Di fronte all’attuale imbarbarimento culturale, sociale e civile, forse era migliore l’Italia del Secondo Dopoguerra. Le profetiche parole di Longanesi, Pasolini e Arminio
Sembra ormai chiaro che il concetto di progresso è una fallace costruzione intellettualistica e che non sempre ciò che vien dopo è migliore del prima, né il più del meno, né che le scoperte scientifiche e le loro applicazioni tecniche arrecano davvero un miglioramento nella qualità della vita di tutti (vedi L’inganno dell’idea di progresso). Oggi è sotto gli occhi di ciascuno l’attuale imbarbarimento culturale, civile e sociale, che la tanto decantata globalizzazione è riuscita a estendere a tutto il Pianeta.
Il neocapitalismo che distrugge ogni cultura e tradizione
L’ideologia capitalista dell’arricchimento a tutti i costi, del consumismo, delle apparenze, degli sprechi, non solo ha già da tempo spazzato via ciò che restava della vecchia civiltà popolare occidentale, europea, italiana, ma sta contaminando, se non distruggendo, pure le altre civiltà (cinese, giapponese, indiana, latinoamericana, africana), e persino le più “resistenti”, come quella islamica o russa. La punta dell’iceberg sono le metropoli, dove migliaia di giovani, di ogni etnia e provenienza geografica e religiosa, appaiono come sbandati accomunati dal mito degli oggetti-status symbol, dalla sfrenatezza sessuale con la donna-oggetto, dall’appartenenza tribale per bande, dall’assoluto rifiuto non solo della cultura “alta”, ma anche di quella dei loro avi. La maggior parte frequenta o ha frequentato istituti scolastici; ma cosa vi hanno imparato? Senza voler addossare tutte le responsabilità a scuole e docenti, la cultura che circola per le aule scolastiche è costituita prevalentemente da un annacquato buonismo politically correct, pertanto dalla perdita della cultura nazionale; e s’insegna pure che occorre adattarsi al neoliberismo: insomma, come fare soldi fregando il prossimo…
Ci sarà chi replicherà che il benessere e l’istruzione raggiunti oggi sono ben superiori a quelli dell’Italia uscita malissimo dal Secondo Dopoguerra. Vero e falso allo stesso tempo. Certo, c’è meno analfabetismo assoluto (ma quello funzionale di chi fa frequentato le scuole è ben maggiore che nel passato). E ricordate i tanti anziani che sapevano recitare a memoria, in tutto o in parte, l’Iliade, l’Odissea o la Divina commedia? Magari conoscevano solo quelle opere, ma – crediamo – anche una sola di loro può bastare. Certo, siamo circondati da cibo e oggetti da acquistare, ma la precarizzazione del lavoro e la gig economy rendono tutto ansiogeno ed effimero. E, se sei in difficoltà, sei solo e isolato: manca quella rete di protezione famigliare, amicale, sociale, parrocchiale, quello spirito comunitario che consentiva a quasi tutti di non finire in strada. Si poteva essere poveri (e lo si era quasi tutti), ma non miserabili e disperati. Senza dire di luoghi e natura incontaminati.
La malinconia di scrittori e poeti per il “nuovo che avanza”
Beninteso, nessuna nostalgia acritica di altre epoche, tuttavia, ci fa piacere citare alcuni pensieri di chi ha presagito già in tempi lontani o attuali il disfacimento cui ci avrebbe condotto l’ingresso prepotente e forzato nelle vecchie culture della mentalità capitalistico-americana, oggi divenuta ancora più futile e spietata col neoliberismo. Ne ha riportati alcuni Vittorio Sgarbi nel suo Viaggio nell’Italia che ha perso se stessa, in Panorama, n. 51, 14 dicembre 2022), altri li richiameremo noi. Nel 1957, poco prima di morire, scriveva Leo Longanesi: «La miseria è ancora l’unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria. Dove essa è sopraffatta dal sopraggiungere del capitalismo, ecco che si assiste alla completa rovina di ogni patrimonio artistico e morale. Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato, nemico di tutto ciò che lo ha preceduto e che l’umilia. La sua ricchezza è stata facile, di solito nata dall’imbroglio, da facili traffici, sempre o quasi, imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò, quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui non conosceremo più né il volto né l’anima». L’ultima, profetica, frase fa venire i brividi.
In tale ambito non poteva mancare il più lucido intellettuale “reazionario” italiano del XX secolo: Pier Paolo Pasolini. Nella poesia del 1962 10 giugno, inserita nella raccolta Poesia in forma di rosa (1964), scriveva: «Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d’altare, dai borghi / abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, / dove sono vissuti i fratelli». Ma anche oggi esistono poeti sulla stessa linea. Uno di questi è il lucano Franco Arminio, che ha scritto proprio a Pasolini un’immaginaria lettera (Ti scrivo. La poesia è dei santi e delle bestie) a quarant’anni dal suo omicidio: «[…] Ti bruciava l’Italia clericale e consumista, ti bruciavano gli allineati, i pavidi. Ora nella nostra nazione tutte queste fiamme non ci sono più. Solo fumo, colonne di fumo si alzano da ogni parte, dalle colonne dei giornali e dalle nicchie della Rete, dai centri di potere, ma anche dalle lande della disperazione. Quello che tu chiamavi fascismo ha assunto un’altra forma e i nuovi poveri sono poveri anche quando hanno da mangiare».
Pesci senza mare…
E continua: La novità di questi anni è l’autismo corale, una sorta d’invalidità di massa, dove ognuno fa la manutenzione della sua solitudine. Anche per te oggi sarebbe difficile individuare i nemici, trovare la faglia dove gli scoraggiatori militanti si contendono lo spazio con gli incoraggiatori. In ogni luogo c’è un conflitto tra innovatori e conservatori, ma è tutto avvolto nel fumo, non si vede quasi niente, è come se nell’Italia di oggi fosse interdetta la possibilità di vedere […]». Segue una poesia, dai cui versi estraiamo: «L’Italia di oggi / ha perso miseria e garbo, / ha perso l’altezza e la bassezza, / è tutto un via vai di pensieri / a mezz’aria, perfino nei corpi / a volte non c’è storia». Ma la stragrande maggioranza di poeti, narratori, scrittori, saggisti, si colloca altrove: se vuoi far parte del ristretto mondo dell’intellighenzia à la page, devi essere radical chic, devi allinearti al non-pensiero politicamente corrotto. Arminio offre un quadro perfetto della realtà della cultura odierna: «Una volta c’era la letteratura e poi c’erano gli scrittori. Immaginate pure un mare con i pesci dentro. Adesso ci sono solo i pesci, tanti, di tutte le taglie, ma il mare è come se fosse sparito». Terribile allegoria.
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 206, febbraio 2023)