L’amore sessuale e l’amicizia furono tra i temi prediletti dagli intellettuali greci e latini. L’avvento del cristianesimo, tuttavia, trasformò i valori morali e i costumi sociali, influenzando in senso religioso la cultura del Tardo impero e del Medioevo
Gli intellettuali antico-pagani hanno attribuito grande rilevanza ai concetti di eros e philia. Alcuni filosofi presocratici, in particolare, hanno inteso il primo come «una forza unitiva e armonizzatrice» che si estrinseca nelle forme «dell’amore sessuale, della concordia politica e dell’amicizia» (Nicola Abbagnano – Giovanni Fornero, itinerari di filosofia, vol. 1, Paravia). Esiodo lo ha considerato una delle divinità primordiali «che eccelle fra gli dèi immortali» (Teogonia, Einaudi). Empedocle lo ha annoverato tra i principi dell’universo, asserendo che «acqua, aria, terra e fuoco sono mossi e governati da due forze cosmiche l’Amore e l’Odio: l’una aggrega, l’altra disgrega» (Giovanni Reale – Dario Antiseri, Storia della filosofia, vol. 1, La Scuola).
Il Simposio di Platone
Platone ha formulato, invece, una concezione antinaturalistica dell’amore. Nel Simposio (Diogene multimedia) egli immagina un dialogo tra sei personaggi (Agatone, Aristofane, Erissimaco, Fedro, Pausania e Socrate) che discutono sulla natura di Eros. Fedro lo definisce come «uno degli dèi più antichi» che guida l’uomo «sulla via della virtù e della felicità», mentre Pausania distingue l’amore volgare, «proprio degli uomini da poco» che bramano solo i corpi, da quello spirituale che induce ad amare «il carattere di una persona per le sue alte qualità».
Erissimaco, a sua volta, giudica Eros una forza cosmica, esaltandone «la molteplice, l’immensa o piuttosto l’universale potenza». Aristofane, invece, afferma che i primi uomini erano ermafroditi «terribilmente forti e vigorosi» tanto da sfidare gli dèi. Zeus, tuttavia, li ha sottomessi e separati in due esseri distinti, infondendo in ognuno di loro «il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura».
Il discorso di Socrate
Il dialogo prosegue con Agatone, il quale tesse l’elogio di Eros e lo definisce «il più felice» nonché «il più bello e il migliore» degli dèi, che «non fa né subisce ingiustizia» ed «è pieno di attenzione verso i buoni».
A questo punto del Simposio, però, prende la parola Socrate che critica le visioni false o edulcorate fornite dai suoi interlocutori, rivelando quanto gli ha svelato la filosofa e sacerdotessa Diotima. L’amore – in verità – è un demone «né immortale né mortale», figlio di Poros (dio dell’abbondanza e dell’ingegno) e di Penìa (dea della povertà). Egli «non è affatto delicato e bello», ma «cerca sempre ciò che è bello e buono» e inoltre «desidera il sapere», poiché «vive […] tra la saggezza e l’ignoranza». Eros, dunque, «gioca un ruolo di mediatore, riuscendo a rappresentare simbolicamente la condizione del filosofo, sempre sospeso tra ignoranza e sapienza» (Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile, Bompiani).
L’eros platonico
Diotima, quindi, distingue i vari gradi dell’amore, secondo una scala ascensiva che permette di acquisire forme sempre più elevate di bellezza e sapienza: dai corpi si passa all’anima, poi alle istituzioni e alle leggi, infine alla scienza e al sapere filosofico. Quest’ultimo consente di contemplare la bellezza «eterna, senza nascita né morte», cioè l’idea del bello che è posta al culmine dell’“iperuranio” e costituisce il caposaldo dell’intera metafisica platonica.
Alla fine della discussione giunge Alcibiade che dichiara il proprio amore verso Socrate e ne loda le virtù intellettuali e morali. Proprio le sue parole consentono di capire la libertà dei costumi presente ad Atene nel IV secolo a.C., sebbene essa fosse riservata prevalentemente all’aristocrazia maschile. Nell’antica Grecia, infatti, le donne e gli schiavi non godevano di alcun diritto (vedi Valentina Paze, La diseguaglianza degli antichi e dei moderni. Da Aristotele ai nuovi meteci).
L’amicizia secondo Aristotele ed Epicuro
Aristotele – a differenza di Platone – ha dato grande rilevanza alla philia, perché «è una virtù o è accompagnata da virtù, ed è […] assolutamente necessaria alla vita» (Etica nicomachea, Bompiani). Negli Analitici primi, inoltre, ne ha sancito la superiorità sull’eros, poiché «l’essere amato è più desiderabile del contatto fisico. L’amore tende così all’amicizia piuttosto che al contatto fisico» (Organon, Einaudi).
Una concezione analoga è presente in Epicuro, che nelle Massime capitali ha vergato questo noto aforisma: «Di tutti i beni che la saggezza ci porge per la felicità di tutta la vita, sommo sopra ogni altro è l’acquisto dell’amicizia» (Opere, Laterza). L’attività sessuale – a suo avviso – rientra nei piaceri naturali, ma non in quelli necessari, poiché provoca turbamento e impedisce di raggiungere il “piacere catastematico” che consiste – come si legge nella Lettera a Meneceo – nel «non soffrire in quanto al corpo e non essere turbati in quanto all’anima» (Ivi).
Eros e philia a Roma
A occuparsi di eros e philia nella società romana sono stati in prevalenza i letterati, soprattutto verso la fine dell’età repubblicana, quando crollarono i valori tradizionali legati al mos maiorum (vedi Amore e sesso nell’antica Roma). Infatti, molti poeti e storici latini (Apuleio, Catullo, Ovidio, Petronio, Svetonio, ecc.) hanno raccontato vicende erotiche nelle proprie opere. Non sono mancati, inoltre, gli illustri personaggi politici dai gusti bisessuali (Adriano, Cesare, Traiano, ecc.) o le matrone fedifraghe e sensuali (Atilia, Clodia, Giulia maggiore, Sempronia, ecc.).
Anche la philia, del resto, ha goduto di buona salute presso la cultura romana, grazie a Cicerone, autore del De amicitia (Newton Compton), e a Seneca. Il filosofo neostoico, in particolare, ha esaltato nelle Lettere a Lucilio il valore della filantropia, sostenendo che «la natura ci ha creati fratelli», poiché «ci ha infuso un amore reciproco e ci ha fatto socievoli» (Tutte le opere, Bompiani).
I mutamenti indotti dal cristianesimo e i fabliaux medievali
L’avvento del cristianesimo ha trasformato i valori morali e i costumi sociali del mondo antico-pagano, soprattutto dopo l’editto di Tessalonica (380 d.C.) che impose il credo niceno come unica religione pubblica. La Chiesa – inculcando nei fedeli il senso del peccato – ha influenzato la cultura del Tardo impero e del Medioevo. La philia e l’eros cedettero quindi il posto alla caritas e all’agape, grazie principalmente ad Agostino d’Ippona che nell’opera La città di Dio (Mondadori) consacrò l’«amore di Dio», fondamento della «Città celeste», contrapponendolo all’«amore di sé», caposaldo della «Città terrena».
L’interesse letterario per l’erotismo, tuttavia, non scomparve del tutto. Nell’età medievale, infatti, si mantenne vivo grazie ai fabliaux, brevi racconti piccanti e satirici, che si possono considerare come i precursori del Decameron di Giovanni Boccaccio (vedi Ciro Ranisi, Erotismo e comique all’ombra delle cattedrali: i fabliaux medievali).
Le immagini: in apertura foto di Alp Ar Tunga Jabbarli (concessa a uso gratuito per pexels.com); raffigurazione del dio Eros (autore OpenClipart-Vectors, concessa a uso gratuito per https://pixabay.com); veduta dell’Acropoli di Atene e della collina del Licabetto (foto dell’autore); veduta dei Mercati traianei a Roma (foto dell’autore).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente 3000, anno XVIII, nn. 211-212, luglio-agosto 2023)