Sono tante le notizie che circolano in rete sull’argomento. Ma quali sono quelli attualmente autorizzati, come sono composti e quali interessi economici ci sono dietro?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su alcune questioni legate al business delle vaccinazioni, soprattutto in quest’epoca segnata dalla pandemia da Covid-19. È una verità triste da affermare, ma legato alla salvaguardia della salute umana c’è un interesse economico di non poco conto. Il nostro compito è di fornire informazioni scientificamente corrette, dopodiché sta all’intelligenza di ciascun cittadino approfondire le tematiche di proprio interesse.
Innanzi tutto chiariamo che la funzione del vaccino è quella di stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi contro l’ospite indesiderato. Ad avere il compito di valutare e verificare i vaccini prima che vengano commercializzati è l’Agenzia europea per i medicinali (Ema). Per poterne validare uno ci sono delle fasi da rispettare, per testarne sia l’efficacia sia gli eventuali effetti collaterali. Dopo quella preclinica testata in laboratorio e su animali detta prefase, le fasi di sviluppo di un vaccino sono quattro, e sono testate sull’uomo: la prima consiste nell’esaminare le reazioni al vaccino su un ristretto numero di volontari, verificare i dosaggi ed eventuali effetti collaterali; la seconda prevede la somministrazione a centinaia di volontari, monitorandone gli eventuali effetti collaterali; in caso di superamento si passa poi alla terza fase, coinvolgendo migliaia di volontari e valutando a quale gruppo di popolazione e fascia d’età è somministrabile il vaccino.
Infine, vi è la quarta fase e ultima fase. Essa è detta di follow up, nel corso della quale si accertano in maniera regolare eventuali effetti collaterali e si appura la tollerabilità del vaccino nei gruppi di popolazione non inclusi negli studi precedenti. Sulla base dei vaccini oggi sviluppati non si sa ancora quanto durerà l’effetto dell’immunizzazione dal Covid-19. Si profila anche l’ipotesi che il vaccino debba essere ripetuto annualmente come quello antiinfluenzale. Specifichiamo che sono tanti i vaccini in corso di sperimentazione contro il virus Sars-CoV-2 ma, nel momento in cui stiamo scrivendo il presente articolo, quelli autorizzati sono otto.
Essi provengono da Cina (3), Russia (2) e Usa (2, realizzati da Moderna e Pfizer-BioNTech), e Inghilterra (sviluppato da AstraZeneca di Oxford). I vaccini che, ad oggi, hanno fatto richiesta di omologazione sono: il Comirnaty, della tedesca BioNTech con la statunitense Pfizer, approvato dall’Ema, quindi autorizzato pure dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) il 22 dicembre 2020 per vaccinare soggetti di età pari o superiore a 16 anni (con due somministrazioni fatte a distanza di 21 giorni); quello della statunitense Moderna, che il 6 gennaio 2021 ha avuto l’ok dall’Ema e il 7 dall’Aifa per la prevenzione della malattia Covid-19 nei soggetti di età pari o superiore a 18 anni, con due somministrazioni a distanza di 28 giorni l’una dall’altra; l’Oxford-AstraZeneca, realizzato in collaborazione con l’Irbm Spa di Pomezia (Roma), al quale l’Ema ha detto sì il 29 gennaio, seguito a ruota il giorno successivo dall’Aifa. È prevista una dose di richiamo. Il regolatore dell’Unione ha deciso di dare l’ok al composto per tutte le fasce di età al di sopra dei 18 anni, mentre dubbi sono stati espressi sull’efficacia del vaccino per fasce d’età over 55 per i quali ancora non ci sono risultati sufficienti e per i quali potrebbero essere suggeriti altri tipi di vaccino. Il vaccino ha un’efficacia del 60%, dunque di gran lunga minore rispetto al 95% di Pfizer e Moderna, ma secondo gli esperti europei coloro che nel corso della fase di sperimentazione hanno contratto il virus nonostante l’immunizzazione non hanno sviluppato sintomi gravi. Consideriamo pure che l’Oxford-AstraZeneca costa circa 3 euro a dose, circa un decimo del prezzo di mercato di Moderna e Pfizer.
I primi due (di Pfizer e Moderna) si basano su una tecnologia all’avanguardia, sono cioè a Rna messaggero (mRna). Si prende un pezzettino dell’mRna del coronavirus, laddove è contenuta l’informazione della proteina spike e lo si chiude in una nanoparticella costituita da diversi lipidi che viene iniettata in una cellula ospite del muscolo deltoide; qui la bolla si scioglie e libera l’mRna che viene captato dal ribosoma che raccoglie l’informazione, la legge e la traduce nella proteina spike. Tale proteina non causa l’infezione ma da ora in poi sarà riconosciuta dall’organismo che attiva gli anticorpi contro di essa. Anche il vaccino realizzato da Moderna sfrutta questa tecnologia conosciuta già da dieci anni ma che non ha beneficiato prima della pandemia da Covid-19 degli investimenti necessari. Il grado di protezione è superiore al 90% nel primo caso (Pfizer) solo dopo la seconda vaccinazione, mentre i primi risultati della III fase clinica per il vaccino prodotto da Moderna mostrano un’efficacia del 94%.
Il vaccino prodotto da AstraZeneca sfrutta invece l’adenovirus di uno scimpanzé come vettore (in passato usato già per la produzione di vaccini contro ebola, malaria, hiv, epatite C). Nessuno di questi vaccini è prodotto con feti umani, come alcune fake news che circolano su internet lasciano intendere, neanche quello sviluppato dall’azienda Reithera di Castel Romano (Roma), controllata da una società svizzera, la Keires Ag, con sede a Basilea. Essa, in collaborazione con l’Istituto Spallanzani di Roma, ha realizzato, prodotto e brevettato il 24 agosto 2020 la sua arma contro il virus Sars-CoV-2, il vaccino GRAd-CoV2, operazione finanziata dalla Regione Lazio e dal Miur.
La fase I per questo vaccino made in Italy sperimentata su 100 volontari si è conclusa con un 94% di successo. Per le fasi II e III delle sperimentazioni serviranno almeno altri sei mesi. Come il vaccino prodotto da AstraZeneca, anche quello italiano è realizzato con la tecnologia del vettore virale ma, a differenza di altri, le dosi italiane sono state utilizzate a partire dall’adenovirus del gorilla. Il collegamento tra questi due è costituito dal fatto che la presidentessa della Reithera, Antonella Folgore, immunologa sviluppatrice del vaccino italiano, è anche fondatrice dell’italiana Okairos e già nella Irbm di Pomezia (che, come detto, collabora con AstraZeneca e l’Università di Oxford). Come funziona il vaccino italiano? L’adenovirus di gorilla serve come navicella su cui innestare GRAd-CoV2, che ha come bersaglio la proteina spike; un vettore dunque innocuo per l’uomo ma che riesce a stimolare la produzione di anticorpi e l’attività delle cellule immunitarie. Questo adenovirus viene comunque modificato grazie a sofisticate tecniche per renderlo innocuo e azzerarne la capacità di replicazione. Al suo interno, solo dopo le opportune modifiche, viene inserito il gene della proteina S del Sars-CoV-2, il principale bersaglio degli anticorpi prodotti dall’uomo quando il virus penetra nell’organismo. Iniettando così nell’uomo tale virus modificato contenente la proteina S, quest’ultima, raggiunta la cellula, stimola la produzione di anticorpi contro la malattia.
Passiamo ora al lato politico ed economico della questione: il primo vaccino in assoluto è stato creato in Cina pochi mesi dopo la scoperta. La società privata cinese CanSino Biologics, con l’Istituto di biologia dell’Accademia delle scienze mediche militari del Paese, aveva sviluppato un vaccino (Ad5ncov) basato su un adenovirus (come AstraZeneca e Sputnik V), una versione indebolita di un comune virus del raffreddore. Esso è stato geneticamente modificato in modo da impedirne la replicazione negli esseri umani e a cui è stato aggiunto il codice genetico per fornire istruzioni per la produzione della proteina spike del coronavirus, e la conseguente formazione di anticorpi contro essa, la stessa che si trova sulla superficie dei coronavirus. Poi partì la sperimentazione di altri due vaccini cinesi (Sinovac e Sinopharm) basati sulla tecnologia del virus inattivato (ossia coltivando il virus Sars-CoV-2 in colture cellulari e inattivandolo chimicamente). L’istituto brasiliano Butantan ha affermato che il vaccino Coronavac (dell’azienda cinese Sinovac, virus intero inattivato chimicamente) ha un’efficacia del 78% per le forme lievi e del 100% per quelle gravi. Lo si può conservare in frigorifero ed è facilmente gestibile. Anche quello cinese sviluppato da Sinopharm, rispetto agli statunitensi di cui abbiamo parlato prima, Pfizer e Moderna, e anche rispetto al russo Sputnik V (a vettore virale con efficacia del 90%), ha una efficacia minore ma di sicuro minor costo e migliore trasportabilità.
A differenza degli Usa e dell’Europa la Cina non ha bisogno di vaccino per uscire dalla fase critica della pandemia perché al suo interno non sussistono più condizioni critiche e vuole rientrare nel mercato dei vaccini. Ricordiamo che, dopo la dichiarazione fatta lo scorso aprile 2020 dall’allora presidente americano Donald Trump sulla sua uscita dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della Sanità, ritenuta responsabile di non aver agito con tempestività e di aver nascosto per un certo periodo la responsabilità della Cina nella diffusione del virus), a maggio il presidente cinese Xi Jinping annunciò di voler donare due miliardi all’Oms e che, se la Repubblica popolare cinese avesse scoperto un proprio vaccino, lo avrebbe reso un bene pubblico.
A luglio Trump ufficializzò la sua uscita dall’Organizzazione, mentre ora il neopresidente Joe Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti vi si uniranno di nuovo dal primo giorno del suo mandato. A ottobre 2020 il presidente cinese ha iscritto la Cina alla Covax Facility (iniziativa di Gavi, Cepi e Oms), che favorisce l’accesso ai vaccini ai Paesi più poveri. A questa alleanza non si sono uniti gli Stati Uniti di Trump. L’operazione governativa Warp Speed ha investito miliardi di dollari per la produzione di vaccini statunitensi ed esteri. L’Agenzia europea del farmaco ha espresso chiaramente la sua posizione nei riguardi dei vaccini cinesi dando priorità assoluta a quelli in sperimentazione in Europa. Intanto, vista la bassa circolazione del virus in Cina, i trial clinici dei vaccini cinesi sono stati fatti in Paesi esteri come Egitto, Emirati arabi uniti, Indonesia, Pakistan e Turchia, snodi chiave della Belt and Road Initiative (Bri), nota anche come Nuova Via della Seta, un piano di investimenti e infrastrutture che lega gli interessi commerciali della Cina a oltre 100 Paesi, compresa l’Italia. Trial clinici che sono stati svolti anche al di là dell’Oceano Atlantico, in Argentina, Brasile, Cile (quest’ultimo partner della Bri) e Messico. Che i vaccini siano diventati un grande business è palese ma spesso, quando gli interessi economici sono di una certa entità, si perdono di vista quelli più importanti legati alla salute dei cittadini.
Dora Anna Rocca
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 182, febbraio 2021)