L’emergenza coronavirus è la conseguenza di un sistema sbagliato. Forse è il momento giusto per riflettere e modificare molti nostri stili di vita
«“Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni!”, esclamò Frodo. “Non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato”». Il dialogo tra Frodo e Gandalf, protagonisti del capolavoro fantasy di J.R.R. Tolkien Il signore degli anelli, suona terribilmente attuale in questo momento di emergenza sanitaria e il pensiero di Frodo è probabilmente condiviso da tutti noi.
Purtroppo non abbiamo il potere di decidere che cosa far accadere, ma senza dubbio possiamo decidere come agire per ridurre il rischio che si verifichino situazioni come quella che stiamo vivendo. A metà marzo è stato pubblicato il rapporto del Wwf Italia – su LucidaMente ne parla in modo approfondito il direttore Rino Tripodi nell’articolo Perché il coronavirus (e perché in futuro ce ne saranno altri) – che dimostra la correlazione diretta tra le malattie che stanno terrorizzando il pianeta (non solo il coronavirus, ma anche Ebola, Aids, Sars, influenza aviaria, influenza suina) e l’effetto devastante delle attività umane sulla natura. Ciò che ci sta accadendo, in sostanza, è solo colpa nostra ed è evidente che il capitalismo, la globalizzazione e le attuali modalità di produzione hanno condotto a gravi conseguenze: il divario tra ricchi e poveri è sempre maggiore, la specie umana ha messo a rischio la propria sopravvivenza distruggendo l’ambiente e gli ecosistemi naturali, eccetera. Siamo quindi di fronte a un bivio: continuare sulla strada che stiamo percorrendo – condannandoci a morte – o provare a cambiare i nostri comportamenti e ridurre l’impatto ambientale per cercare di ripristinare una sorta di equilibrio.
Ovviamente non è una scelta facile, anzi: è una scelta che ci obbliga a modificare radicalmente quotidianità e modo di vivere ed è qualcosa che dovevamo fare già tempo fa. Anche se facciamo finta di non accorgercene, il clima, l’ambiente, l’alimentazione, la coltivazione, le epidemie fanno tutti parte dello stesso sistema e, se si inceppa un elemento, le conseguenze si ripercuotono sull’intero meccanismo. Abbiamo dunque la responsabilità di ristabilire il funzionamento che abbiamo compromesso, iniziando a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni.
Prendiamo, per esempio, l’alimentazione: durante questa emergenza ha assunto un ruolo simbolico forte – soprattutto in Italia dove, si sa, la cultura del cibo è quasi una religione –, visto che cucinare è una delle poche forme di distrazione e sperimentazione che abbiamo, chiusi nelle nostre case. Il modo di produrre i beni alimentari, però, ha un’influenza diretta sull’ambiente e sui cambiamenti climatici. Se, negli ultimi anni, l’attenzione al biologico, al km zero, a come, dove e da chi viene prodotto quello che mangiamo è aumentata, le persone che si pongono tali domande sono ancora una minoranza. Invece questo tipo di consapevolezza e certi criteri di scelta, per avere ripercussioni visibili, dovrebbero essere propri della maggior parte della popolazione. Sul tema sta lavorando da oltre un anno GREAT Life [Growing REsilence AgricolTure, ndr], progetto europeo del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna con partner Kilowatt, Alce Nero, Comune di Cento e Lce [Life Cycle Engineering, ndr]. L’obiettivo è fornire più consapevolezza sulle conseguenze che le scelte alimentari hanno sul clima e sulla natura, oltre a costruire un immaginario positivo, per cui l’uomo non è inerme, ma può e deve fare qualcosa per contrastare il problema del climate change.
Il progetto parte dalla sperimentazione di piantagioni alternative, nello specifico sorgo e miglio, coltivati nella valle del Po prima dell’introduzione del mais (Borgo Panigale, in provincia di Bologna, deve il proprio nome a panicum, miglio in latino; Migliarino, in provincia di Ferrara, e Miglianico, nella zona di Chieti, hanno la stessa radice di miglio) e scelti perché bisognosi di minore quantità d’acqua, più inclusi nella biodiversità e più resistenti ai fenomeni atmosferici intensi. L’idea è quella di costruire una filiera creando una domanda di tali prodotti, affinché gli agricoltori siano invogliati a coltivarli e li sostituiscano ad altri più impattanti.
Tra le varie attività di diffusione ci sono la costituzione di una comunità, un programma radiofonico, la campagna GREAT it easy, per abbattere la percezione diffusa che le scelte di consumo sostenibile siano difficili e costose, e un evento (online) di riflessione sulle pratiche positive e alternative che stanno emergendo in questi tempi strani; il tutto per capire da cosa ripartire per costruire una nuova normalità. E proprio una nuova normalità deve emergere all’indomani di questa emergenza, perché è evidente che quella vecchia ha fallito. Forse è davvero il momento giusto per fermarci e ripensare alle nostre scelte, rimodulare le abitudini, decidere che cosa fare con il tempo a disposizione e riprendere il controllo del nostro futuro e di quello del pianeta. Se non è riuscita a convincerci la minaccia delle conseguenze dei cambiamenti climatici, percepita dalla maggior parte delle persone come qualcosa che non ci riguarda direttamente, chissà che non possa farcela la pandemia, che ha modificato radicalmente le nostre vite da un giorno all’altro e ha obbligato ognuno di noi, nel vuoto e nel silenzio delle città, a fare i conti con se stesso. E, persino per i meno sensibili, avrà un impatto economico devastante.
Le immagini: un manifesto del Wwf Italia; una coltivazione (a uso gratuito da pixabay.com) e la pianta del miglio (a uso gratuito da wikimedia.org).
Elena Giuntoli
(LucidaMente, anno XV, n. 172, aprile 2020 – supplemento LM EXTRA n. 37, Speciale Coronavirus2)