In una conversazione del 1968 con un altro scrittore, Manlio Cancogni, il celebre autore de “Il giardino dei Finzi-Contini” illustrava il proprio romanzo “L’airone”, pubblicato in quel fatidico anno. Una sua annotazione sui «capelloni» e le «zoccolette» dell’epoca appare oggi di sorprendente attualità
«L’avanguardia mima il mondo industriale di cui è un prodotto. Finge di contestarlo col suo esercito di finti artisti, di capelloni, di beat, di zoccolette. Tutti costoro producono esattamente ciò che il mondo industriale vuole che si produca. Sono degli zelanti e soddisfatti servi. Le loro proteste, le loro contestazioni, le loro piroette, i loro “happening”, non danno noia. All’industria non fanno né caldo né freddo. Ciò che l’industria non vuole è il “valore”, è ciò che si oppone al mondo della produzione in serie, al surrogato, è la poesia. E solo facendo della poesia si contesta il mondo dell’industria; non dico l’industria in quanto tale, ma la sua ideologia. […] no, mai c’era stato come oggi un tentativo organizzato di distruggere il valore, la poesia».
(Manlio Cancogni, Perché ho scritto L’airone [Conversazione con Giorgio Bassani], in La fiera letteraria, n. 46, 14 novembre 1968; riportata anche in Giorgio Bassani, Il romanzo di Ferrara. L’airone, Introduzione di Marilyn Schneider, Arnoldo Mondadori Editore (Oscar), Milano 1978, pp. XXXVII-XXXVIII)
Un romanzo cupo e angosciante: il disgusto per la vita
Nel 1968, data certamente di notevole rimando simbolico, dopo un lungo periodo di ideazione ed elaborazione (1965-1968), il grande scrittore Giorgio Bassani, famoso soprattutto per Il giardino dei Finzi-Contini (dal quale venne tratto nel 1970 anche un bellissimo, omonimo, film di Vittorio De Sica), pubblica un nuovo romanzo: L’airone. La storia narrata si svolge nell’inverno del 1947, poco prima di Natale. Non mancano alcuni riferimenti alle precedenti violenze fasciste e persecuzioni antisemite, ma anche alle prepotenze e ai soprusi commessi dai comunisti dopo la “Liberazione” (occorre ricordare che Bassani, ebreo, fu antifascista ma anche anticomunista; di impronta liberale, fu vicino al Partito socialista italiano e poi al Partito repubblicano italiano).
La storia ripercorre lentamente, dettagliatamente, secondo un punto di vista interiore, l’ultimo giorno di vita di Edgardo Limentani, che alfine decide di suicidarsi. In genere ci si toglie la vita per gravi problemi di salute o economici. Limentani, che è benestante e ha una figlioletta, lo fa perché oppresso da un vuoto esistenziale, da un’insoddisfazione e da un dolore senza un perché. Egli appare freddo, apatico, anaffettivo (in questo è simile al Meursault de Lo straniero di Albert Camus).
La sua dovrebbe essere una giornata dedicata alla caccia nella Bassa ferrarese, coi suoi paesaggi nebbiosi e grigi. Egli si sposta da Ferrara a Codigoro al Po di Volano: paesaggi e persone vengono visti secondo lo stretto, lento, dettagliatissimo, minimalista punto di vista del protagonista.
Il suo itinerario diviene una sorta di via crucis, lungo la quale i tormenti psichici si accoppiano a quelli fisici. Non spara mai alla selvaggina, ma assiste alla straziante, lenta morte di un airone, che diviene simbolo della sua stessa condizione. Progressivamente, monta il disgusto per la vita, con le sue ipocrisie e banalità, ma soprattutto per la sua assoluta mancanza di autenticità. Anche se chi gli si sta intorno ha un atteggiamento benevolo verso di lui, e nel suo peregrinare qualche donna persino gli si offre, egli prova disgusto e fastidio e si ritrae ombrosamente.
Le singolari affinità con Il grido di Antonioni
La vicenda ci ha ricordato quella narrata in uno splendido, quanto altrettanto malinconico e cupo film di Michelangelo Antonioni, nato proprio a Ferrara (Bassani era nato a Bologna, ma aveva trascorso infanzia e adolescenza nella città estense): Il grido. Non abbiamo rintracciato altri scritti che abbiano trattato le corrispondenze tra le due opere e non sappiamo se Bassani abbia visto la pellicola del suo concittadino, girato qualche anno prima (1957) dell’elaborazione de L’airone; ma ipotizziamo che sia molto probabile.
Anche ne Il grido, il protagonista, Aldo, che, però, al contrario di Edgardo, è di bassa condizione sociale, vagabonda disperatamente tra le valli del Po, che divengono pure in questo caso, nella loro desolazione, simbolo del malessere esistenziale del protagonista. Pure Aldo, come Limentani, ha qualche contatto con gli altri e con una donna, ma questo non basta per evitare che scelga il suicidio.
Contestatori funzionali al Potere
Ci siamo lasciati prendere dalle vicende simili narrate nel romanzo di Bassani e nel film di Antonioni, allontanandoci dal centro di quello che avrebbe inteso essere il nostro discorso, ovvero la citazione che abbiamo riprodotta all’inizio. In essa lo scrittore critica i contestatori, gli intellettuali, le avanguardie letterarie (non era certo in buoni rapporti col Gruppo 63) dell’epoca, accusandoli di essere e lottare apparentemente contro il Sistema capitalistico-industriale, ma, in realtà, innocui o, addirittura, funzionali allo stesso Potere economico, politico, massmediatico dominante.
Ciò che potrebbe dare fastidio al Potere è «la poesia», «il valore», ovvero una visione di bellezza e di alti princìpi etici (il Vero, il Buono, il Giusto) che sia in contrasto col materialismo, il denaro, lo sfruttamento, il consumismo, la volgarità, la massificazione, del mondo capitalista.
In effetti Bassani ha profetizzato la situazione odierna. Un capitalismo globalista finanziario neoliberista che ha trovato i suoi migliori alleati ideologici proprio nella sponda di sinistra dei militanti, dei manifestanti di piazza, e degli intellettuali/cattivi maestri e artistoidi radical chic, votati al woke, al politicamente corretto e alla cancel culture (leggi Cultura della cancellazione o cancellazione della cultura?). E tale cancel culture che altro è se non la distruzione della poesia di cui parlava il narratore de Il romanzo di Ferrara, vale a dire di ciò che di più spirituale, elevato, grandioso, abbia prodotto l’Occidente greco-romano-cristiano-rinascimentale nel corso dei secoli?
Una massa di utili (per gli interessi e gli scopi dei potenti) idioti deviati verso manifestazioni, proteste, scioperi, innocue armi di distrazione di massa, con allarmismi che mutano a ogni cambio di stagione (fanatismo Lgbtqia+ o femminista, ecoterrorismo da cambiamento climatico, Gaza, ecc.) e, soprattutto, mobilitati contro immaginari autoritarismi e fascismi. Senza mai contestare i veri autoritarismi concepiti e ormai attuati dai padroni del mondo, i poteri finanziari e gli organismi sovranazionali.
Le immagini: le copertine di due edizioni de L’airone.
Rino Tripodi
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)
















