Tra il non essere curati e il non volersi sottomettere all’accanimento terapeutico: comunicato di Libera Uscita
Riceviamo alcune riflessioni da parte di Libera Uscita – Associazione laica e apartitica per il diritto a morire con dignità. In questo periodo di informazione unilaterale e di mancanza di spazi di dibattito, esse ci sembrano degne di attenzione e, pertanto convintamente le diffondiamo.
Nel recente documento della Società italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia intensiva (Siaarti) si affronta il problema delle terapie intensive divenute ingestibili, pensando a protocolli che privilegino chi, colpito da insufficienza respiratoria da Sars-Cov-2, ha più possibilità di sopravvivere.
Nessuno mette in discussione il coraggio, la generosità e la solidarietà che anima tante persone, non solo tra i medici, ma anche tra i malati: tra questi ultimi, certamente alcuni, già molto avanti negli anni o con malattie pregresse, non vorrebbero essere ricoverati in terapia intensiva, preferendo lasciare un posto libero a chi, più giovane o in salute, possa avere maggiori speranze di sopravvivenza. C’è senza dubbio chi, in caso di aggravamento delle proprie condizioni, chiederebbe piuttosto di essere assistito con una sedazione palliativa profonda continua fino alla fine che, di certo, non si farebbe attendere a lungo in un quadro di insufficienza respiratoria grave. Una cosa, però, è dare seguito alle libere scelte individuali – che, se motivate da ragioni altruistiche, meritano un rispetto ancora maggiore – tutt’altra, invece, è prevedere protocolli che distinguano tra chi ha più o meno diritto ad accedere alle cure.
La legge 219/2017 consente a tutti di comunicare per tempo, al momento della diagnosi, se, in caso di grave insufficienza respiratoria, si desidera o meno essere trasportati in una terapia intensiva. Dispiace davvero che nel documento della Siaarti, relativo all’attuale emergenza, non sia presente un solo accenno, anche breve, a quell’autodeterminazione terapeutica per cui anche la stessa Siaarti, in diverse occasioni, ha mostrato un concreto impegno. Anche la Società italiana di Cure palliative (Sicp), pronunciandosi a sostegno del documento della Siaarti, non pare aver fatto alcun riferimento al diritto della persona di scegliere se essere o meno ricoverata in una terapia intensiva.
Nessuna emergenza può far strame del diritto all’autodeterminazione sulle cure che con tanta fatica abbiamo ottenuto. Sappiamo che, fino a pochi giorni fa, la media d’età delle persone decedute si aggirava intorno agli ottant’anni. Ci domandiamo quante persone sopra agli ottanta, ricoverate in terapia intensiva, ne siano uscite vive e in quali condizioni. Quante di quelle persone avrebbero scelto la terapia intensiva se solo fosse stato loro chiesto il consenso per il ricovero e prospettato la possibilità di un’assistenza palliativa? Abbiamo reparti di terapia intensiva ingestibili: eppure si ipotizzano protocolli che privilegino chi ha più possibilità di uscirne vivo e non si è ritenuto indispensabile raccogliere a monte il consenso informato delle persone con diagnosi di Covid-19, secondo gli articoli 1, 2, 5 della legge 219/2017 (Maria Laura Cattinari – presidente di Libera Uscita, Modena, 18 marzo 2020).
Edoardo Anziano
(LucidaMente, anno XV, n. 171, marzo 2020 – supplemento LM EXTRA n. 36, Speciale Coronavirus)