I delitti della terza via (pp. 184, € 14,00) è il primo thriller del narratore bolognese Davide Piazzi, sesta uscita della collana La scacchiera di Babele delle Edizioni di LucidaMente. In una Bologna invernale e ricoperta da un’imperscrutabile ovatta di neve, cominciano a ripetersi strani episodi di violenza, che riconducono a una sola mente tragicamente fuorviata. L’investigatore privato Giorgio Macchiavelli, detto “Macchia”, e l’amico Luciano Solmi, Lozzi, sedicente “psicologo”, si immergeranno sempre più addentro un territorio sinistro e tenebroso, di deriva e di orrore, costituito da labirinti tortuosi e ossificati come stratificazioni umbratili e contaminanti. Una città che ha fatto della gioia di vivere il proprio manifesto si trova così a scoprire vite parallele, pieghe oscure dell’esistenza, che nessuno vorrebbe esistessero o scorgere: la scoperta del male e della dolorosa crudeltà psicopatica, all’interno della quale anche vittima e carnefice possono risultare confusi.
Come assaggio, abbiamo scelto il finale dell’undicesimo capitoletto: Macchiavelli riceve un’allarmante telefonata.
Fu distolto dai propri pensieri dal suono del telefonino, che cominciò a squillare nello stesso istante in cui si accingeva ad aprire la porta e uscire dal palazzo.
“Pronto?”.
Dall’altra parte si sentiva solo un lontano rumore di automobili, finché non si udì anche una voce profonda scandire lentamente le parole:
“La terza via è aperta. La prossima volta ucciderò”.
La voce poi tacque, e si sentì in modo distinto il rombo di uno scooter in transito. Macchiavelli era rimasto esterrefatto, e non riusciva a reagire all’inattesa telefonata, come impietrito. Cercò di scuotersi e di riprendersi. Pensò a come poteva rispondere a quella voce. Il suono dello scooter proveniente dal telefonino si affievolì nel momento stesso in cui crebbe quello che l’investigatore sentì arrivare direttamente alle sue orecchie. Un ragazzo sfilò velocemente davanti a lui sulla parte opposta della carreggiata, col suo piccolo due ruote probabilmente truccato, e il casco appena appoggiato sulla testa, con la stupida irriverenza che spesso i giovani hanno nei confronti della vita.
L’investigatore capì all’istante: l’uomo doveva essere lì, nei paraggi. Pensò di far parlare ancora il suo misterioso interlocutore, sperando che questo stratagemma gli fornisse tempo a sufficienza per muoversi lungo il porticato e scoprire dove il delinquente si trovasse.
“Cosa sarebbe questa “terza via”? Chi l’ha aperta?”.
Funzionò.
“Davvero lo vuoi sapere? Sei sicuro che questo possa aiutarti a fare chiarezza?”.
Il tono era calmo, quello di chi ha un’enorme sicurezza, o di chi non ha più nulla da perdere: nemmeno la speranza.
“Pensi che potrebbe aiutarti a capire chi sono e a scoprire perché faccio tutto questo? E lo farò ancora, sai? Farò anche di peggio. Tu non mi puoi fermare, nessuno può farlo. Io non posso essere fermato, perché io non esisto più. Io sono solo dolore e rabbia”.
La telefonata si interruppe improvvisamente, regalando a Macchiavelli la stessa sensazione di gelo profondo, così come quando era cominciata. Nel frattempo si era allontanato parecchio dal punto in cui aveva parcheggiato l’automobile e continuava a muoversi guardingo, cercando di osservare tutto ciò che gli stava attorno, come se il suo nemico invisibile potesse materializzarsi da un momento all’altro alle sue spalle. Camminò per molto tempo e percorse avanti e indietro numerose volte la piccola via in cui si trovava, guardando dietro a ogni colonna, cercando un ombra o una sagoma da inseguire. Scrutando nelle vie che, da quella in cui era, si diramavano in una selva di strade e portici, ma non scorse nulla.
L’oscurità ancora una volta aveva nascosto la preda agli occhi del suo predatore.
(da I delitti della terza via di Davide Piazzi, Edizioni di LucidaMente)
L’immagine: Bologna fantastica (olio su tela, 2004) di Jvonne (Ivonne Paganelli).
Loretta Scipioni
(LucidaMente, anno II, n. 5 EXTRA, supplemento al n. 17, 15 maggio 2007)