Dalle drammatiche difficoltà dovute a pandemia e Dad alle nuove spinte verso una scuola tecnocratica, omologante e acritica
Riceviamo in redazione e volentieri pubblichiamo.
L’esperienza della pandemia e della didattica a distanza hanno generato un diluvio di parole, dibattiti, prese di posizione, troppo spesso coltivati al di fuori della scuola. Talora poco presente e per lo più non ascoltato è stato invece il punto di vista di chi quotidianamente nella scuola opera con la ferma convinzione che il compito fondamentale di questa istituzione pubblica sia quello di favorire «il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3 della Costituzione), valorizzandone i talenti e dotando i giovani degli strumenti critici per una cittadinanza attiva e democratica.
Crediamo che spetti in primo luogo a noi docenti esprimere alcune considerazioni, a partire dalla nostra esperienza culturale, didattica e umana. Siamo ben consapevoli che la Dad sia stata nei momenti più tragici della pandemia l’unica possibilità per non interrompere il rapporto con gli studenti e continuare a garantire loro, sia pure in forme diverse e di certo più povere, il percorso di formazione. Così come ben sappiamo che una parte dell’esperienza praticata in questi mesi potrà essere utile in futuro in alcune circostanze, quando si tratti di favorire la partecipazione alle lezioni da parte di studenti realmente costretti, poniamo, per ragioni mediche, ad assenze prolungate. Abbiamo ben chiari, d’altro canto, i limiti e le difficoltà con i quali abbiamo dovuto confrontarci in questo lungo periodo. In primo luogo, senza dubbio, la negazione di quell’incontro di volti, di sguardi, di gesti e di parole in cui consiste tanta parte della lezione. La distruzione, insomma, di quel contesto che, solo, può permettere, fra l’altro, di tenere d’occhio le difficoltà degli alunni più deboli che, sottratti alla relazione “fisica”, abbiamo visto smarrirsi nella perdita progressiva di motivazione e impegno.
Perché, se si vuole parlare di scuola democratica, la realtà è questa: le ragazze e i ragazzi che hanno una loro solidità psicologica e familiare, essendo spesso molto motivati a costruirsi il proprio futuro e a superare le difficoltà, imparano attraverso qualunque forma di didattica. A chi, invece, non possiede questa rete di salvataggio – e sono tantissimi – la dimensione di un apprendimento solitario non può offrire la motivazione a impegnarsi, a trovare la propria strada, a non perdersi di fronte a soluzioni seduttive e più facili.
Abbiamo anche potuto osservare quella pericolosa vischiosità che nella didattica a distanza si crea tra l’ambiente scolastico e quello domestico, mentre la scuola, al contrario, per favorire la crescita di un pensiero libero e spregiudicato, dovrebbe, per propria natura, rappresentare un punto di vista diverso, quando non alternativo, rispetto a quello familiare e porsi come spazio autonomo di emancipazione rispetto ad eventuali contesti familiari di disagio o condizionamento. Dotare gli studenti di un corpus di conoscenze-base indispensabile per qualunque competenza e renderli consapevoli che il linguaggio è insieme strumento di comunicazione e di articolazione razionale del pensiero sono aspetti cruciali della formazione di giovani liberi e attrezzati a esprimere un proprio punto di vista indipendente sul mondo in cui vivono senza rassegnarsi a un ruolo subalterno. Crediamo che il percorso verso tali obiettivi non possa essere affidato a un’integrazione stabile della Dad eventualmente promossa a modalità complementare a quella in presenza.
Ma non meno preoccupanti sono anche altre prospettive che si profilano all’orizzonte in questa dilagante digitalizzazione dei processi di formazione. Nella sezione che il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) dedica alla scuola, si legge che la «qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento dipende fortemente dalla riqualificazione e dall’innovazione degli ambienti di apprendimento» e si predispongono risorse per investimenti, con lo scopo «di creare nella scuola la “cultura” scientifica e la forma mentis necessaria ad un diverso approccio al pensiero scientifico, appositamente incentrata sull’insegnamento Steb (es.: IBL Inquiry Based Learning, Problem Solving, ecc.), con ricorso ad azioni didattiche non basate solo sulla lezione frontale».
Ingenuo sarebbe da parte nostra, che pur insegniamo in una scuola all’avanguardia per le strutture e i saperi orientati in questa direzione, non riconoscere l’opportunità di tali investimenti, tanto più in funzione di colmare i divari fra zone diverse del Paese e favorire i percorsi di uguaglianza. Ma non possiamo non leggere con allarme le generalizzazioni a proposito di processi di apprendimento «orientato al lavoro», come se la formazione fosse un mero percorso utilitaristico. Mentre quella solida formazione culturale che fortunatamente rappresenta ancora una qualità insostituibile della scuola pubblica italiana è liquidata con un’unica quanto banale formula di passaggio, tutta ricompresa in quattro parole: «Senza perdere questa eredità». Ancora più inquietanti ci appaiono certe dichiarazioni di esponenti politici che identificano una prossima «evoluzione» dell’insegnamento nella scuola secondaria con la diffusione di «lezioni online condotte dai migliori comunicatori, per poi passare all’approfondimento a livello della classe con attività laboratoriali e consolidamento delle conoscenze».
Di là dallo sdegno che proviamo nel leggere le parole «migliori comunicatori» (così bizzarra sarebbe la pretesa di trovare al loro posto la figura e il termine, ben più adeguati e nobili, di «studiosi»?), un lessico mutuato dalla società dei consumi e dello spettacolo, troviamo non accettabile la subalternità assegnata ai docenti, relegati al ruolo di semplici addestratori sprovvisti di un più degno sapere.
Una prospettiva, niente affatto rassicurante, alla quale opponiamo con forza la dignità e la passione dell’insostituibile dialogo educativo a cui siamo chiamati, convinti che l’ubriacatura tecnologica e la digitalizzazione eletta a sistema nella scuola e nella vita intera delle giovani generazioni comportino una sterile frantumazione del sapere e l’insidia dell’omologazione del pensiero e compromettano la straordinaria vitalità del rapporto fra maestro e allievo – un’espressione che sarebbe opportuno tornare a pronunciare – così determinante nella formazione di ciascuno. I mutamenti che la scuola rischia di essere costretta ancora una volta ad assecondare – e verso i quali esprimiamo tutto il nostro disaccordo – finiranno con il compromettere un’ipotesi di costruzione umana e culturale e, più in generale, contribuiranno a configurare la pericolosa realtà di un mondo dove sempre più marcata sarà la separazione fra chi controlla la produzione degli strumenti e chi crescerà nell’incapacità di farne un uso libero e critico.
Le immagini: a uso gratuito da pixabay.com.
Le/i docenti del Liceo Copernico di Bologna
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 187, luglio 2021)