, per fermarla, è stata necessaria l’eliminazione fisica.
Un rischio, quello di essere uccisa per le sue inchieste scomode, che – per il Board – lo Stato non ha (o non ha voluto) né comprendere né arginare. Questo perché, dopo la pubblicazione dei Panama Papers, le inchieste della reporter maltese avevano svelato un intreccio criminale fra politica locale corrotta e finanza offshore sporca in grado di «compromettere la stabilità del governo». Ma, oltre alle evidenti responsabilità della politica e delle autorità pubbliche, occorre tenere in considerazione anche l’altro ganglo malato del potere a Malta: l’economia. Come avevamo già raccontato un anno fa su LucidaMente (si veda Malta e l’eredità di Daphne), nonostante l’impatto mediatico dell’omicidio Caruana Galizia, poco era stato fatto per porre argine alla corruzione, all’evasione fiscale e al riciclaggio e – come diretta conseguenza – all’erosione della tenuta delle istituzioni. Il rapporto della Bord ta’ Inkjesta non fa altro che confermare la “responsabilità” del peculiare contesto socioeconomico dell’isola nell’omicidio della reporter d’inchiesta. A riprova del fatto che poco o niente sia cambiato in termini di trasparenza e lotta alla criminalità finanziaria, a luglio 2021 Malta è diventato il primo paese dell’Unione europea a essere inserito dalla Financial Action Task Force [un organismo intergovernativo contro il riciclaggio di denaro, ndr] nella sua «grey list». Questo significa che lo Stato dell’isola mediterranea ha ancora «protezioni insufficienti contro il denaro sporco».
Edoardo Anziano
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 189, settembre 2021)