A segnalare i provvedimenti del governo italiano sia giornali esteri sia, finalmente, organi giudiziari
Non è riuscita ad attraversare la censura massmediatica di regime la notizia di alcuni articoli della stampa estera che denunciavano l’involuzione autoritaria e antidemocratica italiana. Uno per tutti quello del 16 ottobre 2021, proveniente da un autorevole quotidiano della sinistra liberal statunitense, il Washington Post. Il titolo è Italy begins enforcing one of the world’s strictest workplace vaccine mandates, risking blowback, gli autori Chico Harlan e Stefano Pitrelli.
Eccone qualche brano: «L’Italia si è spinta in un nuovo territorio, inesplorato per una democrazia occidentale, […] gli obblighi stanno iniziando a dividere la società in diversi livelli di libertà, in un modo che solo un anno fa sarebbe apparso inverosimile» e si definisce l’imposizione del tampone ogni 48 ore come di una «scoraggiante impraticabilità». Dello stesso tenore il titolo di The New York Times, preoccupato per ciò che avviene «per la prima volta per una democrazia occidentale». Anche altre testate straniere hanno palesato un’evidente preoccupazione per quello che viene definito un “esperimento sociale”. Negli stessi giorni, infatti, pure il francese Libération e la tedesca Süddeutsche Zeitung hanno espresso perplessità sul “caso Italia”. Insomma, Italia laboratorio di un nuovo totalitarismo a guida tecnocratica e neoliberista. Sorprende che in questi anni la magistratura italiana non si sia mossa per intervenire riguardo l’evidente deriva autoritaria e anticostituzionale. Tuttavia, ultimamente, alcuni importanti passi sono stati compiuti. Il 15 gennaio 2022 il Tar del Lazio, con la sentenza n. 419, ha accolto il ricorso contro il celebre diktat del ministro della Salute Roberto Speranza su «tachipirina e vigile attesa», ritenendo che, «imponendo ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche, la circolare ministeriale si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicata dalla scienza e dalla deontologia professionale».
Tuttavia, appena qualche giorno dopo, con insolita premura, il neonominato (14 gennaio) presidente del Consiglio di Stato, Franco Frattini, ha sospeso la sentenza con la quale, come s’è detto, il Tar del Lazio aveva di fatto annullato la circolare sulle terapie domiciliari Covid, bocciando così le linee guida del Ministero della Salute sulla cosiddetta «vigile attesa». Nel decreto di sospensione si afferma che la circolare contiene «raccomandazioni» e «non prescrizioni vincolanti». Sicché il prossimo 3 febbraio è stata fissata una Camera di Consiglio per la trattazione collegiale. Ancora più articolata e stringente l’ordinanza n. 38 del 17 gennaio 2022 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia (d’ora in avanti Csga).
Essa scaturisce dall’appello di uno studente «iscritto al terzo anno del corso di Laurea d’Infermieristica presso l’Università degli Studi di Palermo e che, al fine di completare gli studi, avrebbe dovuto partecipare al tirocinio formativo all’interno delle strutture sanitarie, [ma] ciò gli è stato impedito dall’Università, con gli atti impugnati in primo grado, perché non vaccinato contro il virus Sars-CoV-2». Il Csga ha ritenuto che tale appello non sia inficiato da «manifesta infondatezza» e chiede un’ulteriore istruttoria su vaccini e loro obbligatorietà. Peraltro, l’organo siciliano ricorda quanto affermato dalla Corte costituzionale, secondo la quale l’obbligo vaccinale è consentito, ma con totale risarcimenti di eventuali danni e in ogni caso [tutte i seguenti grassetti sono nostri]:
«L’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l’interesse della collettività.
In particolare, la Corte ha precisato che – ferma la necessità che l’obbligo vaccinale sia imposto con legge – la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. alle seguenti condizioni:
(i) se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri;
(ii) se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;
(iii) e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)».
Poco dopo il Cga ribadisce ancora che:
«In particolare, come affermato dalla sentenza 22 giugno 1990, n. 307, la costituzionalità degli interventi normativi che dispongano l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari (nel caso di specie si trattava del vaccino antipolio) risulta subordinata al rispetto dei seguenti requisiti:
“Il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. […] un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.
Con riferimento, invece, all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”.
E qualora il rischio si avveri, in favore del soggetto passivo del trattamento deve essere “assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.
Inoltre, le concrete forme di attuazione della legge impositiva di un trattamento sanitario o di esecuzione materiale del detto trattamento devono essere “accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura. E fra queste va ricompresa la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione, nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili”».
Inoltre il Csga evidenzia che i vaccini vanno sottoposti a sorveglianza e monitoraggio, che le persone invitate a un trattamento sanitario non sono obbligate a “sacrificarsi” per la comunità, devono essere informate sui rischi per la propria salute e che l’eventuale risarcimento per danni subiti dalla persona vaccinata vanno corrisposti sia in caso di libera volontà sia di obbligo, secondo quanto sancito dalla Corte costituzionale:
«A tal riguardo, si precisa ancora nella decisione n. 5/2018, i vaccini, al pari di ogni altro farmaco, sono sottoposti al vigente sistema di farmacovigilanza che fa capo principalmente all’Autorità italiana per il farmaco (AIFA) e poiché, sebbene in casi rari, anche in ragione delle condizioni di ciascun individuo, la somministrazione può determinare conseguenze negative, l’ordinamento reputa essenziale garantire un indennizzo per tali singoli casi, senza che rilevi a quale titolo – obbligo o raccomandazione – la vaccinazione è stata somministrata (come affermato ancora di recente nella sentenza n. 268 del 2017, in relazione a quella anti-influenzale); dunque “sul piano del diritto all’indennizzo le vaccinazioni raccomandate e quelle obbligatorie non subiscono differenze: si veda, da ultimo la sentenza n. 268 del 2017”.
Già con sentenza 26 febbraio 1998 n. 27 la Corte aveva affermato che
“Non vi è (…) ragione di differenziare, (…) il caso (…) in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello (…) in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria.
Una differenziazione che negasse il diritto all’indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione”.
Tale concetto è stato ribadito dalla decisione 23 giugno 2020 n. 118, secondo la quale “in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli. Questa Corte ha conseguentemente riconosciuto che, in virtù degli artt. 2, 3 e 32 Cost., è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano. La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede quindi nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale. Per questo, la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.: perché sono le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste, oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l’individuo danneggiato sopporti il costo del beneficio anche collettivo (sentenze n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012). […] la previsione dell’indennizzo completa il ‘patto di solidarietà’ tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rende più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione”».
Il Csga solleva anche la questione del possibile rischio di inoculazioni ravvicinate, addirittura quadrimestrali:
«Si profila una reiterazione di somministrazioni in tempi ravvicinati (sei mesi o addirittura quattro), sulla cui opportunità non si ravvisa, parimenti, una posizione unanime, per cui l’attuale obbligo vaccinale pone un (nuovo) problema di proporzionalità, dato che si profila una imposizione di ripetute somministrazioni nell’anno per periodi di tempo indeterminati».
L’ordinanza dispone pertanto un’istruttoria, affidata a un collegio composto dal segretario generale del Ministero della Salute, dal presidente del Consiglio superiore della Sanità operante presso il Ministero della Salute e dal direttore della Direzione generale di prevenzione sanitaria, vale a dire, nell’ordine, Giovanni Leonardi, Franco Locatelli e Gianni Rezza. Tale collegio dovrà inoltrare una dettagliata relazione sui quesiti che da mesi e mesi le persone non deprivate delle facoltà critiche si pongono. Ecco di seguito il chiarissimo testo del Csga, con le domande generali:
«1) le modalità di valutazione di rischi e benefici operata, a livello generale, nel piano vaccinale e, a livello individuale, da parte del medico vaccinatore, anche sulla basa dell’anamnesi pre-vaccinale; se vengano consigliati all’utenza test pre-vaccinali, anche di carattere genetico (considerato che il corredo genetico individuale può influire sulla risposta immunitaria indotta dalla somministrazione del vaccino); chiarimenti sugli studi ed evidenze scientifiche (anche eventualmente emerse nel corso della campagna vaccinale) sulla base dei quali venga disposta la vaccinazione a soggetti già contagiati dal virus;
2) le modalità di raccolta del consenso informato;
3) l’articolazione del sistema di monitoraggio, che dovrebbe consentire alle istituzioni sanitarie nazionali, in casi di pericolo per la salute pubblica a causa di effetti avversi, la sospensione dell’applicazione dell’obbligo vaccinale; chiarimenti sui dati relativi ai rischi ed eventi avversi raccolti nel corso dell’attuale campagna di somministrazione e sulla elaborazione statistica degli stessi (in particolare, quali criteri siano stati fissati, e ad opera di quali soggetti/istituzioni, per raccogliere i dati su efficacia dei vaccini ed eventi avversi; chiarimenti circa i criteri di raccolta ed elaborazione dei dati e la dimensione territoriale, se nazionale o sovranazionale; chi sono i soggetti ai quali confluiscano i dati e modalità di studio), e sui dati relativi alla efficacia dei vaccini in relazione alle nuove varianti del virus.
4) articolazione della sorveglianza post-vaccinale e sulle reazioni avverse ai vaccini, avuto riguardo alle due forme di sorveglianza attiva (con somministrazione di appositi questionari per valutare il risultato della vaccinazione) e passiva (segnalazioni spontanee, ossia effettuate autonomamente dal medico che sospetti reazioni avverse)».
L’organo incaricato dell’istruttoria dovrà inoltrare una dettagliata relazione sui quesiti sopraindicati, nella quale il Csga si specifica che esso dovrà rispondere:
«1.1. con riferimento al primo quesito, se ai medici di base siano state fornite direttive prescrivendo loro di contattare i propri assistiti ai quali, eventualmente, suggerire test pre-vaccinali;
1.2. modalità in virtù delle quali venga data comunicazione al medico di base dell’avvenuta vaccinazione spontanea di un proprio assistito (presso hub vaccinali e simili);
2.1. quanto al secondo quesito, si richiedono chiarimenti circa la documentazione offerta alla consultazione dell’utenza al momento della sottoscrizione del consenso informato;
2.2. chiarimenti circa il perdurante obbligo di sottoscrizione del consenso informato anche in situazione di obbligatorietà vaccinale;
3.1. con riferimento al terzo quesito, si richiede la trasmissione dei dati attualmente raccolti dall’amministrazione in ordine all’efficacia dei vaccini, con specifico riferimento al numero dei vaccinati che risultino essere stati egualmente contagiati dal virus (ceppo originario e/o varianti), sia il totale sia i numeri parziali di vaccinati con una due e tre dosi; i dati sul numero di ricovero e decessi dei vaccinati contagiati; i dati di cui sopra comparati con quelli dei non vaccinati;
4.1. Con riferimento al quarto quesito, si chiede di conoscere se sia demandato ai medici di base:
4.1.1. di comunicare tutti gli eventi avversi (letali e non) e patologie dai quali risultino colpiti i soggetti vaccinati, ed entro quale range temporale di osservazione; ovvero
4.1.2. di comunicare solo eventi avversi espressamente elencati in direttive eventualmente trasmesse ai sanitari; ovvero
4.1.3. se sia a discrezione dei medici di base comunicare eventi avversi che, a loro giudizio, possano essere ricollegabili alla vaccinazione;
4.2. si richiede, altresì, di specificare con quali modalità i medici di base accedano alla piattaforma per dette segnalazioni, chi prenda in carico dette segnalazioni, da chi vengano elaborate e studiate».
I chiarimenti di cui sopra, articolati in una relazione alla quale dovranno essere allegati i documenti di riferimento, dovranno pervenire entro il 28 febbraio 2022».
Vedremo cosa, come e se risponderà il Collegio preposto entro il mese in corso, augurandoci non avvenga un ulteriore vulnus e sfregio della Giustizia, della Costituzione, della Magistratura e del Diritto.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 194, febbraio 2022)