Un piccolo tributo al padre dell’amato vagabondo Charlot in occasione del 131° anniversario della sua nascita
Il 16 aprile 1889, nei sobborghi di una Londra vittoriana, fa nasceva il cineasta più illustre del secolo scorso, Charles Spencer Chaplin. Regista, attore, compositore, egli ha partecipato a ogni fase del processo lavorativo che ha diretto: un vero genio. Le sue pellicole hanno raggiunto il pubblico di tutto il mondo e Charlot è il personaggio che forse ha più divertito e commosso gli spettatori di diverse generazioni, grazie al suo inconfondibile abbigliamento: una piccola bombetta, un bastone da passeggio, dei pantaloni sformati, una giacca stretta e delle grandi scarpe.
Un buffo ritratto della povertà, classe alla quale, in principio, apparteneva il medesimo Chaplin. Nel commentare la fonte d’ispirazione per tale costume, Tony Merrick, il cui padre era un pub performer come quello del nostro artista, ricorda i carrettieri di quartiere. Racconta che due in particolare avevano i piedi così doloranti e gonfi da essere costretti a tagliare parte degli stivali per ottenere sollievo; inoltre, spesso, camminavano trascinandosi un po’. Tuttavia, la “divisa” lisa e sporca comprende un elemento che sorprende, la cravatta. Coma mai? Perché anche gli homeless «hanno pur sempre una dignità», spiegava il figlio Sydney Earl Chaplin (1926-2009). La maschera del tramp prende forma e si definisce tra il 1913 e il 1914, gli anni del contratto con la casa cinematografica americana Keystone di Mack Sennett (Michael Sinnott).
Quelle realizzate per il suddetto produttore sono inizialmente farse sviluppate in short film, dove la comicità è espressa soprattutto per mezzo dello slapstick (tecnica basata su gag semplici, ma efficaci grazie a un magistrale linguaggio del corpo). Per i lungometraggi e le commedie occorre aspettare Il monello del 1921. Qui i titoli di testa recitano: «Un film che vi fa ridere e forse anche piangere» e fondono il comico col drammatico, racchiudendo già la concezione di cinema del nostro beniamino. Non solo, come sottolinea Il Mereghetti, nel film Chaplin riesce persino a non tradire «la propria carica antisociale (evidente […] nel ruolo negativo incarnato come sempre dai poliziotti)» amalgamandola allo stesso tempo con altri elementi ugualmente centrali. Ciò accade anche nei lavori successivi, in cui le denunce, che siano esse socioeconomiche (Luci delle città, Tempi moderni), storiche (La febbre dell’oro, Il grande dittatore) o artistiche (Il circo, Luci della ribalta), sono rivestite da una patina gradevole di umorismo e sentimentalismo.
Difatti, a ragion veduta, il regista e sceneggiatore Miloš Forman (padre di Qualcuno volò sul nido del cuculo) rintraccia in Chaplin il dono «straordinario di individuare nel comportamento degli uomini quei particolari aspetti che sono senza tempo e assolutamente universali». In diverse opere la situazione standard è usualmente la medesima: il nullatenente Charlot incontra qualcuno (spesso una “lei”) bisognoso di aiuto, ma non in grado di risolvere i propri problemi a causa di ristrettezze economiche. Il protagonista in primis è in miseria, però l’empatia, la solidarietà e, ammettiamolo, persino una serie di sfortunati/fortunati eventi gli consentono di salvare “l’altro”. Ingredienti che derivano, naturalmente, dalla vita privata dell’artista: nato e vissuto nell’estremo disagio, con un debole per il genere femminile attestato dalle sue numerose amanti e mogli, non è mai stato insensibile nei confronti del prossimo, tanto da farne una questione prima di beneficienza e in seguito di politica.
Al riguardo va sottolineato che, durante la Grande guerra, Chaplin si preoccupa di distribuire gratuitamente Charlot soldato, in modo che le sue comiche fungano, così, da medicina per l’anima, specialmente presso gli ospedali militari. In quegli anni inizia, poi, a nutrire una certa curiosità verso le politiche sociali proposte dall’Unione sovietica. Tanto che, una volta finito il primo conflitto mondiale, viene tenuto costantemente sorvegliato dal Federal Bureau of Investigation (Fbi), i cui fascicoli del 1922 lo identificano come uno tra i «bolscevichi da salotto di Hollywood». La sua condotta non migliora la situazione e si arriva quindi al 19 settembre del 1952 quando, in occasione di un viaggio verso Londra con la moglie Oona O’Neill e i figli, gli viene revocato il permesso di rientro in America.
Vi farà poi ritorno nel 1972 per ritirare il suo secondo Oscar alla carriera. Qualche anno dopo, nel 1977, nella notte di Natale, il nostro protagonista si spegne a 88 anni nella casa a Corsier-sur-Vevey, in Svizzera. Chaplin ha avuto una vita lunga, avventurosa, ricca di esperienze e costellata di incontri (Winston Churchill, Albert Einstein, Mahatma Gandhi, per citarne alcuni). Nessuno nella storia del cinema ha saputo unire sensibilità, divertimento, musica, satira, politica, arte e professionalità come lui. Non ci è possibile dilungarci oltre ma, per chi fosse interessato ad approfondire il materiale, questo è vastissimo: esistono ad esempio documentari come Charlie Chaplin, vita da vagabondo e Chaplin sconosciuto, oppure il noto volume autografo La mia autobiografia. Infine, da non dimenticare è l’indispensabile apporto nel restauro dei filmati a opera della Fondazione Cineteca di Bologna.
Le immagini: una foto nella quale l’artista Charlie Chaplin indossa i panni del celebre vagabondo Charlot (da wikipedia.org, di pubblico dominio); alcune locandine di celebri pellicole coi titoli in lingua originale.
Arianna Mazzanti
(LucidaMente, anno XV, n. 172, aprile 2020)