Dall’ecologismo all’ecoterrorismo, prima blandito, poi abbandonato dal neoliberismo. Finiti gli introiti e le bolle finanziarie del “green”, i potenti della Terra hanno scelto la strada delle industrie belliche. E, quindi, della guerra, da sempre un buon affare
L’ecoterrorismo dura da decenni e ha sostituito il giusto allarme ecologista per la protezione di Natura e ambiente e per la lotta all’inquinamento, che data all’incirca dagli anni Sessanta dello scorso secolo (vedi Alessandro Bardi, voce Ecologismo, in Treccani.it).
Le nobili e razionali istanze iniziali sono state sostituite dall’ideologia del cambiamento climatico, che tende a mescolare la protezione di habitat, piante e animali e la lotta agli indiscutibili danni prodotti dall’inquinamento di aria, acque, terre, ecc. con la catastrofe climatica, per di più attribuita interamente alle attività umane (industriali e non).
Friday for future, prima sovvenzionato, poi abbandonato
Lasciando perdere per il momento l’aspetto scientifico (gli abbiamo dedicato un altro articolo: La Terra? Un pianeta freddino), il movimento Friday for future, che ha trovato come propugnatrice la propagandata, innalzata, venerata Greta Thunberg, si è innestato con l’ideologia cultura politically correct propugnata dai mass media mainstream e col più ampio, aggressivo, spesso violento, movimento woke e della cancel culture.
Pertanto, la questione, da scientifica e ambientalista, è divenuta ideologica, politica, a sostegno dei progressisti e delle sinistre di tutto il mondo e in odio ai conservatori, ritenuti buzzurri insensibili al tema della protezione della Natura e del pianeta. Le sinistre, intanto, da socialiste e in difesa di lavoratori e masse deboli, son divenute fucsia-arcobaleno e radical chic, passando dalla tutela dei diritti sociali ai più annacquati e indistinti diritti civili di minoranze chiassose. Hanno accettato il capitalismo finanziario globalista in cambio dell’egemonia culturale assoluta (media, editoria, scuole, università, ecc.).
Ma gli interessi capitalisti e delle multinazionali non hanno cuore. Dopo aver appoggiato il Green Deal e investito finanziariamente sulle energie “pulite” e sulle automobili elettriche, visto il disastro economico che ha messo in crisi – specie in Germania – le industrie automobilistiche e non solo, hanno mollato Greta e i suoi seguaci, non più graditi ospiti delle più importanti assise internazionali, e, per salvare l’economia e i loro profitti, hanno puntato sulla produzione a tappeto di carrarmati, cannoni, missili, armi.
Invece di un pianeta più verde e pulito un mondo in guerra e forse catastrofi ambientali
Estrema eterogenesi dei fini (o controproduttività specifica, secondo il linguaggio di Ivan Illich). Si potrebbe infatti affermare che, in ultima analisi, il fanatismo ecologista ha reso un brutto servizio allo stesso movimento ambientalista e perfino allo stesso ambiente: il fallimento delle estremistiche politiche green ha causato politiche bellicistiche ai fini del reindirizzamento verso le industrie militari, tra l’altro più energivore e inquinanti delle altre. E i territori bombardati e minati, i combattimenti e l’uso di terribili armi (per non parlare del rischio nucleare) sono quanto di peggio possa capitare a un ecosistema (leggi Tra i peggiori nemici dell’ambiente? Le armi).
Non è finita qui. Molti hanno attribuito alle irrazionali politiche ambientaliste l’alluvione di fine ottobre 2024, che ha colpito Valencia e dintorni, e il recente blackout avvenuti in Spagna. La prima alla scellerata risistemazione del territorio, la seconda al malfunzionamento delle energie “rinnovabili” (eolico, solare, idroelettrico). Non vi sono certezze e il Governo spagnolo resta prudentemente cauto nel fornire risposte definitive, forse anche per il terrore di dover ammettere che… E il dubbio resta.
Le immagini: a uso libero e gratuito da Pixabay (foto di geralt, Maklay62 e haniaipics).
Rino Tripodi
(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)