La scienza non è mai stata del tutto oggettiva e neutrale, ma viceversa spesso condizionata dal contesto sociopolitico, culturale ed economico
Se si vogliono comprendere a fondo le costruzioni umane, è proficuo, anzi necessario, collegarle alla loro genesi, al loro sviluppo e al modo nelle quali esse vengono istituzionalizzate. Oggi su fatti etici, religiosi, politici, e più in generale culturali, tale tesi metodologica appare pienamente accettata da quasi tutti; ma, quando si ha a che fare con aspetti scientifici, spesso la percezione pubblica a riguardo cambia radicalmente.
I riflessi ideologici, psicologici e mentali della pandemia mondiale ne sono una prova, specialmente da quando in Italia il dibattito pubblico si è irrimediabilmente spostato sui temi della vaccinazione e del green pass, i quali solo superficialmente appartengono l’uno all’ambito scientifico e l’altro a quello politico e sociale. Anche al netto di speculazioni filosofiche particolarmente profonde, appare infatti evidente che l’utilizzo politico di una tecnica medico-scientifica compromette l’idea che questa possa mantenersi neutra. Al contrario, ci ricorda che la scienza – la quale rimane pur sempre una costruzione umana – non è costituita solo da pure scoperte scientifiche e da una lineare progressione della conoscenza; attorno a queste vi sono anche persone e contesti sociali tutt’altro che neutrali. Occultandoli od omettendo di considerarli non si rende buon servizio alla conoscenza.
La Storia della scienza è una disciplina relativamente giovane che si pone l’obiettivo di far emergere proprio ciò che determina le sorti della scienza – e quindi della società e della storia umane – e di mostrare come questa venga sempre “sporcata”, ovvero influenzata da un caotico assembramento di altri fattori e altre discipline (politica inclusa). Le idee e il bagaglio culturale degli scienziati, che ne determinano spesso il vicendevole disaccordo, i loro valori e i contesti sociali in cui maturano le teorie scientifiche, vanno tenuti in considerazione tanto quanto le scoperte e le innovazioni della tecnica.
Prestare attenzione a questi aspetti non è un puro esercizio della curiosità, ma ciò che permette di farsi un’idea di scienza ben più realistica rispetto a quella in cui essa appare come una sorta di nuova religione – infallibile, guidata da santi e raccoglitrice di consensi tramite il principio di autorità. Di questo dovrebbero ricordarsi anche coloro che dall’interno della comunità scientifica, con la missione teoricamente corretta di contrastare free speech e fake news, si prodigano in dichiarazioni da elitisti. Per citare un primo esempio, si potrebbero ricordare le crociate dell’instancabile virologo Roberto Burioni a favore dell’idea di una scienza non democratica. O, ancora, le recenti lagne della professoressa Antonella Viola sul Corriere della Sera, la quale afferma di non potersi esimere dall’esprimere pubblicamente opinioni, oltre che fatti, essendo gli scienziati come lei persone di intelligenza medio-alta e avendo constatato che ciò veniva in precedenza concesso a filosofi, economisti e professori di storia dell’arte; come a dire: “E allora? Quegli stupidi possono e noi no?”.
Sul binomio democrazia e scienza moderna, in particolare, è bene sottolineare che ciò che ha contribuito a distinguere quest’ultima dalla scienza precedente e da ciò che è antiscientifico, come l’astrologia o certi fenomeni religiosi, è proprio quello “spirito democratico” incarnato nel metodo scientifico per cui in linea di principio tutte le persone, se dotate di preparazione e strumenti adeguati, potrebbero pervenire alle medesima conoscenza sui fenomeni naturali e le leggi che li governano. Oggi, nella pratica, tale concezione è più un’utopia che una realtà, ma parimenti il miglior monito contro l’idea di una comunità scientifica chiusa e che si impone sulla società appellandosi a una nuova forma di fede.
Dunque niente miracoli e papi della scienza; tra i compiti del mondo scientifico dovrebbe esserci l’onere di condividere in trasparenza le condizioni e le modalità con cui si arriva a certe conclusioni, a maggior ragione se queste rischiano di incrociarsi con interessi economici e politici. La storia è piena di teorie inizialmente osteggiate e in seguito, una volta mutati i tempi, riconosciute come valide. La tendenza a privilegiarne alcune in luogo di altre, misurandole in base a quanto rispecchiano gli orientamenti politico-sociali dominanti, non appartiene esclusivamente a un passato buio e non democratico; è purtroppo un’umana debolezza che ci accompagna da sempre e da cui non ci si immunizza automaticamente in base al tipo di abito che si suole indossare, sia esso un camice bianco o una tuta da lavoro. E né, tantomeno, con un “vaccino”.
Christian Corsi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 190, ottobre 2021)
Wow! Che articolo meraviglioso.