Alle votazioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo si prevede un forte astensionismo e l’avanzata della destra radicale, ma la politica comunitaria non sembra destinata a mutare. Intanto sulla Ue torna ad aleggiare l’ombra di Draghi
Le votazioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo si svolgeranno tra il 6 e il 9 giugno prossimi e coinvolgeranno tutti gli elettori delle 27 nazioni dell’Unione europea. Alle urne saranno chiamati circa 373 milioni di cittadini che sceglieranno 720 deputati, suddivisi tra gli stati membri in base alla popolazione residente.
L’Italia avrà a disposizione 76 seggi, da assegnare proporzionalmente in cinque circoscrizioni (nord-occidentale, nord-orientale, centrale, meridionale, insulare) ai partiti che raggiungeranno su scala nazionale almeno il 4% dei voti. Presso il Ministero dell’Interno sono stati depositati i contrassegni di 42 liste, molte delle quali però saranno cassate dalla Commissione elettorale o ammesse solo in qualche circoscrizione (vedi Europee 8-9 giugno 2024 – Deposito contrassegni 21-22 aprile 2024).
Affluenza bassa e clamorose sorprese
I cittadini italiani hanno sempre manifestato un interesse ridotto per le votazioni europee, con un’affluenza ai seggi più bassa rispetto ad altre consultazioni elettorali. Esse, tuttavia, soprattutto nell’odierno contesto, rivestono un indubbio valore politico. Inoltre, in passato, nel Belpaese hanno riservato talvolta qualche clamorosa sorpresa. Nel 1984, ad esempio, il Partito comunista italiano raggiunse il 33,33%, superando la Democrazia cristiana (32,96%). Nel 2014 il Partito democratico trionfò con il 40,81% dei suffragi, mentre nel 2019 la lista più votata risultò la Lega per Salvini premier (34,26%).
I dati della Supermedia YouTrend/Agi – aggiornati al 18 aprile e stilati in base ai sondaggi di nove istituti demoscopici – indicano come primo partito Fratelli d’Italia (27,2%), seguito dal Pd (19,8 %) e dal Movimento cinque stelle (16,3%). Forza Italia è stimata all’8,5% (ma insieme a Noi moderati arriva al 9,4%), mentre la Lega si ferma all’8,2% (vedi Supermedia YouTrend/Agi: FdI al minimo da quando c’è il governo Meloni).
Le liste minori rischiano il flop
Le liste minori rischiano di non raggiungere lo sbarramento del 4%, introdotto nel 2009 da un “inciucio” tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. I sondaggi attuali prevedono che possa farcela la coalizione Stati uniti d’Europa (formata da Italia viva e +Europa), mentre Alleanza Verdi e Sinistra e Azione – Siamo europei sono stimate poco al di sotto della soglia.
Lontane dal quorum, invece, risultano le altre liste come Alternativa popolare (coordinata da Stefano Bandecchi), Democrazia sovrana e popolare (diretta da Marco Rizzo e Francesco Toscano), Libertà (costituita da Cateno De Luca che ha riunito 19 sigle), Pace terra dignità (promossa da Raniero La Valle e Michele Santoro), Partito animalista – Italexit per l’Italia e i neocomunisti del Partito comunista italiano (guidati da Mauro Alboresi). Non è servita, quindi, la lezione impartita dalle elezioni politiche del 2022, allorché i piccoli partiti hanno disperso il 6,45% dei voti (vedi Masochismi elettorali vecchi e nuovi).
L’élite finanziaria controlla la politica
Il proliferare delle liste minori si spiega soprattutto con la crisi dei partiti di massa che, oltre ad accrescere l’astensionismo, ha favorito anche l’avvento di nuove aggregazioni politiche, trasversali rispetto agli schieramenti tradizionali e senza una precisa identità. Non vanno, tuttavia, trascurati i tratti caratteriali dei leader politici odierni, che spesso si dimostrano autoreferenziali, narcisisti e supponenti. Molti di loro si comportano come meteore che tracciano effimere parabole nel firmamento, schiantandosi al suolo subito dopo l’inevitabile declino.
Il mondo occidentale è entrato da tempo in un’era postdemocratica e, anche se formalmente si mantengono il multipartitismo e le competizioni elettorali, «la politica viene decisa in privato dall’integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici» (Colin Crouch, Postdemocrazia, Laterza). Le scelte importanti, infatti, «non vengono prese nei palazzi istituzionali, ma nei consigli di amministrazione di colossi finanziari» (Alessandro Di Battista, Scomode verità, PaperFirst).
Sulla Ue aleggia l’ombra di Draghi
Il Parlamento di Strasburgo ha poteri limitati, poiché è la Commissione europea a dettare le linee guida della Ue all’insegna dell’atlantismo e del neoliberismo. Alle elezioni di giugno è prevista l’avanzata della destra radicale, ma la politica comunitaria non sembra destinata a mutare, perché è acclarato che anche i cosiddetti partiti antisistema – quando vanno al potere – spesso si conformano ai dettami di Bruxelles e Washington. Nel mondo odierno, infatti, si fa carriera venendo cooptati dall’élite dominante all’interno di «una ragnatela che ti avvolge e ti rende compatibile o funzionale al mantenimento dell’equilibrio» (Luciano Canfora – Gustavo Zagrebelsky, La maschera democratica dell’oligarchia, Laterza).
Ursula von der Leyen – attuale presidente della Commissione europea – vorrebbe un secondo mandato, ma intanto sulla Ue torna ad aleggiare l’ombra minacciosa di Mario Draghi (vedi Gianni Rosini, Da Orban a Renzi, tutti i complimenti per il “candidato” Draghi. E se fosse davvero lui il successore di von der Leyen?).
Le immagini: bandiere dell’Unione europea (foto concesse a titolo gratuito da www.pexels.com; autori: Marco e, dal cupo, funereo colore nerastro, eberhard grossgasteiger); le copertine dei libri di Colin Crouch e di Alessandro Di Battista (foto dello stesso autore del presente articolo).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente 3000, anno XIX, n. 221, maggio 2024)