Dal 18 settembre al 31 ottobre il Torrione Passari di Molfetta costituisce la suggestiva cornice della mostra dal titolo PostDimensione – Viaggio nell’arte contemporanea, allestita con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Bari e dell’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia. Evidente avamposto di ricerche artistiche contemporanee nazionali ed internazionali, il Torrione Passari, dal 2002 ad oggi, ha già accolto importanti interventi site-specific, tra i quali ricordiamo Jannis Kounellis, Gilberto Zorio, Joseph Kosuth, Daniel Spoerri, fino a H.H.Lim, Rui Chafes, Kader Attia, Mona Hatoum, John Bock e Carsten Nicolai. Questa mostra rappresenta un’altra tappa di attenta ricognizione sul contemporaneo con tutte le sue possibili sfaccettature linguistiche.
La struttura austera della torre ospita una selezione di artisti (Alessandro Bulgini, Jurgen Klauke, Oleg Kulik, Katja Loher, Damir Ocko, Yoko Ono, Daniele Puppi, Jean Toche, Markus Willeke, Lin Yilin) provenienti da diverse aree geografiche, accomunati sia dalla sperimentazione dei linguaggi, sia dalla gestazione di una immaginazione critica, disinibita, comunicativa, a volte ossessiva, in cui l’ambiente globale diventa un luogo di esperienza che trascende i confini geografici ed etnici, di classe e nazionalità, di religione e ideologia, unendo tutti i generi umani. Vediamo ora di conoscere meglio i dieci artisti presenti.
Alessandro Bulgini, nascondendo corpi e volti ritratti all’interno di grandi tele nere, cerca l’essere e l’apparire laddove sembrano assenti, trasporta la figura umana nuda, depauperata di tutti gli elementi superflui dell’abbigliamento, raggiungendo uno stadio di introspezione autentica. Nella sala circolare del Torrione Passari, Bulgini installa sette suoi autoritratti rotanti, montati su un piatto d’argento. In una installazione, dal titolo Decollato, la testa dell’artista caratterizzata da differenti espressioni ruota continuamente sulle pareti in pietra della sala. La testa rappresenta l’identità, Decollato è l’artista che abbandona il terreno sicuro per vivere una sospensione vertiginosa.
Jurgen Klauke, tedesco, con i suoi autoritratti realizzati negli anni Settanta affronta l’evasione dagli schemi, la provocazione, il travestimento, la molteplicità della persona intesa come maschera/individuo. Tutto il suo lavoro svela il carattere cangiante dell’identità, l’ambivalenza di un essere che attraversa la sessualità, il desiderio, l’intimità fisica. Nell’opera sonora Komm Kunst, Kunst Komm (2010) la voce sussurrata dell’artista preannuncia l’arrivo dell’opera, lasciando che lo sguardo del visitatore si concentri intorno a una luce proiettata sul pavimento. Il proposito di Klauke è sempre quello di creare una sorta di spazio “kafkiano” dove poter sviluppare una pantomima inconsueta e irreale. E tale scena finisce per condurci a un senso di profonda inquietudine.
Oleg Kulik, russo, è l’uomo-cane che ha spiazzato il pubblico del mondo dell’arte con la performance in cui, completamente nudo e legato a un guinzaglio, si scaraventa contro i visitatori che, durante l’inaugurazione della sua mostra, cercano di entrare in una galleria di Mosca. Ha dichiarato di non ritenersi estraneo a tutto ciò che non è umano: è questo l’assunto centrale che si pone come chiave di lettura della sua esperienza, che affonda le proprie radici nel contesto socioculturale della Russia sovietica e post-sovietica. L’importanza del suo messaggio risiede nel riconoscimento del conflitto tra cultura e natura provocato dal processo di civilizzazione che ha investito l’uomo moderno. Le immagini dei suoi lavori sono così violente e repellenti, da lasciare spazio alla riflessione sull’esistenza stessa dell’uomo, sulla necessità di portare l’essere al suo lato più bestiale, triviale e irrazionale.
Katja Loher, vivendo tra Basilea, New York e Pechino, si dedica alla sperimentazione tecnologica, associandovi l’utilizzo di diversi materiali, nell’intento di indagare le relazioni tra l’essere umano e l’universo che lo circonda. Il video è il filo conduttore con cui dà vita a serie di opere che l’artista ha definito Miniverse, elementi di forma sferica caratterizzati da fori, che dalla superficie si sviluppano verso il centro. Guardando dentro queste sfere, lo spettatore ha accesso a messaggi trasmessi, come di consueto, attraverso piccoli video di diversa entità. Sono opere che amplificano una visione microscopica e al contempo offrono una prospettiva inconsueta allo spettatore, la visione dall’alto di un mondo quasi invisibile da “spiare”. Tutto il lavoro attraversa e reinventa il concetto del voyeur.
Damir Ocko, croato, trova nel video, nella scultura, nel disegno, nella scrittura e nella musica i propri media prediletti. I suoi lavori sono popolati da solenni figure inquadrate all’interno di ambientazioni complesse, che rimandano alla realtà solo per alcuni segmenti formali. Il video The Moon shall never take my Voice è interpretato da una donna che si esprime con l’alfabeto muto, quindi attraverso gesti. Ognuno di questi gesti è cadenzato da un suono. La sceneggiatura si compone di tre canzoni scritte da Damir Ocko, seguendo diverse suggestioni.
Yoko Ono è un’artista multi-mediale che sfida continuamente i confini tradizionali dell’arte. L’opera scelta per il Torrione Passari di Molfetta è il video Onochord (2004), dove l’artista comunica il suo amore verso l’altro inviando con una torcia elettrica segnali luminosi basati su lampi di luce, secondo i simboli dell’alfabeto Morse, che corrispondono alle parole “I.. love.. you..”. L’opera chiama in causa le azioni pacifiste di Ono, iniziate col marito John Lennon e continuate fino ad oggi.
Daniele Puppi realizza nel 2006 la sua prima installazione video-sonora, dal titolo Fatica n. 1. L’opera segnerà l’inizio di una personale pratica artistica di appropriazione dello spazio. Nell’opera presentata a Molfetta, Fatica n. 13 (2001), l’immagine-movimento espande all’infinito lo sforzo e il gesto di apertura di una porta. La proiezione della figura umana impegnata nell’apertura della porta è capace di appropriarsi dello spazio fisico ed emozionale dello spettatore. Spazio architettonico, spazio umano interiore e corpo sono coinvolti nella ricerca di una nuova unità.
Jean Toche, di origine belga, vive nella Staten Island con una macchina fotografica e un gatto. E’ una figura solitaria, un “monaco anarchico” che, avido di notizie, scava tra le parole di The New York Times o del Time per trovare nessi, bugie, paradossi sulla costruzione della paura, riguardo il terrorismo e il sistema dell’arte. Toche ritaglia frammenti di articoli e li assembla con considerazioni proprie, non risparmiando critiche caustiche a ogni forma di potere. A seconda della notizia scelta, Toche si ritrae attraverso l’autoscatto, riprendendosi in uno dei momenti della propria quotidianità; l’immagine fotografica del corpo dell’artista si unisce alle frasi scritte, formando una contaminazione di testo/immagine. In una delle nove opere in mostra campeggia una frase dell’artista: Be a true capitalist: rob a bank (“Essere un vero capitalista: rapinare una banca”).
Markus Willeke, berlinese, è attratto dalle manifestazioni visive del mondo in cui vive, e affonda spesso il suo sguardo nel repertorio cinematografico quale fonte di ispirazione. Motivi come graffiti metropolitani, recinzioni, segnali di avvertimento, scorci esterni o interni, vengono captati dall’artista per essere interpretati sulla tela. Immagini dallo schermo o immagini da giornali e altri media si traducono in scene pittoriche visionarie. Nell’opera presentata nella grande tela in mostra al Torrione Passari vediamo una casa devastata da un incendio, in una grande esplosione di striature, macchie accecanti, impurità cromatiche. La visione della casa in legno in preda alle fiamme è una rappresentazione “da incubo” che richiama sottilmente l’ambito dell’inconscio freudiano.
Lin Yilin, cinese, è noto per le sue installazioni realizzate con materiali di uso quotidiano come i mattoni, l’acqua, il denaro. Attraverso molte sue opere fatte di mattoni impilati, analizza il rapporto tra scultura e architettura, tra uomo e architettura. L’artista crea anche una varietà di performances. Ad esempio, introducendosi in aree urbane, costruisce muri di mattoni che possono essere demoliti dai passanti e nel cui interno si scovano messaggi scritti e nascosti dall’artista stesso. Il contesto d’appartenenza da cui prende le mosse comprende la visione del passato legata alla rivoluzione maoista e del futuro delle importanti metropoli cinesi in preda alla urbanizzazione e alla cementificazione crescenti.
L’ideatore della mostra, Giacomo Zaza, definisce così il proprio progetto: «PostDimensione intende demitizzare tutte quelle espressioni locali che anelano, consciamente o inconsciamente, ad essere globali. Purtroppo l’arte, che si trova a percorrere l’era globale, non potrà mai essere consumata velocemente, perché non sarà mai un meccanismo di produzione e consumazione di immagini obsolete. Il progetto del Torrione Passari oltrepassa gli intenti propagandistici di matrice politica e nello stesso tempo si allontana dalla celebrazione dell’arte contemporanea come qualcosa di esotico e di “trendy”, motivato dal mercato e dalla celebrazione mediatica, finanche dal trionfalismo delle strutture locali di governo. Insomma una “realtà errante”, in divenire. Si tratta di un polifonico evento estetico, continuamente trasformato in dialettico, rispetto al tempo e allo spazio, e autoriflessivo, rispetto allo sguardo dell’artista e del fruitore».
Luogo espositivo: Torrione Passari, via Sant’Orsola 7, Molfetta (Bari).
Periodo espositivo: sabato 18 settembre-domenica 31 ottobre 2010.
Orari apertura: dalle10,30 alle 12,30; dalle 18,00 alle 21,00.
Ideazione e Progetto: Giacomo Zaza.
Organizzazione e Comunicazione: Michela Casavola.
Ulteriori informazioni sul sito www.torrionepassari.it.
L’immagine: all’interno della mostra di Torrione Passari, Markus Willeke, How soon is now, 2010.
Viviana Viviani
(LucidaMente, anno V, n. 58, ottobre 2010)