Tramite algoritmi è possibile individuare patologie, decifrare emozioni e persino scrivere un romanzo. Ma può un codice sostituire del tutto la mente umana?
Tutto incomincia da una combinazione di numeri. Più precisamente lo zero e l’uno, i quali, disposti in sequenze diverse, vengono decifrati dai software e trasformati in comandi. Se si volesse spiegare in modo semplice un meccanismo complesso come quello dell’intelligenza artificiale, si potrebbe riassumerlo così.
Ma a che cosa servono i suddetti comandi? A una miriade di cose. Le macchine con il pilota automatico, per esempio, sono frutto di una programmazione che impone loro una serie di azioni da compiere. «Se viene rilevato un ostacolo sulla strada, è necessario evitarlo cambiando direzione» potrebbe essere una di queste. Un’altra applicazione tecnologica sono le interfacce come Siri, presenti sui telefoni cellulari, alle quali si possono porre domande e da cui si ricevono risposte quasi sempre pertinenti. Vi è anche un utilizzo in campo medico: i ricercatori del Centro tedesco per le malattie neurodegenerative e dell’Università di Bonn affermano che l’I.A. [intelligenza artificiale, ndr] sia in grado di riconoscere precocemente la leucemia mieloide acuta, una tipologia particolarmente letale di tumore al sangue (da FanPage). In poche parole, l’intelligenza artificiale simula funzionamenti mentali prettamente umani e li riproduce, reagendo a determinati stimoli come farebbe una persona. Questo avviene grazie al machine learning, ovvero un processo di apprendimento nel quale il programmatore sottopone la macchina a una serie di “situazioni tipo” e le dice in che modo agire in ciascun caso. Insomma, il software è come un bambino al quale si insegnano i comportamenti da adottare.
La differenza rispetto alla mente umana risiede nel fatto che il computer non ha margini di errore né di imprevedibilità. Il timore è dunque che sempre più lavoratori, le cui capacità sono imperfette o comunque meno immediate, siano soppiantati da automi. Ma è davvero possibile che ciò accada? Si tende a pensare che tale sostituzione possa avvenire solo in campi scientifici che richiedano precisione, ma non in mestieri che implichino creatività ed empatia. Tuttavia, anche questo è messo in discussione: lo statunitense Robin Sloan sta scrivendo un romanzo con l’aiuto di un software di machine learning. Sloan aveva infatti caricato sul computer opere di Philip Dick, Joan Didion, John Steinbeck e molti altri, così che esso imparasse il loro stile di narrazione. Lo scrittore ha potuto così dire addio alla “crisi da pagina bianca”, poiché il software completa le frasi da lui iniziate in maniera interessante e innovativa (Vuoi scrivere un bestseller? Chiedi aiuto all’intelligenza artificiale, Il Sole 24 Ore).
Anche comprendere le emozioni può diventare automatico: interpretando le espressioni del volto, il tono di voce o la postura, l’intelligenza artificiale riuscirebbe a decifrare ciò che prova una persona. Un mercato che vale 20 miliardi di dollari, fra tecnologie che aiuterebbero nei colloqui di lavoro e algoritmi in grado di capire se un indiziato mente. Questo ha chiaramente sollevato questioni di natura etica: è giusto sottoporre a una macchina la privacy delle persone? L’AI Now Institute di New York ha lanciato un allarme riguardo l’uso smodato di codici di programmazione, sostenendo che i governi dovrebbero introdurre regolamentazioni più severe. Oltretutto, per quanto esatto possa essere un comando, occorre ricordare che a impartirlo è l’essere umano e che predire tutte le possibili congiunture di eventi è pressoché impossibile. Un esempio calzante lo fornisce proprio l’auto: programmata per schivare gli ostacoli, di fronte a un cane che attraversa la strada improvvisamente essa potrebbe sbandare, mettendo in pericolo i passeggeri. Così come, nel dubbio di uccidere un pedone o il guidatore, la scelta ricadrebbe sempre e comunque su quest’ultimo.
In uno dei documentari della serie In poche parole (disponibile su Netflix), si tratta proprio di intelligenza artificiale e viene intervistata una donna affetta da problemi al cuore, alla quale è stato applicato un pacemaker. L’apparecchio, riconoscendo palpitazioni fuori dal normale, reagisce dando una scossa. Il problema è che quando l’intervistata, incinta, soffre di battiti accelerati tipici del periodo della gestazione, il macchinario le dà ugualmente la scossa mettendo a rischio lei e il suo bambino. In sintesi: vi sono ancora molti nodi da scogliere e tanto da comprendere riguardo le applicazioni di tale tecnologia. Ciò che è certo è che, dalla medicina alla filosofia, l’argomento è al centro di svariati dibattiti e non riguarda più un futuro così remoto.
Anche le applicazioni come Tinder sono basate sull’intelligenza artificiale; per saperne di più: Le nuove app cambiano le relazioni umane, su LucidaMente.
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XV, n. 169, gennaio 2020)