In Italia le sinistre accusano il Governo Meloni di varare provvedimenti contro i giornalisti. Le argomentazioni pro e contro. Ma il vero pericolo proviene da leggi liberticide sovranazionali
È molto acceso il dibattito, in Parlamento e tra i giornalisti, sull’approvazione, avvenuta lo scorso 19 dicembre, presso la Camera dei deputati, della modifica dell’articolo 114 del Codice di procedura penale al fine di vietare la pubblicazione «integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia cautelare, finché non siano concluse le indagini preliminari» ovvero «fino al termine dell’udienza preliminare».
Per entrare in vigore, però, il provvedimento dovrà essere approvato anche dal Senato della Repubblica. Ma tutto sembra bloccato perché molte sono le richieste di una sua variazione.
Una “legge-bavaglio”?…
La maggior parte dei giornalisti e delle testate, nonché i deputati di parte dell’opposizione (Partito democratico, Movimento 5 stelle, Alleanza Verdi e Sinistra) all’attuale Governo Meloni, fautore di tale provvedimento, hanno gridato al bavaglio alla libertà di cronaca. La Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) ha lanciato un appello. Nel sottolineare il pericolo di tale “legge-bavaglio” si è distinto il Fatto Quotidiano, noto per le sue inchieste, spesso apprezzabili, ma anche per un notevole grado di sbrigativo “giustizialismo”, soprattutto verso esponenti del centrodestra. Per di più con modalità sensazionalistiche e scandalistiche da “sbatti il mostro in prima pagina”.
Per chi non è esperto in Giurisprudenza, la questione non è di facile lettura. Rimandiamo chi intendesse approfondirne qualche dettaglio a Carlo Canepa di pagella politica (leggi qui). Tuttavia, il problema della tutela degli imputati, soprattutto dei cittadini comuni, fino alla loro condanna definitiva, è tutt’altro che trascurabile. Anche per gli imputati magari “eccellenti”, come personaggi politici di rilievo, che, comparendo sulle prime pagine dei giornali, vengono condannati dall’opinione pubblica prima della sentenza giudiziaria, con effetti politici irreversibili. Per non parlare del fatto che, pubblicando integralmente le intercettazioni o altro riguardanti persone estranee al reato indagato, c’è il rischio di invadere la privacy e coinvolgere innocenti.
Inoltre, come ci ha insegnato la vicenda di Tangentopoli e di Mani Pulite, il linciaggio avvenuto sugli organi di informazione prima che nelle aule di tribunale ha una ricaduta politica ed elettorale a volte esiziale e smisurata.
Fare politica per via giudiziaria
Altra questione oggi in discussione è l’elastico reato d’abuso di ufficio, che rende complicata la vita agli amministratori locali nell’atto di adempiere alle proprie funzioni e li rende esposti a speculazioni ricattatorie da parte degli avversari politici.
Ha affermato l’ex magistrato Luca Palamara («Utilizzano il processo contro il nemico politico di turno»): «Ci troviamo di fronte a una situazione rispetto alla quale non è che chi fa l’amministratore pubblico può fare quello che vuole. Chi commette un crimine, anche con l’attuale legislazione, viene punito. In Italia c’è bisogno di sbattere subito il mostro in prima pagina appena arriva l’informazione di garanzia, pubblicare la custodia cautelare, e non aspettare la sentenza di condanna definitiva. Viene utilizzato il processo per eliminare il nemico politico di turno e tutto questo non va più bene».
Ci sembra innegabile che le sinistre, con la loro presunta “superiorità morale”, per non dire antropologica e culturale, abbiano spesso usato la via giudiziaria accompagnata dalla grancassa dei mass media mainstream, quasi tutti militanti nel loro campo, per mettere in difficoltà o proprio sbarazzarsi degli avversari politici. Tutto questo in mancanza di concrete e migliori proposte politiche e di un largo consenso elettorale. Peccato che tanti casi, come quelli della cricca del Qatargate, per non dire dei taxisti del mare, del maltrattamento di dipendenti di sindacati e aziende “rosse”, nonché delle cooperative di sfruttamento della gestione dei migranti, o delle frodi operate da influencer progressisti ecc., dimostrino che la corruzione sia estesa anche a sinistra, per di più ammantata da nobili fini…
…o una legge garantista?
Alle accuse di voler censurare la libertà di stampa ha risposto il primo firmatario dell’emendamento sotto i riflettori. È il deputato di Azione (quindi, peraltro, di un partito di opposizione all’attuale Governo) Enrico Costa. In un’intervista a la Repubblica ha infatti dichiarato che in futuro «si potrà comunque dare la notizia e spiegare il contenuto dell’ordinanza» di custodia cautelare, ma «sarà vietato pubblicare testualmente l’atto processuale, zeppo di intercettazioni e di informazioni ancora da verificare».
Ci sembra ancora più significativa la valutazione espressa da Piero Sansonetti. Il notissimo giornalista di sinistra, anzi autodefinitosi «comunista», è abituale volto televisivo e addirittura attuale direttore dello storico quotidiano rosso l’Unità. Sansonetti, peraltro sempre su posizioni garantiste, specie da direttore de Il Dubbio (da lui stesso fondato nel 2016), ha recentemente scritto proprio su l’Unità che «sono riforme modeste, di puro buonsenso. Quello che stupisce è la reazione furiosa di Pm e giornalisti, che temono di perdere il diritto alla gogna».
I veri, prossimi bavagli
Ciò che a noi stupisce ancora di più è che i colleghi giornalisti, come i capponi di Renzo di manzoniana memoria, litighino su provvedimenti governativi tutt’altro che sconvolgenti, ma non dicano alcunché, anzi plaudano o non diano notizia di ben altre forme di controllo, che, sottotraccia, i grandi potentati sovranazionali hanno già approvato o stanno approvando.
Che una vera e propria censura sia in atto ai danni del giornalismo libero, dei dissidenti dal pensiero unico, ma anche dei comuni cittadini, ce ne siamo accorti almeno dal 2020. Ma quella che era una situazione strisciante, definita “d’emergenza”, prima è diventata “d’eccezione”, ora diverrà la normalità.
Non è “complottismo”. Dall’Unione europea sono già stati approvati provvedimenti contenenti misure esiziali per le nostre libertà. Anche l’Oms, l’Unesco e, ovviamente, il World Economic Forum, giocando con le parole buro-tecnocratico-buoniste, intendono limitare la libertà d’espressione, soprattutto ai semplici cittadini, censurando la comunicazione in Rete.
Per un esame più approfondito di tali posizioni liberticide assunte da Ue, Oms, Unesco e Wef, rimandiamo a Libertà di pensiero e di parola? Solo se si è allineati, in questo stesso numero di LucidaMente 3000.
Le immagini: a uso gratuito da Pexels-cottonbro studio e Pixabay.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 218, febbraio 2024)