Bello “C’è ancora domani”, film d’esordio dell’attrice romana, anche se a tema e con un messaggio univoco che rincorre l’onda woke del politically correct. Ma l’odierna umanità italiana è migliore di quella del 1946?
Ohi, probabilmente arriviamo buoni ultimi nel recensire C’è ancora domani, il bel film di Paola Cortellesi, girato in un suggestivo bianco e nero (da intendersi in tutti i sensi). Ma forse è meglio così, perché, nel frattempo, si sono stemperati i giudizi eccessivi, in un senso e nell’altro. Cominciamo subito con l’elencare gli indiscutibili pregi della pellicola.
I pregi del film
Primo. Per settimane ha fatto parlare di sé, piuttosto che di Ballando con le stelle o del duello Inter-Juve… Secondo. Ha ancora una volta fatto puntare i riflettori sulle violenze domestiche, tematica peraltro mainstream. Terzo. È un ottimo prodotto. Quarto. È una ricostruzione, a volte poetica e commovente, dell’Italia del Secondo dopoguerra, con la sua coraggiosa ed eroica voglia di ripartire dopo i disastri del conflitto (folle guerra del Duce, massacri nazisti e dei “liberatori”, guerra civile): uno splendido “come eravamo”. E poiché la Cortellesi è un’attrice comica, finora protagonista o spalla in filmetti quasi tutti francamente insulsi rappresentanti un’Italia un po’ bambocciona, è da supporre che si sia avvalsa di solidi contributi e consulenze per la ricostruzione e la fotografia.
Quinto. Ha sbancato il botteghino, fatto insolito per una pellicola tricolore, battendo Barbie: tutti soldi che restano in Italia e, se il film della Cortellesi avrà successo anche all’estero, delle preziose entrate per la nostra nazione.
Affermato con piacere questo – e altri pregi se ne potrebbero trovare – vediamo i limiti di C’è ancora domani, peraltro evidenziati pure a sinistra.
Primo. Il film s’ispira al neorealismo e, in qualche modo, la Delia interpretata dalla Cortellesi vorrebbe essere una novella Anna Magnani. Ma i maestri del neorealismo riuscivano a fare (anche) denuncia sociale senza produrre opere a tema e con un messaggio esplicito. E la Magnani era davvero una popolana: figlia naturale di una sarta, era stata allevata dalla nonna e aveva dovuto affrontare mille difficoltà. La Cortellesi è apparsa sugli schermi sempre come una borghese, anche viziata.
Il manicheismo e la decontestualizzazione
Secondo: il manicheismo. La Cortellesi, con una serie di prese di posizione, s’è da tempo apertamente schierata nel campo del più discutibile progressismo politically correct. Tale ideologia imperante e che ha assorbito tutti i mass media, si caratterizza, oltre che per seguire pedissequamente i progetti delle élite, per suddividere le persone in campi distinti e contrapposti. Da una parte c’è il bene, dall’altro c’è il male. Per tale mentalità intollerante e a una dimensione, se si eliminassero – non importa come – coloro che sono congenitamente “cattivi”, il mondo sarebbe un paradiso.
I buoni sono le donne, gli immigrati, i neri, i giovani, gli omosessuali, le sinistre, i tecnocrati, gli ecologisti alla Greta, i cattolici bergogliani, gli islamici, i vaccinisti, i filoucraini, i palestinesi, ecc. ecc. I cattivi sono gli uomini, gli autoctoni, i bianchi, gli anziani, gli eterosessuali, le destre, chi rifiuta la dittatura tecnocratica e i custodi delle tradizioni, i “negazionisti climatici”, i cattolici non bergogliani, gli “islamofobi”, i “no vax”, i “putiniani”, gli israeliani “sionisti”, ecc. ecc. D’altro canto, è proprio sull’odio delle contrapposizioni e sul divide et impera che si fonda il Potere.
Nel film della Cortellesi tale separazione dell’umanità con l’accetta è tale che le donne sono splendide eroine e persino il buon soldato americano è di colore… E gli altri, sfortunatamente di sesso maschile? Violenti, pigri, sfruttatori, volgari, insensibili (e non è sessismo anche questo?)… Insomma, brutti, sporchi e cattivi, ma non nel significato sociologico del famoso film (1976) di Ettore Scola. Eppure, ieri come oggi, i lavori pesanti, pericolosi, faticosi, toccano ai maschi.
Contestualizzare l’epoca e la società, i costumi e la cultura? Neanche per sogno! È come se ci chiedessimo perché Talete e Pitagora non abbiano usato il computer e perché le donne afgane non comandino nel loro Paese!
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La manipolazione e la falsificazione
Terzo. In C’è ancora domani, a parte alcuni anacronismi, vi sono delle falsificazioni storiche. Ad esempio, alla fine si fa credere che il voto delle donne abbia contribuito alla vittoria della Repubblica nel referendum istituzionale e al successo delle sinistre. Al di là dei dubbi ancora aperti sugli esiti delle schede referendarie del 2 giugno 1946, è noto – e lo si vedrà per decenni nelle elezioni politiche successive – che l’elettorato femminile era ampiamente conservatore-moderato e votava prevalentemente Democrazia cristiana.
Soprattutto c’è una ricostruzione della famiglia del tempo lontana dalla realtà, secondo quanto abbiamo vissuto noi più anziani e secondo quanto riportato dai nostri nonni. Le tensioni marito-moglie e, magari, figli, erano presenti, come lo son state e lo saranno sempre, finché esisterà una famiglia. È la millenaria guerra dei sessi. Tuttavia, i casi di violenze domestiche erano rari e stigmatizzati dai vicini e dalla comunità (che ancora esisteva). Non solo, ma i parenti erano pronti a intervenire… Tant’è vero che gli assassinii domestici e quelli a sfondo sessuale erano molto minori di oggi.
Nelle famiglie (nonni, zii, cugini compresi) prevalevano l’amore (o, perlomeno, la solidarietà e la sussidiarietà), il rispetto tra i coniugi, la dedizione, il voler crescere i figli dando loro la possibilità di studiare e ascendere socialmente. Si credeva in princìpi e valori (quali onestà e fedeltà), c’era voglia di lavorare, di risparmiare, di costruire. Erano forti umanità, energia, valorizzazione delle piccole gioie, repressione dei vizi. E c’era il desiderio di costruire qualcosa di buono per se stessi, la propria famiglia e l’Italia intera. Si era ottimisti e si guardava con speranza al futuro. E questo accomunava destra, centro e sinistra. E non a caso tutte le coppie avevano da tre figli in su.
Ma cosa sono le famiglie odierne?
Ammettiamo pure che le famiglie “patriarcali” di una volta erano terribili, però anche nei confronti dei maschi (ricordate Padre padrone?). Ma come vanno giudicate, allora, quelle (poche) odierne? Sterili, introiettate su se stesse, isolate in una realtà sociale non comunitaria e disgregata, senza progetti per il futuro… I maschi sono timidi, complessati, insicuri, spesso spaventati da donne aggressive, mascolinizzate, se non orrende virago…
Gli odierni modelli sono influencer, cantanti rap o trap, star dello spettacolo, è accettato l’uso di droga, ogni trasgressione è buona, non si ha alcun spirito di sacrificio e tutti sono incollati allo smartphone, compresi papà e mamma coi loro tatuaggi e il tentativo di superare il proprio vuoto e mancanza di cultura con continui festeggiamenti e apericena.
Un film coraggioso? Certo, se fosse stato girato in Italia tra il 1945 e il 1960 o oggi in Afghanistan. Attualmente nei Paesi occidentali l’emancipazione della donna può dirsi quasi pienamente compiuta e il femminismo deteriore ha il coraggio di chi denuncerebbe nel 2024 le malefatte di Giulio Cesare, Attila o Napoleone…
L’arte deve essere bella senza per forza dover seguire l’onda massmediologica e del Potere lanciando messaggi politici ruffiani. Perciò è grande e universale Federico Fellini. La Cortellesi è brava, ma non nell’evitare di seguire mode e schemi del trend progressista radical chic…
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 217, gennaio 2024)