Originale il collegamento storico e ideale movimenti-volontariato elaborato da Gualtiero Via nel suo libro “Scomodi e organici”, edito da Pendragon
Non si trattava solo di “modernizzare” antiquati usi e costumi; non si trattava solo di contestare alcune retrive istituzioni o di proporre cambiamenti e riforme: «Negli stessi anni in luoghi diversi ed eterogenei, più persone diedero vita a proteste convinte e radicali che contestavano non già solo singole situazioni o decisioni, ma l’intero ordine simbolico che sottostava ad esse».
Così i movimenti di “contestazione giovanile” della seconda metà del XX secolo, con una sintesi efficace e chiara di una loro fondamentale peculiarità, vengono delineati da Gualtiero Via nel suo interessante – anche se non sempre ordinato, compatto e lineare – saggio Scomodi e organici. Movimenti, volontariato e politica nella costruzione dell’Italia contemporanea (Pendragon, pp. 176, € 15,00). Gli obiettivi erano nobili e, se vogliamo, erano quelli di sempre, da parte di chi crede che l’umanità possa migliorare e non sia condannata a vivere in un mondo che “è sempre stato così e sempre lo sarà” (cioè fondato su violenza, sopraffazione, ingiustizia, ipocrisia, infelicità): «Una società egualitaria, meno governata dal profitto e dal denaro, non repressiva e conformista, non bigotta, in una parola: una società nuova e diversa».
Insomma, «molto stava cambiando, nell’Italia e nel mondo intero: forse non già le strutture economiche ma sicuramente le coscienze e i comportamenti. Si potrebbe subito aggiungere, però, che le istituzioni e la politica italiana non sembravano molto capaci di trarre impulso e principio d’azione da quei cambiamenti […]. La classe dirigente si mostrò in grado di resistere con efficacia alle ondate della contestazione, senza dover rinunciare alle proprie posizioni, mentre le forze di sinistra non seppero trarne forza per la loro azione». Dunque, in Italia, a questo bisogno estremo (ma anche “estremista”) di migliorare la realtà non solo non venne data legittimità, ma neanche una benché minima udienza: «La contestazione non trovò un suo termine ed una sua risposta oggettiva, un principio di realtà di carattere, se vogliamo, moderno e borghese (come avvenne in altri paesi, dove i giovani sedicenti rivoluzionari non furono più di tanto presi sul serio come tali, ma le istituzioni che avevano scricchiolato furono riformate […])».
La volontà repressiva del potere politico italiano dell’epoca, imperniato sulla conservatrice Democrazia cristiana (Dc), unita alla scarsa comprensione dei partiti storici della sinistra, in primis il Partito comunista italiano (Pci), non colsero un’occasione storica: «Vedere o voler vedere nemici e complotti ovunque è dei deboli e degli immaturi, vedere (o almeno sforzarsi di farlo) le cose per come esse sono è delle persone mature e responsabili. Dipingere, infine, nemici e complotti ad arte dove essi non sono, o manovrare affinché piccoli gruppi estremisti possano diventare grande e nazionale minaccia, è da criminali politici». Così si agevolarono le derive ideologiche utopiste e violente e, quindi, tante tragedie di violenza e sangue: «Il picco di violenza terroristica fece il deserto di quella che era stata, a prescindere dai risultati, una grande stagione di diffusa partecipazione politica e sociale non solo giovanile».
Gualtiero Via, oltre a fornire un sintetico quanto efficace affresco dei movimenti di protesta degli anni Sessanta-Settanta e dell’intera epoca, ma anche di quelli antecedenti e più recenti, intende formulare una tesi abbastanza originale. Vale a dire la relazione tra volontariato e movimenti collettivi come specificità “di lunga durata” nella storia del nostro Paese. Tutto ciò a partire da un brano de L’Italia contemporanea (1918-1948) di Federico Chabod: «Il volontariato è un fenomeno tipico della storia d’Italia», risalente alle sue stesse origini. Lo storico valdostano si riferiva ai patrioti che parteciparono volontariamente a rivolte, insurrezioni, guerre, con fini civili e ideali, dai moti del 1820-21 alla Prima guerra mondiale; l’autore di Scomodi e organici allarga il concetto estendendolo a chi (compresi i partigiani del 1943-45), nel politico o nel sociale, si impegna supplendo a uno Stato che è assente o, peggio, immobile o retrivo: anche questo un fenomeno italiano purtroppo costante.
Quali speranze per il futuro? Riportiamo uno dei passi conclusivi della pubblicazione di Via, secondo il quale il «nodo insoluto è innanzitutto un problema di direzione politica, prima e più che di assetti statuali, costituzionali, da definire e consolidare. Quest’ultima esigenza – che ci pare debba coincidere con quella di avere uno stato realmente efficiente ed equo, autorevole, basato su un largo ed effettivo consenso – potrà essere soddisfatta solo se si risolverà il problema principale. Se si trova una soluzione al problema dell’assenza (o insufficienza) di direzione politica, si possono rimettere in circolo e rendere agenti energie che sono invece del tutto ai margini, o girano a vuoto in cliché movimentistici e attivistici magari generosi, ma incapaci di determinare una reale alternativa politica, un vero ricambio. […] I “volontari” di oggi, almeno una parte di essi, sono inattivi, o dispersi in mille rivoli puramente locali, per mancanza di alternative credibili, non per vocazione interiorizzata alla minorità e all’irrilevanza».
Le immagini: copertina del libro di Gualtiero Via e foto di repertorio del Sessantotto a Roma.
Il volume Scomodi e organici sarà presentato venerdì 21 febbraio, alle ore 21, a Ozzano dell’Emilia (Bologna), presso la Biblioteca comunale 8 marzo 1908 (piazzale Allende 18). A parlarne con l’autore Gualtiero Via sarà Luca Alessandrini, direttore dell’Istituto storico Ferruccio Parri Emilia-Romagna di Bologna.
Rino Tripodi
(LM MAGAZINE n. 28, 20 gennaio 2014, supplemento a LucidaMente, anno IX, n. 97, gennaio 2014)