I temi (disgiunti) sono la riforma della Giustizia, il diritto all’eutanasia e l’abolizione della caccia. L’iniziativa parte da forze variegate e composite. Di fronte alla scarsa informazione fornita dai mass media, vediamo di capirne un po’ di più
Da sempre riteniamo che sia necessario cogliere ogni occasione di partecipazione democratica. Mai saltare il voto in una tornata elettorale, mai disinteressarsi di una proposta di legge di iniziativa popolare, mai trascurare una presa di posizione politica e civile. E, in Italia, il più importante istituto di democrazia diretta è costituito dai referendum popolari.
Un istituto talmente “pericoloso” nel suo valore democratico che per essere attuato ha bisogno di una procedura complessa e difficile da conseguire. Infatti, l’articolo 75 della Costituzione prevede innanzi tutto che esso sia solo abrogativo; ciò significa che i quesiti referendari devono capziosamente riguardare norme la cui cancellazione comporterebbe un vuoto da colmare nel senso indicato dai promotori. Inoltre, per indirlo occorre una raccolta di almeno 500.000 firme cartacee, attentamente vidimate e controllate, raccolte in un lasso di tempo limitato. Pensate a tutto questo sistema ottocentesco, al tempo della posta elettronica certificata. Non basta. Una volta giunti al voto, per essere valido, esso necessita che si esprima la maggioranza degli aventi diritto al voto e che debba essere raggiunta la maggioranza dei voti validi. Non solo: la Corte costituzionale deve pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del referendum. Insomma, difficoltà e complicazioni da scoraggiare chiunque. Oltre a questo, spesso i partiti politici (attraverso l’ostruzionismo) e i mass media (mediante il silenzio) hanno fatto di tutto per evitare che il referendum divenisse pratica democratica usuale. Pertanto, solo dei pazzi o degli idealisti possono provare ad attivare l’iter referendario.
E, se lo fanno d’estate, con i cittadini distratti che sperano di godersi un po’ di libertà tra una costrizione sanitaria e l’altra, son proprio dei matti da legare. O, forse, le tematiche affrontate, per la loro gravità e impellenza, richiedono davvero uno scatto di follia. E, in effetti, il primo argomento affrontato stavolta, ma anche in passato, dai promotori riguarda la riforma della Giustizia e la Magistratura. Dal caso Palamara a quello della “loggia Ungheria”, passando anche per i mille episodi di malagiustizia che umiliano i semplici cittadini, la serie di scandali che ha coinvolto la Magistratura e i maggiori organi del potere giudiziario, compresi quelli di autogoverno (Corte costituzionale, Consiglio superiore della magistratura e Associazione nazionale magistrati), è stata davvero gravissima.
Ad attivarsi sono stati i soliti radicali, sostenuti innanzi tutto dalla Lega. In sintesi, i sei quesiti referendari riguardano la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante, la limitazione alla custodia cautelare, l’abrogazione della legge Severino, l’abolizione dell’obbligo della raccolta firme per i magistrati che vogliano candidarsi al Csm, il diritto di voto per i membri non togati nei consigli giudiziari (leggi, più ampiamente, qui o, in modo ancora più approfondito, qui). Tutto questo potrà sembrare ostico per il comune cittadino, «in tutt’altre faccende affaccendato», eppure si tratta di riforme necessarie per la vita civile di tutti, con la speranza che finiscano la corruzione e il carrierismo dei giudici, gli intrallazzi toghe-politica e, soprattutto, funzioni finalmente in Italia una giustizia giusta e in tempi decenti per il cittadino comune.
La raccolta di firme inizierà in tutta Italia da domani, 2 luglio, e proseguirà per 90 giorni con la speranza di raccogliere almeno 500mila firme valide per ogni quesito (per essere sicuri, occorre superare ampiamente tale soglia). Si può firmare, oltre che per le strade, nei tavoli e gazebo predisposti dai promotori, anche presso gli uffici comunali. Entro il 15 di dicembre la Corte di Cassazione verificherà se l’obiettivo delle firme sarà stato effettivamente raggiunto (numero, tempi della raccolta, autenticità…). In caso di approvazione della Cassazione, come detto, la palla passerà alla Corte costituzionale, che stabilirà se ogni singolo quesito è ammissibile o meno. I referendum accettati potranno a quel punto essere indetti, sempre che nel frattempo il Parlamento non abbia legiferato accogliendo le richieste dei promotori.
È invece già partita da ieri, 30 giugno, la raccolta di firme per rendere l’eutanasia legale. A sostenere l’iniziativa un arcipelago di associazioni (e alcuni partiti), con in testa l’Associazione Luca Coscioni. Il testo prevede in pratica una parziale abrogazione dell’art. 579 del Codice penale. Quest’ultimo recita che «chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni»; tale norma impedisce la cosiddetta “eutanasia attiva” (sul modello belga o olandese). Va pertanto superato il modello dell’“indisponibilità della vita”, sancito dal fascismo nel 1930, per realizzare il principio della “disponibilità della vita” e dell’autodeterminazione individuale, così come è stato già introdotto dalla Costituzione. Tuttavia, esso deve essere tradotto in pratica anche per persone che non siano dipendenti da trattamenti di sostegno vitale (vedi sentenza Cappato-Antoniani della Corte costituzionale).
Non c’è due senza tre. Ed ecco che, a partire da oggi, 1° luglio, si è aperta pure la campagna referendaria per l’abolizione della caccia, che proseguirà sino a fine settembre. A promuoverla il Comitato Sì Aboliamo la Caccia, attraverso l’abrogazione di alcuni articoli della vigente legge 157/1992. Anche in passato già si ebbero iniziative referendarie per limitare la pratica venatoria. Tuttavia, questa è la prima che, se coronata da successo, avrebbe come effetto la totale cancellazione della caccia, e il nostro Paese sarebbe il primo al mondo ad attuarla. Per i promotori «la caccia è un’attività violenta, cruenta, sanguinaria, provoca ingenti danni ambientali per i milioni di pallini di piombo e cartucce che vengono abbandonati sul terreno dai cacciatori ed inquinano campagne e falde acquifere; è responsabile di uno sperpero di decine di milioni di euro di denaro pubblico per il ripopolamento degli animali selvatici; alla fine della stagione di caccia, nel mese di febbraio si verifica un ingente abbandono di cani utilizzati dai cacciatori, come registrato dalle Regioni; le stesse federazioni sportive di tiro (al volo, carabina, pistola, arco, balestra) rifiutano la presenza e la partecipazione di cacciatori o anche di persone che abbiano ucciso un solo animale». Inoltre, la pratica venatoria, oltre a causare la morte atroce di moltissimi animali innocenti, ogni anno determina anche alcune vittime umane.
Il nostro personalissimo consiglio è di firmare tutti i quesiti referendari, sia quelli sulla Giustizia, sia quelli sull’eutanasia, sia quelli sulla caccia. E anche se non siete d’accordo o nutrite perplessità di qualunque genere. Perché? In prima istanza per stimolare l’iniziativa legislativa di un Parlamento immobile su certe tematiche che ci riguardano tutti; in seconda istanza, per far decidere comunque al popolo, il che è sempre positivo. Ancor di più in tempi di esautorazione della volontà popolare (con l’invenzione del populismo come minaccia) e di restringimento degli spazi democratici. E ricordate le parole di Giorgio Gaber: «La libertà è partecipazione». Meno partecipiamo alla democrazia, meno in futuro i detentori del potere ce lo faranno fare.
Per sapere dove andare a firmare sulla riforma della Giustizia, clicca qui.
Per sapere dove andare a firmare per la legalizzazione dell’eutanasia, clicca qui.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 187, luglio 2021)