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Home INTERVISTE

L’oscurità dell’animo femminile nel terzo romanzo di Antonella Cosentino

Intervista con l’autrice di “I silenzi di Medea” (edito da Leucotea), un viaggio nella psiche di una giovane madre alle prese con ancestrali problemi irrisolti e un futuro che teme come il presente. Nel libro sono presenti anche altre tematiche come l’importanza del ruolo della famiglia e il pericolo di rimanere in silenzio

Emanuela Susmel by Emanuela Susmel
1 Dicembre 2021
in FILM-DISCHI, INTERVISTE
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Intervista con l’autrice di “I silenzi di Medea” (edito da Leucotea), un viaggio nella psiche di una giovane madre alle prese con ancestrali problemi irrisolti e un futuro che teme come il presente. Nel libro sono presenti anche altre tematiche come l’importanza del ruolo della famiglia e il pericolo di rimanere in silenzio

Antonella Cosentino presenta a LucidaMente 3000 il libro I silenzi di Medea (Edizioni Leucotea, pp. 172, Sanremo 2021, € 15,00), il suo terzo romanzo (vedi anche Il ventennio fascista a Bologna nel nuovo romanzo di Antonella Cosentino e Una coraggiosa, appassionata donna del Sud). La scrittrice ci accompagna in un viaggio nell’intimo di una giovane madre che sceglie il silenzio quale difesa per sfuggire a problemi che ritiene insormontabili e che dipendono, a loro volta, dall’aver vissuto una difficilissima infanzia.

Nel romanzo viene affrontato un tema molto delicato ma altrettanto attuale. C’è un particolare episodio di cronaca a cui ti sei ispirata?
«Ho fatto confluire nella protagonista, Francesca, due storie realmente accadute: da un lato, quella di un’amica che, da sempre, ha un difficilissimo rapporto con la madre; dall’altro quella di una ragazza che incontravo andando a prendere i miei figli a scuola. La vedevo insieme ai suoi due bambini, sembrava il ritratto della serenità: una mamma scrupolosa e affettuosa. Una notte questa stessa donna li uccise e immediatamente dopo si suicidò, gettandosi dalla finestra della sua casa, non lontana dalla mia. Bastò questo episodio a sconvolgermi. A rincarare la dose fu la madre di un compagno di scuola di uno dei miei bimbi, che abitava nel suo stesso palazzo. A pochi giorni dall’omicidio-suicidio organizzò la festa di compleanno del figlio. Vedevo giocare i ragazzini nel punto esatto in cui, a terra, giaceva la sagoma della donna deceduta, disegnata ai fini dei rilievi della polizia: questo mi devastò ulteriormente. La normale indifferenza che notavo, come se nulla fosse successo, mi ha bruciato dentro per anni. Per di più, la comunità paesana sembra aver letteralmente rimosso tale grave fatto: per lungo tempo su di lei sono state lanciate soltanto critiche, frasi spietate; mai commiserazione né pietà nei suoi confronti. Probabilmente è una questione culturale: viviamo dei tabù che talvolta non siamo disposti ad affrontare. Ma soprattutto nessuno si è mai domandato come quella madre abbia potuto commettere un gesto così estremo. Ebbene, me lo sono chiesto io, supportata anche dalla competenza di mia cugina psicoterapeuta che mi ha confermato una verità sconcertante: la donna aveva così dimostrato lo smisurato amore che provava verso i figli».

Nella quarta di copertina del libro poni un interrogativo molto impegnativo: «Si può veramente stare dalla parte di Medea, dalla parte di una donna che uccide i propri figli?». Ce ne vuoi parlare?
«Un gesto del genere non è mai condivisibile, ci tengo a precisarlo. Premesso questo, mi sento di dire che si può stare anche dalla parte dell’infelicità, del dolore. Chi arriva a compiere un atto tanto estremo è, a sua volta, una vittima. Dietro a una storia di violenza, giudicata superficialmente quale atto di cattiveria di una madre verso i bambini, può celarsi l’incomprensione più profonda. Nel caso di Francesca, la causa è un ancestrale e doloroso rapporto con la genitrice; la sua incapacità di tirare fuori le proprie emozioni e paure e di dare corpo al dolore. Il coraggio di stanare i nostri timori e di portarli a galla può essere alquanto impegnativo. A chi giudica spietatamente simili gesti sfugge il substrato di fragilità di chi li compie, che invece dovrebbe essere individuato quanto prima e risolto. Vorrei aggiungere un’altra considerazione: Medea (vedi anche “Io sono Medea”, una rivisitazione femminista di una figura mitologica sempre affascinante e poliedrica) – che ho scelto per il titolo del romanzo –, è una donna saggia e sapiente: eppure è un personaggio mitologico negativo poiché si vendica del marito uccidendo i loro figli. Conosce incertezze e dolori; è lei stessa vittima del proprio gesto. In realtà anche dietro al suo mito si nascondono delle varianti. La stessa mitologia, infatti, non ci dice che abbia ammazzato i figli. A svelarcelo sarebbe un’ipotesi singolare: Euripide sarebbe stato pagato dagli abitanti di Corinto, i quali avrebbero ammazzato i figli di Medea per evitare che salissero sul trono dell’isola. Quanto a noi, dovremmo – in generale – prendere le distanze da un giudizio troppo immediato e affrettato su ciò che ci accade vicino».

Il silenzio come scelta di vita di un individuo può avere effetti inaspettati. Che cosa ci dici della protagonista?
«Francesca è una donna di silenzi. Sin da quando frequentava le scuole elementari aveva difficoltà a emettere parole. I suoi insegnanti la maltrattavano e la consideravano una stupida. Lei invece le parole le aveva eccome, dentro, ma il canale per esternarle si era interrotto. Nel tempo ha costruito un muro di frasi che non hanno trovato la via per uscire. Prima di conoscere Paolo, Francesca non ha mai avuto nessuno che abbia avuto voglia di ascoltarla. Sua madre è una donna aspra e addolorata, che ha sempre considerato la figlia la causa della propria infelicità. Nemmeno dopo aver conosciuto l’uomo che diventerà suo marito Francesca riuscirà a sciogliere il proprio silenzio, che diventerà sempre più un opprimente macigno; che non le permette di godere di ciò che ha, in primis l’amore di Paolo. Lei gli tace il proprio passato poiché non desidera la sua commiserazione: vorrebbe soltanto essere accettata da lui per ciò che è divenuta nel tempo e non per la donna che è stata prima di incontrarlo. In realtà questi blocchi interiori diventano sempre più pesanti, fino ad arrivare a compromettere il rapporto con il marito».

Che ruolo ha Paolo nella storia?
«Chi ha letto il libro ha avuto giudizi completamente opposti su si lui. Per qualcuno è un narcisista, capace di amare soltanto se stesso; per altri è innamorato della moglie ma si scontra con il carattere chiuso di lei. Evidentemente il personaggio è andato al di là delle mie intenzioni. Paolo ha una vita affollata e allietata dagli amici: tende però a essere superficiale con la propria famiglia. Posso dire che un po’ mi somiglia. Ama sinceramente Francesca e vorrebbe aiutarla ma non ci riesce: forse, quando prova a farsi raccontare da lei il suo passato, ha paura di farle del male. La donna reagisce in maniera dolorosa, soprattutto quando la propria vita inizia a virare verso una direzione pericolosa e lui avrebbe potuto indagare maggiormente. Trovo comunque che Paolo sia un personaggio positivo, un uomo vittima – anche lui – dei silenzi della moglie. Chi è addolorato e depresso infatti non vede un futuro davanti a sé ed espande l’aurea di dolore e di sofferenza a chi ha intorno».

Paolo avrebbe forse potuto indagare sul passato di Francesca se nella sua vita non ci fosse stata Teresa…
«Alleggerirei il ruolo di Teresa. Paolo si rifugia da lei soltanto dopo aver compreso di aver ormai perso il rapporto con Francesca. Ed è proprio quest’ultima ad aver frapposto un muro fra loro due. La responsabilità di ciò che accade nella storia è pertanto della moglie, non di Teresa, che, da sempre, è vicina a Paolo: prima come amica e poi come consolatrice, in un momento particolarmente triste per lui».

Il romanzo costituisce una ricerca introspettiva dell’animo femminile, anche nel suo lato più oscuro. Leggendolo si percepisce che è stato scritto da una donna che ha scavato nell’intimo più profondo di un’altra donna: ti sei fatta supportare da qualche esperto oppure l’esplorazione è frutto del tuo pensiero?
«Entrambe le cose. Ho scritto il libro in un momento particolarmente doloroso della mia vita e questo ha senz’altro influito sulla storia che ho voluto narrare. Sulle dinamiche di determinati gesti condotti da una mente turbata ho indagato io direttamente e, al contempo, presso amici e conoscenti psicoterapeuti. Mi sono immedesimata nel personaggio di Francesca; nello stesso tempo, mi sono documentata per comprendere i motivi di talune manifestazioni patologiche legate a un dolore costretto dentro a un muro di silenzi».

Nella storia la famiglia di origine dei protagonisti riveste un ruolo fondamentale, a volte positivo e altre meno…
«La famiglia di Paolo è concretizzata nell’immagine della mamma di lui: una donna affettuosa e materna, che considera Francesca come una figlia e la supporta perfino quando il rapporto con suo figlio finisce. La sorella dell’uomo è invece gelosa e possessiva, sospettosa nei confronti di una cognata un po’ ermetica. Nel complesso comunque la famiglia di Paolo gioca un ruolo positivo e di supporto a Francesca. Quella della protagonista è invece una non-famiglia. Sua madre ha avuto la figlia da un uomo che è fuggito prima della sua nascita e non è mai ritornato, rifiutando la donna una volta saputo che era incinta. Francesca è vittima, a sua volta, di un rapporto difficilissimo con la matrigna che l’ha allontanata dall’affetto del padre. La mamma considera la figlia la responsabile della propria infelicità e non riesce ad accettarla né ad amarla. Francesca idealizza così il padre e, quando si rivolge a lui, ottiene un ennesimo rifiuto in cambio di una busta con del denaro. Entrambe le famiglie insomma hanno un peso enorme sulla protagonista: affetto e presenza da una parte; chiusura mentale, aridità e anaffettività dall’altra».

La scelta dei nomi dei protagonisti (Paolo e Francesca) è casuale o hai voluto omaggiare la Divina commedia che insegni ai tuoi alunni della scuola superiore?
«Non è casuale. Nella Divina commedia i caratteri dei protagonisti sono però ribaltati: è Francesca a parlare, a rivelare a Dante la sua storia di vittima di una violenza familiare; di costrizione a sposare un uomo che non ama, fino alla sua uccisione. Nel mio romanzo invece Francesca è vittima del proprio silenzio».

Nella tua esperienza di scrittrice vanti tre romanzi molto differenti fra loro. Nel primo parli di una coraggiosa donna del Sud; nel secondo di una storia familiare ambientata nel ventennio fascista. Ne I silenzi di Medea fai vivere una donna alle prese con una scelta difficilissima. Hai già in mente qualche idea da sviluppare per la tua prossima fatica letteraria?
«In realtà sì, più di una. Ho già pronti due romanzi gialli al femminile. Sicuramente il mio quarto libro indagherà contemporaneamente sui rapporti interpersonali: quello madre-figli e quello tra sorelle. L’interesse verso il pensiero femminile si è già concretizzato nella mia produzione teatrale che vede, quali protagoniste, le donne nei loro eroismi quotidiani. Da sempre mi risulta più naturale parlare al femminile; non escludo però, prima o poi, di potermi dedicare anche alla figura maschile. Senza voler banalizzare, penso che ci siano uomini su cui valga la pena soffermarsi; basta indagare il loro lato più debole».

Le immagini: in apertura foto di Gabriel Matula per Unsplash; la copertina del romanzo I silenzi di Medea; l’autrice Antonella Cosentino.

Emanuela Susmel

(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 192, dicembre 2021)

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Tags: anaffettivitàantonella cosentinodante alighieriDivina commediadonneeuripidefamigliaI silenzi di Medealibrimedeamentemitoomicidiopsicheromanzisilenzio
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